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Fuoristrada, Sport Utility e Crossover, le auto della globalizzazione

Beppe Ameglio torna sull’Osservatorio per continuare la sua lunga trattazione di come sta cambiando il mercato automobilistico. Buona lettura!

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È opinione ampiamente condivisa che il sistema del trasporto privato sarà soggetto entro la fine del secolo ad una radicale trasformazione, indispensabile per rientrare nei parametri richiesti dall’UE: la riduzione delle emissioni nocive nell’atmosfera prodotte dalla combustione dei motori termici, diesel e benzina, e la contrazione dell’incidentalità stradale e conseguenti costi sociali che, secondo l’ISTAT, equivalgono all’1,1% del prodotto interno lordo. A ciò si aggiunge la necessità di alleggerire la congestione del traffico nelle aree urbane dato che, secondo gli indicatori, in un futuro sempre più prossimo, l’80% della popolazione europea vivrà all’interno delle città. 

Anche in questa prospettiva l’automobile resta pur sempre, per necessità, carenza di mezzi di trasporto efficienti e per consolidata abitudine degli utenti un mezzo di trasporto a cui è difficile rinunciare.

Negli ultimi dieci anni la ricerca, la sperimentazione e la possibilità di accedere a nuove tecnologie hanno impresso una notevole accelerazione agli standard di sicurezza sia attiva che passiva. I sistemi ADAS di assistenza alla guida, presenti su tutte le nuove vetture prevedono la possibilità al veicolo di frenare autonomamente quando il sistema rileva la presenza di ostacoli. La Volvo per prima, seguita da Audi è stata la prima casa a dotare i propri veicoli di frenata automatica agli incroci. Non solo, nei percorsi autostradali il sistema, agendo autonomamente su freno e acceleratore, mantiene costante la distanza dal veicolo che precede. A ciò si aggiungono il sistema antisbandamento, quelli che segnalano la presenza di veicoli nell’area ceca e se il guidatore è stanco o pigro la vettura parcheggia automaticamente. Piccoli, ma importanti passi verso i successivi livelli della guida autonoma.

Per contro le nuove automobili, salvo pochi e costosi modelli di supercar, lasciano ben poco spazio al piacere della guida, all’emozione della velocità, al fascino del viaggiare, rischiando così di non potersi sottrarre al pericolo, comune ai beni industriali, di diventare commodity, cioè “perdere l’anima” e rimanere oggetti che il consumatore compra soltanto perché ne ha bisogno, senza alcuna partecipazione emotiva. In altre parole l’automobile ha cessato, almeno in parte di essere un “bene felicitante”, così come era stato per le generazioni degli anni sessanta, settanta e ottanta, quando entrare in possesso del “foglio rosa”, costituiva un vero e proprio rito di iniziazione, a lungo atteso. Adesso l’automobile si può agevolmente noleggiare, scegliendo il modello più adatto, secondo le necessità e la contingenza del momento; nei maggiori centri urbani sono disponibili citycar con la formula del carshering.

Diventa sempre più reale e tangibile il rischio per l’automobile di diventare invisibile e priva di ogni implicazione emotiva. E’ stato così per i frigoriferi che hanno iniziato a evidenziare difficoltà di generare margine quando sono nate le cucine componibili che racchiudono e nascondono gli elettrodomestici da incasso. Chi si può entusiasmare nel comprare un frigorifero che non vedrà mai e che deve fare il suo dovere senza farsi notare, senza nulla concedere ad un vezzo estetico a un colore accattivante?

Ecco perché l’interesse delle case automobilistiche, in particolare degli esperti di marketing, è alla costante ricerca di modelli che possono catturare l’attenzione e l’interesse del cliente sotto il profilo tecnico ed emozionale. In questa continua e spasmodica ricerca si può rintracciare una delle chiavi di lettura del successo dei veicoli off-road. Sono le Fuoristrada, le Sport Utility, le Crossover il cui aspetto “muscoloso”, l’altezza da terra, la dimensione del pneumatici comunica l’emozione di essere, a torto o a ragione, alla guida di un mezzo inarrestabile. Un insieme eterogeneo di marche, modelli, forme e dimensioni dove il cliente spesso si muove alla ceca, condizionato e disorientato dalla pubblicità.

Solo pochi anni fa era difficile prevedere questo fenomeno che ha i propri epicentri in Europa, negli Stati Uniti e adesso anche in Cina. Qualche numero è più esplicativo di ogni altro commento. Sul mercato globale 1994 le vendite di veicoli a vocazione off-road, Fuoristrada, Sport Utility e Pick-up si attestava intorno alle 1,6 milioni di unità. Dieci anni più tardi nel 2004 vengono toccati i 2 milioni di pezzi. Dal 2010 il trend di vendita di questa tipologia di veicoli segue un trend in vertiginosa ascesa: 4 milioni nel 2012, 6 milioni nel 2014, 8 milioni nel 2015 per superare nel 2016 i 10 milioni di unità vendute.

