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Fisco, Italia e Vaticano. Si fa presto a parlare di trasparenza

Il concetto di trasparenza applicato al contesto politico sociale di un Paese, cioè quando riguarda l’amministrazione della cosiddetta res publica, impone in modo imprescindibile un atteggiamento di apertura, informazione, comunicazione e responsabilità a chi governa. Quello della trasparenza è quindi un vero e proprio dovere delle istituzioni nei riguardi dei propri cittadini. Va da sé che denunciare tutte le occasioni in cui di questa trasparenza se ne dà una pessima declinazione, nella sostanza della vita quotidiana sociale, diventa a nostro parere anch’esso un dovere civico. Procediamo per gradi, cronologicamente e attraverso testimonianze e fatti relativi all’affaire “Convenzione in materia fiscale tra l’Italia e la Santa Sede”.

Era il 1° Aprile 2015 quando questa convenzione veniva firmata dal Ministro dell’Economia Padoan e dal Cardinale Paul Richard Gallagher, e presentata come un accordo per una mutua collaborazione e un maggior scambio di informazioni a livello fiscale tra i contraenti. Già alla prima pagina del testo definitivo si sottolineava la reciproca opportunità nel segno della “trasparenza”, e si sottolineava l’esigenza dei due paesi di dare “piena attuazione all’art. 16 del Trattato del Laterano” (Immobili). Media, organi di stampa e giornalisti da sempre alacremente dediti a dare peso e visibilità alla presunta e quanto mai banale “rivoluzione” bergogliana, senza mai preoccuparsi di verificare se alle parole seguano anche fatti concreti, si gettarono sulla notizia, tralasciando o sottovalutando di dare il dovuto peso all’art. 6 di questo accordo che vale la pena leggere e rileggere ancora cento volte, per capirne meglio la portata.

Un condono fiscale de facto, che visto il periodo avrebbe dovuto far cadere dalla seggiola parecchi anche dentro il Parlamento, invece non ha suscitato praticamente nessuna reazione. Si potrà obiettare che forse era un periodo in cui l’attenzione non era ancora alta, prima di libri scomodi e attici ancora più scomodi. Un periodo in cui le manovre politiche sui rapporti tra Italia e Vaticano non erano ancora finite sotto la lente di ingrandimento, insomma. Alla fine di agosto il governo presentava alcuni provvedimenti attuativi di accordi fiscali con diversi paesi, fiscalmente definibili paradisiaci, tra i quali anche il Vaticano che come si sa, su certi paradisi ha sempre dato lezione a tutti. Notizia, anche questa, passata per lo più in sordina.

Nei giorni scorsi, a un anno esatto dalla presentazione di questo accordo fiscale, neanche a dirlo senza troppo clamore mediatico, è stata votata e approvata dal Parlamento la ratifica della convenzione. Votazione senza alcun intoppo e con la presenza di un unico vano emendamento presentato da Alternativa Libera – Possibile (On. Maestri). Possibile ha inizialmente affermato che non vi era nella convenzione un elenco “definito” di immobili soggetti a questo condono che hanno definito “tombale”. In effetti non è dato sapere se oltre agli immobili indicati siano o meno compresi, e quali essi siano o saranno, gli annessi e dipendenze. Particolare di non poco conto se si considera che stiamo parlando di un accordo sottoscritto insieme al pro­prie­tario del più grande patrimonio immo­biliare italiano, se non dell’intero pianeta. Con questi presupposti risulta difficile parlare di trasparenza, per un testo approvato e ratificato in sordina che non contiene numeri, cifre, e stime riguardanti l’ammontare di questo condono fiscale, nemmeno in una eventuale relazione messa al vaglio di chi poi la convenzione ha dovuto votarla in Parlamento. Nessuna somma ricavata da cause pendenti. Nessuna previsione di ricaduta sui bilanci finanziari degli enti che ancora hanno in corso contenziosi tributari.

A nostro avviso, se il governo vuole condonare qualcosa alla Chiesa (e non sarebbe la prima volta) dopo 88 anni dalla firma dei Patti Lateranensi, possiamo anche fingere di tollerarlo e i più rassegnati potrebbero perfino riuscire a girarsi dall’altra parte, ma è osceno che i cittadini non possano sapere, nemmeno per approssimazione, quale sia l’entità del condono che arriva peraltro in tempi non certo floridi e a vantaggio di chi gode già di abbondanti finanziamenti. Una ratifica questa che si presume rientri nella stessa categoria di quelle manovre fatte di contentini ossequiosi elargiti in previsione di un imminente voto amministrativo, incerto e spesso traballante per i partiti al governo. Soprattutto se si pensa alle elezioni nella città di Roma, visto che il condono riguarderebbe una lista di edifici situati principalmente nella capitale. E si sa da precedenti vicende politiche come le amicizie d’Oltretevere, alla fine, incidano parecchio su quali terrestri o marziani debbano sedere o non sedere sulla poltrona del Campidoglio.

Se tutto questo ancora non bastasse per gridare allo scandalo, si pensi anche ai pochi media e giornali che hanno fornito spiegazioni o riferimenti in merito al voto di questa convenzione fiscale. La paura che si ingeneri un dibattito pubblico è evidente, tanto quanto la paura che i privilegi che man mano vengono accordati al Vaticano vengano messi in discussione. Capiamo bene che nemmeno il più laicista dei governi riuscirebbe a fare una mappatura completa degli immobili di proprietà del Vaticano, di quali possano ragionevolmente essere esentati dal pagamento delle imposte e quali no. Ciò che non capiamo è come si possa continuare a parlare di trasparenza e di “Chiesa povera”, strizzando l’occhio ai media, quando questo è il modo in cui vengono affrontati gli affari riguardanti la Chiesa nel Parlamento italiano. La Santa Sede ringrazierà chi di dovere a tempo debito. I cittadini laici del nostro Paese, difficilmente ci riusciranno.

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