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Flat tax e riforma Legge Fornero: aperti i primi tavoli negoziali tra governo e realtà

Lo scorso 4 giuggno il governo Di Maio-Salvini è entrato nella pienezza della propria legittimazione parlamentare, con il discorso programmatico e la fiducia al Prestanome del Consiglio Giuseppe Conte, pare siano già iniziati i negoziati con la realtà del nuovo governo gialloverde, e si preannunciano tutt’altro che semplici.

Sono due le “vertenze” tra maggioranza e mondo reale, che stanno emergendo in tutta la loro criticità: flat tax e riforma della legge Fornero. Riguardo alla prima, abbiamo avuto un florilegio di dichiarazioni di matrice leghista che, identicamente a quanto accadeva in altri governi non del Cambiamento ma delle sporche élites omofile e sorosiane, ha creato un discreto casino. Quando parte, ‘sta benedetta flat tax a due aliquote, quattro scaglioni e sistema antipattinamento con interni in radica? E per chi? Abbiamo sentito illustri professori no-euro impegnati in improbabili spiegazioni su “accordi” sulla sequenza di introduzione. Prima le aziende, i professionisti, le partite Iva, poi le famiglie o prima le donne e i bambini? Tra un anno, due, oltre? Ah, saperlo.

Al lancio dall’aereo di volantini leghisti si è contrapposta la contraerea del Pd: “la flat tax c’è già, si chiama Ires, e per le società di persone è l’Iri, imposta sul reddito dell’imprenditore”. Si e no, amici piddini. Intanto, è vero che l’aliquota Ires è al 24%, ridotta nell’ultima legislatura. Ma ricordiamo anche che l’Iri non è ancora partita, perché il governo Gentiloni non ha trovato le coperture. I leghisti, nel loro orwellismo linguistico, parlano poi di doppia aliquota anche per l’Ires, e qui il mistero si taglia col coltello.

Diciamo che, per le partite Iva, sarebbe cosa interessante disporre di una tassazione così agevolata, ma non scordiamo che già oggi, col regime forfettario, a seconda delle tipologie di attività, per redditi tra 25 e 50 mila euro vige una flat tax del 15% inclusiva di Iva ed Irap. Quindi questa è già categoria da proteggere, magari con clausola di salvaguardia. Nel frattempo, Assolombarda, per voce del suo presidente, fa sapere che preferirebbe l’azzeramento Irap anziché l’alleggerimento Ires, e costerebbe anche meno, oltre a non creare casini alle banche che dovrebbero svalutare i loro deferred tax asset e perdere così mezzi propri. E comunque, Matteo Salvini ha già detto che “prima la pace fiscale”, cioè i condoni, poi l’alleggerimento fiscale.

Il punto è uno solo, però: quanto coprirebbe l’ennesimo condono a raschiare il barile, dopo le misure degli ultimi due anni, che condono in senso stretto non erano, visto che prevedevano il recupero integrale delle imposte senza applicazione di sanzioni ed interessi? E soprattutto, quanto costerebbero le misure?

Il secondo tavolo negoziale con la realtà è un pet project congiunto tra leghisti e grillini: la riforma della legge Fornero. Pare si potrà andare in pensione anticipata a “quota 100”, come somma di età anagrafica e contributi, ma anche no, visto che l’età anagrafica minima sarebbe posta a 64 anni, segando le gambe a tutti quelli che hanno avuto carriere contributive discontinue. Quindi, misura molto pro-Padania, per usare una vecchia caratterizzazione geopolitica oggi caduta in (temporaneo) disuso, dove i pensionandi di solito hanno percorsi contributivi lineari e senza buchi.

Certo che, come ho scritto, se facciamo uscire a quota 100 o quota 41 anni di contributi a prescindere dall’età, oltre a pagare pensioni da fame che ci regaleranno per i prossimi lustri sdegnate inchieste giornalistiche sulla condizione dickensiana dei nuovi pensionati, occorre anche fingere di recuperare coperture. Pare che l’idea del nuovo esecutivo sia quella di abolire l’Ape sociale, oggi utilizzata per l’anticipo dei lavori usuranti, che escono prima dei 64 anni (tu guarda il demonio celato nei particolari), e che costa circa 6-700 milioni annui. Sono peanuts ma tutto fa burro d’arachidi, dopo tutto.

