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Fondi pensione: datemi una leva, e gonfierò la bolla

Mentre il mercato azionario prosegue la sua problematica ascesa, sia pure tra episodi di elevata volatilità, un grande fondo pensione statunitense annuncia un fondamentale cambio di strategia gestionale, che pare essere il figlio “nobile” dei tempi che stiamo vivendo, da ormai oltre un decennio. Anzi, da due.

Calpers è il fondo pensione dei dipendenti pubblici californiani; gestisce 400 miliardi di dollari, oggi paga la pensione a 1,9 milioni tra poliziotti, vigili del fuoco ed altre categorie pubbliche; da qualche tempo sta riportando in house la gestione, togliendola a gestori esterni. In tal modo, si garantisce un forte risparmio sulle commissioni di gestione, oltre (aggiungerei io) ad evitare le ormai abituali sottoperformance che la gestione attiva su mercati quotati subisce per opera di investimenti passivi, fondi indice ed Etf.

 

Secondo Ben Meng, responsabile investimenti di Calpers, questa prima mossa ha permesso di conseguire risparmi su commissioni di gestione per 115 milioni di dollari annui. Calpers, come ogni fondo pensione a “benefici definiti”, cioè che promette di pagare una data somma ai pensionati, ha un grosso problema, anzi ne ha tre: bassi tassi d’interesse, bassa crescita economica, prezzi storicamente elevati degli investimenti, circostanza che porta con sé minori ritorni attesi. Ad oggi, il patrimonio di Calpers copre solo il 71% delle passività attuariali, cioè degli impegni di spesa futuri.

Con importi fissi da pagare ai pensionati odierni e futuri, ogni sbilancio deve essere colmato con maggiori tasse statali, maggiori contributi per lavoratori e imprese e/o minori pensioni per i nuovi assunti. Oppure si può abbandonare il sistema dei benefici definiti e lasciare a carico del lavoratore l’alea dell’andamento dei mercati, col rischio di ritrovarsi con assegni pensionistici risibili.

 

Quest’ultimo scenario, sia detto per inciso, è quello che caratterizza il secondo pilastro previdenziale un po’ ovunque, Italia inclusa. La stessa difficoltà a reggere lo sbilancio tra ritorno sugli investimenti e impegni pensionistici ha dato vita, negli Stati Uniti, agli schemi previdenziali 401(k).

I fondi pensione che ancora lavorano con piani a benefici definiti devono quindi ingegnarsi e far lievitare il ritorno sugli investimenti. In che modo? In primo luogo, aumentando gli investimenti alternativi illiquidi non quotati, come private equity e private debt. In secondo luogo, usando la leva finanziaria, cioè indebitandosi, per amplificare i guadagni.

Riguardo agli alternativi illiquidi, la grande dimensione e forza negoziale di Calpers consente di guardarsi intorno per il pianeta per trovare le migliori opportunità ma anche per arruolare i migliori gestori alternativi. Al contempo, l’uso della leva finanziaria permette di spremere più ritorno anche da investimenti che ne promettono uno esiguo.

Dopo aver preso la decisione di ricorrere alla leva finanziaria, bisogna decidere in quale entità e su quali investimenti. La differenza è rilevante per il profilo di rischio. Se compro un titolo di stato statunitense a due anni, che oggi rende poco meno di 1% annuo, posso metterci sopra molta leva, indebitandomi a tasso zerovirgola (variabile), e dormire tranquillo. Se invece faccio lo stesso con un fondo di private equity, come spesso fanno i gestori per esibire all’inconsapevole cliente un tasso interno di rendimento (IRR) stratosferico, e qualcosa va storto sono guai seri. Ma tanto io vivo nel lungo periodo, no?

Meng ha indicato che la leva potrà arrivare al 20% del patrimonio del fondo, cioè mobilitare sino a 80 miliardi di dollari, attraverso debito ma anche contratti futures azionari, e potrà interessare qualsiasi investimento.

Un gioco d’azzardo, favorito dalla considerazione che le banche centrali corrono in soccorso dei mercati, appena le cose si mettono male? Il sospetto viene, ed è solo in parte sopito dalle dichiarazioni di Meng, che ribadisce che il fondo pensione è investitore di lunghissimo termine, quindi può reggere le turbolenze di breve periodo, disponendo di un imponente flusso di contribuzione che gli permette di ricevere prestiti a condizioni stracciate.

La realtà è che l’azione delle banche centrali, volta a sopprimere la volatilità, sta spingendo molti investitori ad accarezzare l’idea di “mettere a leva” tutto. Ché tanto, se succede qualcosa, le banche centrali non permetteranno che crolli rovinosi delle quotazioni trascinino con sé l’economia reale o di lasciare senza pensione milioni di persone, no? E via così, in una spirale di cui è meglio non immaginare l’esito ultimo.

Siamo prigionieri di una bolla, in pratica. Mi ricorda qualcosa.

Foto di Alexas_Fotos da Pixabay 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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