Ad aumentare in modo vertiginoso non sono solo le vendite ma anche il numero dei nuovi modelli introdotti sul mercato. In 24 anni, dal 1993 al 2016 si passa da un solo modello di Suv, Crossover e Compact Suv a ben 132 modelli nel 2016.

Sarà questa la tipologia dei modelli destinata ad imporsi sul mercato ancora per molti anni? Analisi di mercato e proiezioni propendono per il si. Vale quindi soffermarsi sulle ragioni che hanno portato prodotti, per molti anni relegati a sopravvivere all’interno di una nicchia di mercato, a diventare un vero e proprio segmento, ambito da tutti i costruttori in quanto in grado di garantire una migliore marginalità industriale rispetto ad altri segmenti.

La “Fuoristrada” ha una storia lunga alle sue spalle. All’inizio fu uno strumento di locomozione per esplorare, in continenti lontani, nuove strade e opportunità di interessanti scambi commerciali. E’ stato cosi per la CroisièreNoir, (1924-1925) e la Croisière Jaune (1931,1932) due imprese condotte con l’attenta e geniale regia di Andre Citroen. Già nel 1900 il giovane ingegnere Ferdinand Porsche applicò per la prima volta ad un veicolo, la “Toujour contente”, la trazione sulle quattro ruote mediante quattro motori elettrici contenuti nel mozzo delle ruote, realizzando così il primo Hybrid della storia a quattro ruote motrici.

Bisogna però attendere il secondo conflitto mondiale per l’entrata in scena di una Fuoristrada con caratteristiche completamente diverse dai precedenti “tentativi” di costruire mezzi a 4 ruote motrici: la Jeep, che sembra derivare il proprio nome da Eugene the Jeep, il personaggio di un cartoon, dotato di capacità straordinarie e capace di cavarsela ovunque, proprio come la Jeep.

Fino agli anni ’60 le Fuoristrada venivano impiegati quasi esclusivamente, fatta eccezione per qualche appassionato, per compiti militari o di pubblica utilità. Erano infatti mezzi molto spartani, rumorosi, lenti che mal si adattavano all’asfalto. Bisogna attendere il 1970 quando nel suggestivo scenario delle miniere di St. Agnes in Cornovaglia fu presentata alla stampa la Range Rover che segnò un punto di svolta nell’evoluzione dei mezzi off-road: una vettura elegante, dagli interni raffinati, confortevole e nello stesso tempo stessa dotata di una meccanica e di un sistema di trasmissione a trazione integrale permanente che la rendeva praticamente inarrestabile su ogni tipo di terreno. Era però una vettura costosa e riservata a pochi privilegiati. Il fattore prezzo relegò, anche negli anni a seguire, le Fuoristrada in una nicchia di mercato. Il prezzo elevato andava ricercato in fattori tecnici quali la presenza di un telaio robusto e resistente ad ogni sollecitazione, un cambio dotato di riduttore delle marce e il sistema di trazione che distribuiva la coppia motrice su tutte le ruote. 

Nonostante questo le Fuoristrada, sempre più, solleticavano il gusto di un pubblico che, dopo l’abbuffata ideologica del ’68 e gli anni “di piombo”, aveva aderito con entusiasmo ai “nuovi valori” che permearono quasi tutti gli anni 80: l’agiatezza, il lusso, la competizione e l’affermazione sociale. Il declino dei valori collettivi e per contro la ricerca dei valori materiali. 

Le Fuoristrada con il loro aspetto aggressivo a cui spesso si associa il comportamento spregiudicato dei guidatori finiscono per assumere, nell’immaginario collettivo, una connotazione negativa che li identifica “tout court” come la personificazione dell’arroganza e della prevaricazione; comportamento stigmatizzato da Roberto Vecchioni nei versi di una sua canzone “Non verranno i piemontesi ad assalire Gaeta con le loro Toyota con le loro Land Rover” o nel sarcasmo feroce di Gino&Michele che in  Saigon era Disneyland in confronto” si scagliano contro quella che simpaticamente gli autori chiamano “Il Puttanone”: una signora bionda e altera, con la pelliccia di Leopardo e il barboncino bianco, che parcheggiata in seconda fila la propria Jeep, costringe chiunque passi di lì ad una coda inutile e gratuita. 