E quindi, che fare? Pare stia facendosi strada l’idea di imporre alle imprese fondi di prepensionamento sul modello di quello del settore bancario, molto costoso, col quale gestire gli scivoli. Come spiega oggi Paolo Baroni su La Stampa, il fondo uscite anticipate dei bancari destinato a gestire 25 mila esodi con scivolo sino a 7 anni al costo di ben 5 miliardi, di cui 648 milioni di soldi pubblici, è alimentato da prelievi dello 0,2-0,3% sul costo del lavoro, per due terzi a carico delle banche. Pensate se si decidesse di fare qualcosa del genere su tutti i comparti d’imprese: forte aumento del costo del lavoro, e via ai licenziamenti collettivi per cercare di sopravvivere. C’è sempre qualcuno più usurato e precoce di te, che ti usura.

Lo so, lo so: se si potessero emettere mini-Bot per gestire queste seccature, sarebbe molto meglio. Del resto, lo strumento è nel Contratto, no? Sì, solo che è stato concepito in ipotesi di rottura con la Ue e per agevolare il blocco dei movimenti di capitale che doveva essere decretato durante il weekend piovoso di uscita dall’euro, prima che i bancomat finissero ad emettere carta igienica. Nel mondo reale, lo strumento non può essere utilizzato.

Sarà quindi un negoziato durissimo, quello tra gialloverdi e realtà. Sarà scandito dalla ferrea volontà di semplificazione che caratterizza questo esecutivo. Ad esempio, si è parlato di flat tax solo sui redditi incrementali, oppure solo per famiglie con 3-4 figli a carico, o presto anche per chi ha occhi bicolori o è nato il 30 febbraio. La microgestione delle eccezioni, per semplificare, porterà a crisi di nervi ed accentuerà alcune caratteristiche turbe psichiche in soggetti che erano palesemente predisposti. Mentre dal loggione si leverà il coro “lasciateli lavorare”, sostituito in un secondo momento da “colpa della Germania”, mentre puntuti editorialisti verranno visti vagare per le strade sventolando copie sgualcite del Financial Times, mentre gridano “ecco, vedete? Lo hanno scritto anche loro, solo un caso? Io non kreto!”.

È l’Italia che va. Meglio non dire dove, anche per non scadere nello scurrile.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Elena (---.---.---.113) 9 giugno 2018 11:23

    Diciamo ,che sono solo parole quello che hanno detto,i fatti saranno ben diversi per noi italiani .E comunque condivido l’articolo in pieno.

  • Di pv21 (---.---.---.225) 9 giugno 2018 19:19

    Tener botta >

    Il TASSO d’interesse sui nostri Btp è salito sopra il 3% quando sembrava che dovessimo ricorrere a un governo “tecnico” con ritorno alle urne entro luglio.

    DOPO la fiducia di Camera e Senato al governo “politico” di G Conte detto tasso è tornato a salire sopra il 3%. Uno “scherzetto” da circa 4 miliardi all’anno di ulteriori interessi da pagare.


    Il rapporto Debito/Pil non è roba da “propaganda”.

    Quando si è sull’orlo di un burrone è prioritario tener botta.

    Le “svolte” epocali sono messaggi tipici di un Dossier Arroganza

  • Di pv21 (---.---.---.225) 10 giugno 2018 19:50

    Purché vada >

    Visto il tasso d’interesse sui nostri BTP risalito al 3%, Giovanni TRIA, neo Ministro dell’Economia, fa sfoggio di “oculatezza” nella gestione delle risorse disponibili.

    Riconfermata la nostra appartenenza alla Zona Euro e la categorica volontà di frenare DEFICIT e DEBITO, Tria “vincola” modi e tempi di attuazione delle varie “promesse” (legge Fornero, reddito di cittadinanza, flat tax ecc) alla loro accertata compatibilità e “sostenibilità”.

    Con il felpato “controcanto” dei leader fautori di tali “svolte epocali”.


    Tutto questo al fine di “tranquillizzare” da subito i mercati e quindi di riconfermare almeno i margini di flessibilità finora concessi dalla UE.

    Purché vada.


    Se non altro è un’anteprima del passaggio dalle parole ai fatti.

    Anche nel paese del Barbiere e il Lupo spuntano ...

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