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Ganjafarm Cru: narrazione del quotidiano meridionale

Non sono un critico musicale, metto le mani avanti. Non vuole essere un’invasione di campo, ma la curiosità di osservare e comprendere un mondo, quello dell'hip hop, meridionale in questo caso.

Il tutto nasce da un video osservato per caso, Lu Contadino. La trama è la legalizzazione, potrebbe essere banale, ma non lo è. Un richiamo alle radici musicali antiche del meridione, una serrata storia svolta in poco meno di due minuti, che fa scattare risate, plauso per l’ironia e la voglia di approfondire chi sono i personaggi dietro questa piccola perla. Molti si sbracciano e sprecano inchiostro sul meridione, il Sud, di poi ecco un’infinita serie di giovani che esercitano parole e suoni, storie pescando a piene mani nel vissuto. Perché sono tanti i rapper dove al sole fa freddo.

L’intervista che segue ai Ganjafarm Cru non vuole stilare una classifica, ma semplicemente indagare per comprendere che c’è molto di detto (ma non ascoltato) dai media ufficiali. 

Che cosa è realmente oggi la periferia di Napoli, capitale del Sud, e cosa rappresenta per Ganjafarm Cru?

“A primo impatto ci verrebbe da rispondere che è un luogo dove l'anarchia regna e il senso dello Stato svanisce di chilometro in chilometro, dove la mentalità delle persone arretra allo stesso modo con il crescere delle problematiche per lo più relative alla povertà e al lavoro, lontano dal mare la gente diviene frettolosa e dimentica anche le proprie origini. Ganjafarm Cru proviene dai paesi vesuviani (Pomigliano, Acerra) fino a qualche decennio addietro la nostra periferia era un angolo felice dove i giovani aspiravano ad un lavoro in fabbrica, e le lotte sindacali andavano di pari passo con il folklore e la musica popolare, dove c'era la cultura delle tradizioni e del sorriso, lentamente la periferia è diventata la zona dei centri commerciali, delle palazzine dei terremotati di Napoli e delle strade rappezzate. Per Ganjafarm Cru la periferia rappresenta il punto di partenza, la fucina della rabbia, il senso di appartenenza a questa terra e alle sue contraddizioni, dove gli amici partano e chi resta si rimbocca le maniche e si dà da fare il triplo”.

Nel disco si ascolta, in sottofondo e non solo, una forte tradizione musicale, una scelta dettata da quale volontà?

“La scelta non è dettata ma è sintomatica del nostro approccio all'hip-hop, essere naturali, parlare di cose che conosciamo e ci appartengono, la prima fonte del nostro background è la musica napoletana, dalla classica alla tammurriate, non potevamo non rifarci ad essa, c’è tutto il calore e le buone vibrazioni che servono per fare un buon hip-hop. Il rap è quello che fai, hip-hop è quello che vivi diceva krsone (uno dei capi del movimento, Ndr), Ganjafarm Cru non vive nel passato, ne fa tesoro e lo rielabora, per continuare a cantare e sognare di questo 'pezzullo e paraviso'"

Noi/Voi il titolo del vostro lavoro pone un distinguo, un solco, e qual è la reale distanza tra il Noi e il Voi?

“Se osservi bene al gioco di lettere che compongono la grafica del disco ti accorgerai che in realtà la distanza svanisce con la congruenza tra la lettera N e la V, lasciando libera interpretazione e allo stesso tempo unificando Nuie con Vuie, quindi in realtà non esiste una divisione bensì un senso di aggregazione. La musica è fatta da Noi, per farci stare bene, per lasciare una traccia, ma soprattutto per Voi, fruitori del messaggio. Il nostro disco è completamente autoprodotto e autodistribuito e il noi-voi sta a indicare che non c’è nessun intermediario o artificio o trovata commerciale bensì la volontà di produrre un disco che vada al di là delle dinamiche di mercato e si basi sullo scambio diretto di sensazioni ed emozioni con il pubblico”.

 

La vostra provenienza territoriale oggi è apostrofata anche come Terra dei Fuochi, il mutamento del tessuto sociale di cui mi avete accennato poco prima, come si lega con l'indifferenza che ha creato un territorio malato?

“Di certo l'ignoranza e la non cultura dell’ambiente e della legalità sono alla base dell’indifferenza che ha coperto la questione della terra dei fuochi, e noi pensiamo che la stessa indifferenza copra chissà quanti altri soprusi perché ormai sono centinaia di anni che il popolo napoletano convive con la camorra e ne ha fatto la regola abituale, tristemente si è abituato all’indifferenza e all’omertà non sentendosi tutelato da nessuna istituzione. Crediamo che i motivi di questa ignoranza siano da ricercare proprio nella perdita di valori come l'attaccamento al territorio inteso come bene comune e fonte di vita”.

Ci sono molte discussioni sui rapper che hanno abbandonato il dialetto in favore dell'italiano. Qual è il vostro punto di vista sull'espressione linguistica da adottare, e il dialetto non può essere una barriera per la piena comprensione?