Discriminazione, che, proporzionalmente al successo di Suv e Crossover, conduce alla demonizzazione di un oggetto meccanico che emerge ogni qualvolta una Sport Utility o una Fuoristrada (di qualunque dimensione, potenza o rango) si trovano incolpevoli protagoniste di una atto di diseducazione o di un incidente. Quando di mezzo c’è una Suv, al centro della notizia non è più il guidatore (ubriaco o distratto o colpevolmente imprudente), ma lo stesso veicolo.

Non è un caso se Antonio Albanese nell’interpretare “Cetto La Qualunque”, personaggio politico abietto e privo di scrupoli, è ripreso alla guida della sua Hummer, con la quale sale la scalinata di una chiesa, parcheggia sul marciapiede, incurante di tutto e di tutti.

La iniziale connotazione negativa non frena però il successo delle Sport Utility. Successo agevolato dalla diffusione dei sistemi di controllo elettronico, in particolare quello “on demand” per il controllo della trazione sulle quattro ruote motrici che ha consentito un sensibile risparmio dei costi di produzione con la conseguente riduzione del prezzo finale e in seconda battuta quello di permettere anche a guidatori inesperti di gestire, proprio grazie all’elettronica, la trazione integrale, senza particolari cognizioni tecniche e di guida, prima al contrario, assolutamente necessarie.

L’avvento dell’elettronica ed il processo di downsizingdelle Sport Utility sono stati i due più importanti fattori di un successo che ha stravolto lo scenario mondiale dell’automotive.

Solo in Italia nel 2011 il numero delle Fuoristrada e Sport Utility incideva per il 16,1 per cento sull’intero mercato, quattro anni più tardi, nel 2015 l’incidenza delle Sport Utility sale al 25,1 per cento per raggiungere il 38,6 nel 2018. E’ prevedibile che entro pochi anni le Sport Utility saranno l’altra metà del cielo dell’automotive. Uno sguardo alla Cina, mercato non ancora maturo, ci restituisce un dato altrettanto interessante relativo alle Sport Utility che evidenzia come negli ultimi tre anni, ben ventinove case costruttrici cinesi hanno prodotto più di dieci milioni di Sport Utility e Crossover destinate al mercato interno.

Un fenomeno di questa ampiezza, totalmente globalizzato, ha senz’altro un suo perché. Non è però né semplice né immediato aggregare le motivazioni che hanno avvicinato milioni di clienti alle Sport Utility.

Tracciare a livello globale una mappa attendibile delle motivazioni è complesso; tante infatti sono le peculiarità che differenziano tra loro i continenti e all’interno di essi i singoli paesi. A volte è la morfologia del territorio e la carenza e lo stato delle strade, come avviene in Africa, in ampie aree del sud America o in Medio Oriente, a rendere necessario l’impiego di veicoli dall’elevata mobilità; Negli Stati Uniti, accanto ad esigenze prettamente operative, gioca un ruolo importante la matrice culturale di questo paese che da sempre, al di fuori delle aree metropolitane, ha individuato nel pick-up il mezzo multiuso più adatto.

In Italia come in altri paesi europei l’acquisto di una vettura stradale, di una Fuoristrada o di una Sport Utility, è sempre frutto di una negoziazione tra l’aspetto funzionale (mi serve, non mi serve) e quello emotivo (mi piace non mi piace). Per questi veicoli tutto ciò che riconduce ad una sfera emotiva gioca un ruolo importante e ad essa va ricondotto il significato simbolico che le Fuoristrada e le Sport Utility racchiudono e che per un processo di transfert vengono fatte proprie da chi è alla guida. Un veicolo ritenuto inarrestabile è come se dicesse “non ci sono strade sulle quali non posso andare”, “con me vai ovunque”. Non ci sono ostacoli che mi possano fermare è quanto viene percepito e fatto proprio da chi è alla guida.

La dimensione, l’altezza da terra, una posizione di guida elevata rispetto alle vetture stradali che ci precedono, trasmettono un senso di sicurezza e di indistruttibile solidità. Accarezzandola con lo sguardo, stringendo il volante ci sentiamo invincibili. 

Una sensazione che sopravvive nonostante in questi ultimi anni l’evoluzione meccanica della specie, veloce quanto crudele, ha, passo dopo passo, eliminanto tutto ciò che non era più necessario alla sua evoluzione e al suo adattarsi al nuovo ambiente: la strada, relegando terra e fango ad un lontano ricordo dal contorno sempre più sfumato.

Allora via il riduttore al cambio, pesante e costoso, via i differenziali meccanici e i relativi sistemi di bloccaggio, via il robusto telaio a longheroni e traverse. Via anche al punto di forza per eccellenza delle fuoristrada e delle Sport Utility: la trazione sulle quattro ruote.

Che cosa è rimasto nei più recenti modelli se non una ingannevole illusione. 

Può bastare, ci dice il mercato.

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