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Fisco: ipotesi dal programma demostellato

Ora che (grazie al militante ignoto della piattaforma Rousseau) pare avremo un governo, con spiccata predilezione per il sinistro tema del tassa & spendi, possiamo iniziare (chi ha tempo, non aspetti tempo) a delineare le modalità operative di alcuni punti programmatici. Prendetelo come il divertissement di un paese fallito, o come un esercizio speculativo nel senso di lettura del futuro ed evitate di menarmela con le solite domande “ma allora, lei che farebbe?”.

Alla realtà servirà un po’ di tempo per iniziare ad affermarsi anche su questo esecutivo. Il primo colpo alla porta sarà relativo alla “richiesta di maggiore flessibilità” alla Commissione Ue. Qualcuno da noi pensa che la stagnazione (o pre-recessione) tedesca abbia suonato il “liberi tutti” per una spettacolare sbracatura fiscale, o anche che lo scampato pericolo salvinista verrà premiato da Frau Ursula e amici con una ventina di miliardi di deficit caldo di forno. La tenerezza che suscitano gli italiani nei loro desiderata trova puntuale conferma.

Il perno di tutto è la riduzione del cuneo fiscale a vantaggio dei lavoratori, un evergreen della politica italiana da alcuni lustri. Aggiungendo a ciò il preambolo programmatico “redistributivo” e l’esigenza di trovare risorse per le coperture, oltre al cappello supremo che postula una “manovra espansiva senza compromettere l’equilibrio della finanza pubblica”, credo si giunga in modo piuttosto agevole all’esito seguente.

Attuare una manovra espansiva senza aumentare il deficit ci porta dritti nelle verdi praterie del moltiplicatore del bilancio in pareggio, noto anche come Teorema di Haavelmo. Che di fatto postula che un aumento di spesa pubblica finanziato con aumento delle tasse si risolva in un potenziale espansivo netto. Se ipotizziamo che i soggetti a minor reddito abbiano maggior propensione al consumo, in quanto soggetti a vincoli di liquidità, ecco che serve irripidire la curva Irpef, nel senso di alzare l’aliquota massima e ridurre quelle più basse.

La stessa cosa si può ottenere con “rimodulazione” delle tax expenditures, nel senso di ridurle per i “ricchi”. Ovviamente, il punto cruciale è capire chi sono i “ricchi” ma per fare questo si applica una tecnica di reverse engineering dove, dato l’obiettivo di soldi da rastrellare”, si identifica lo scaglione d’imposta da cui colpire. E qui vale il celeberrimo “Teorema di Petrolini”, quello secondo il quale bisogna andare a prendere i soldi dove ce ne sono tanti. Cioè dai “poveri”, che sono il gruppo più numeroso.

 

Detto in soldoni, attendiamo di capire se piangeranno i ricchi da 30 mila lordi annui o più, e quanto di più. Partire dai 40 o 50 mila sarebbe un duro colpo alla plutocrazia di casa nostra.

Per gli appassionati di behavioural economics de noantri, ecco un suggerimento al governo nascente: tenete ferma l’aliquota massima al 43%, riducendo però la soglia dello scaglione d’imposta. Avrete più gettito ma potrete andare in giro per feste di partito e in televisione dicendo che “le aliquote Irpef non sono state aumentate!”. E visto il paese in cui ci troviamo, troverete pure orecchie entusiaste.

Foto: EU2017EE Estonian Presid/Flickr

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