“Il dialetto per noi è una ricchezza sia dal punto di vista fonetico e musicale sia dal punto di vista espressivo e culturale. Può essere un limite se si aspira a scalare il mercato musicale italiano ma appunto pensiamo sia un discorso puramente basato sulla convenienza e commerciabilità della musica, quindi ben lontano dal nostro approccio. Noi pensiamo in napoletano e non in italiano e alcune espressioni che usiamo nella vita di tutti i giorni sarebbero impossibili da tradurre a livello di immagini, di poesia e di empatia. Di poi il pubblico italiano è spesso anche limitato e poco aperto, ed ha quasi sempre pregiudizi di non comprensione se si tratta di dialetto, eppure ascolta ogni giorno musica straniera senza capirne nemmeno una parola. Se non capisci le parole puoi sentire il funk, diceva Neffa”.

Il video la musica e il testo di Lu Contadino mi ha molto colpito per l'ironia e l'uso della trazione musicale. Come è nata l'idea e come si è sviluppata?

“Lavorando al disco abbiamo sempre rimandato di mese in mese la stesura di un pezzo che parlasse della marijuana, non volevamo essere banali, non volevamo essere scontati visto che noi stessi avevamo già in passato affrontato l'argomento più volte. Ma il disco di Ganjafarm Cru senza 'inno' non si sarebbe potuto fare, così abbiamo deciso di prendere un pezzo anonimo del 700 napoletano (lu guarracino) che per la sua fonetica e contorta metrica ci ricorda molto il rap più estremo, cambiando le parole con la nostra storia sul contadino, lo spione, la polizia. L'ironia è stata la chiave di lettura per armonizzare il concetto di legalizzazione con lo storytelling”.

La vostra posizione sulla legalizzazione mi è molto chiara, vi sentite di aggiungere qualcosa, soprattutto a chi dice che consumare droghe leggere aiuta la criminalità organizzata?

“È l'arretratezza e l'ignoranza delle nostre istituzioni ad aiutare le mafie a commerciare le cosiddette droghe leggere, si può essere pro o contro ma non si può negare che i danni dovuti all’uso della marijuana sono paragonabili a quelli dell’alcool o del tabacco se non addirittura minori. Il proibizionismo, appunto, apre la strada alle mafie, legalizzare almeno la coltivazione per uso personale non taglierebbe le gambe alla criminalità, ma lascerebbe ad ogni cittadino il libero arbitrio di fare una scelta, invece di rivolgersi al mercato criminale dove tra l’altro la materia prima è scadente e spesso proprio la scarsa qualità fa insorgere i veri problemi di salute”.

Prodursi in proprio è una necessità oppure è una precisa volontà di piena gestione del proprio lavoro creativo?

“La scelta di autoprodursi deriva dalla necessità di salvaguardare la nostra musica ed il nostro impegno per la realizzazione dell’album, dalle produzioni alle collaborazioni, dalla scelta del sound alla grafica, niente è al caso ed è tutto frutto della nostra esperienza e del lavoro dei tecnici audio e dei producer a cui ci siamo affidati e con cui ci siamo rapportati in prima persona per ottenere un autoproduzione di livello 'professionale'. Non neghiamo che non è stato un processo semplice e nemmeno un investimento economico poco dispendioso ma dopo sei mesi dall’uscita dell’album la soddisfazione di avere un disco totalmente nostro, senza bisogno di un etichetta e senza un ufficio stampa da pagare, senza nessun intermediario che guadagni sul nostro lavoro cresce di giorno in giorno e ci rende fieri della scelta, visti i risultati ottenuti, seppur nell’ambito strettamente undergound. Da pochissimi giorni è disponibile l'edizione digitale di Nuie/Vuie di Ganjafarm Cru, lo si può trovare su tutti i principali digital store musicali all’onestissimo prezzo di 6,99 euri, per un ora di musica genuina”.

Il vostro disco è più che una scaletta di brani, una sorta di narrazione con diversi frammenti che si sovrappongono, qual è il tema narrativo che non volete che venga travisato?

“Il disco inizia con l’incertezza (Jonji) e finisce con la conclusione che la vita è una ruota (La giostra) scivolando via nel tappeto musicale di L'urdem gir (l'ultimo giro) prodotta da Laps con la collaborazione di Julian Oliver Mazzariello al piano. Nel mezzo ci sono la gioia, le paure, l'ansia, le contraddizioni, tantissima autoironia, una spruzzata di napoletanità e di folklore. Il 'collante' che tiene unite tutte le tracce del disco è oltre che la musicalità e omogeneità date dalla chitarra di Carlos Satàna, la voglia di emozionare, coinvolgere, divertire e a volte fare riflettere gli ascoltatori attraverso una chiave di lettura 'umile' fatta di sensazioni personali di riflessioni piuttosto che di imperativi e sentenze da sputare al microfono, e per questo quello che ci interessa che arrivi agli ascoltatori e che le nostre storie possono essere davvero le loro storie vista la spontaneità che è alla base di tutte le tracce del disco, Nuie/Vuie, la nostra voce forse è anche la vostra”.

 

Foto gruppo di Umberto Mancini

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