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Finalmente Atei e Agnostici possono dirsi Credenti

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Cartelloni pubblicitari UAAR oggetto di sentenza Cassazione

Meno di un mese fa, una Ordinanza della Cassazione ha disposto che il diniego posto dal Comune di Verona all’affissione di un cartello dell’Unione Atei Agnostici Razionali (UAAR) nel 2013 venisse annullato. La sentenza è stata ripresa dalla stragrande maggioranza dei quotidiani nazionali con enfasi e faziosità, si è detto che credenti e non-credenti hanno gli stessi diritti, non è andata esattamente così. Il Giudice ha scritto che anche gli Atei e Agnostici sono credenti, è ben diverso. 

In Breve.

L’UAAR con sede a Roma presentava al Comune di Verona istanza di affissione, tramite il servizio comunale di affissioni pubbliche, di dieci manifesti recanti la parola, a caratteri cubitali, «Dio», con la «D» a stampatello barrata da una crocetta e le successive lettere «io» in corsivo, e sotto la dicitura, a caratteri più piccoli, «10 milioni di italiani vivono bene senza D. E quando sono discriminati, c’è l’UAAR al loro fianco». Il manifesto recava, altresì, in basso a destra, a caratteri ancora più piccoli e ristretti in un piccolo riquadro, il logo e la denominazione dell’associazione. La richiesta veniva respinta dalla Giunta Comunale «risultando il contenuto della comunicazione potenzialmente tale da urtare la sensibilità del sentimento religioso in generale». Da qui il ricorso al Tribunale di Roma, che confermava la decisione del Consiglio Comunale, anche la Corte d’Appello interpellata in successiva istanza ripeteva lo stesso giudizio. La Cassazione viceversa in ultima analisi ha ribaltato la sentenza dei tribunali precedenti affermando “…che anche il credo ateo o agnostico possa trovare fondamento nella disposizione dell’art. 19 Cost. (Corte Cost.,sent. n. 58 del 1960)”.

La battaglia di atei e agnostici

Fino ad oggi l’Unione Atei e Agnostici Razionalisti si è battuta con unghie e denti tra le persone comuni assumendo di possedere una verità razionale[1]. Nel nome stesso dell’Associazione c’è l’arroganza di essere Razionalisti, un rafforzativo che li distingue da qualunque altra associazione. Un’aggettivazione che attrae, riporta all’epoca dei lumi, all’uscita dell’uomo dallo stato di minorità a causa dell’incapacità di valersi del proprio intelletto. In realtà, i motivi della negazione di Dio partono da più lontano e non abbisognano di confutazioni scientifiche, di lumi o candele. Il Tetralemma di Epicuro[2] già nel IV secolo A.C. ha posto le basi delle contraddizioni divine, pressoché le stesse fino ai giorni nostri, con l’aggiunta di qualche piccola sfumatura come la “teira di Russel”[3], o le recenti parole di Paolo Veronesi nel suo libro “il mestiere di uomo”: “Dopo Auschwitz, il cancro è un’altra prova che Dio non esiste”. Forse la risposta più bella è stata proprio quella di un altro scienziato Antonino Zichicchi[4] “…il cancro è solo questione di cellule, mentre è l’universo la prova dell’esistenza di Dio…”. Nel suo libro “Perché io credo in colui che ha fatto il mondo” toglie ogni dubbio sul fatto che scienza e fede non sono in opposizione. Razionalità e credenze sono facce di una stessa medaglia. Un conto è confrontarsi tra “credenze” un altro è in ambito scientifico, altro ancora tra scienza e fede. 

Senza scomodare quanto hanno già detto teologi, filosofi e scienziati[5], non è una questione numerica o di nomi, quanti e quali sono gli scienziati credenti e quanti non. Non servirebbe neppure fare tabelle e grafici per capire l’incidenza tra il tasso di scolarizzazione dei credenti e non. Neanche trovare il rapporto tra quanti sono i criminali e quante sono le opere di bene tra atei e devoti. Tutte le statistiche del mondo non aggiungerebbero nulla a quanto già sappiamo, possiamo fare nostro questo o un altro discorso solo se lo sentiamo in accordo con il nostro modo di sentire le cose della vita. 

La razionalità questa sconosciuta

Non c’è una razionalità comune scritta sulla pietra. Lo scienziato, il perito, il tecnico non dice l’ultima parola e quella diventa una verità condivisa fino a prova contraria. Almeno, non è quanto constatiamo giorno per giorno, altrimenti non si spiegherebbero milioni di fumatori, milioni di persone che pur conoscendo i mali derivanti dalle sigarette scelgono volutamente di fumare a dispetto della salute per se stessi e chi sta loro vicino, dei costi individuali e per la comunità. Stesso discorso per chi fa uso di droghe, non basta il bombardamento mediatico dei danni derivanti, tanto meno la paura delle forze dell’ordine, o di perdere il posto di lavoro, di finire in galera, non si tratta neanche di un uso ad opera di persone poco acculturati, o di individui ai margini della società, spesso cocaina e pillole sono le preferite di liberi professionisti e della classe abbiente. Si può continuare all’infinito con esempi simili, pur conoscendo un “bene razionale” l’uomo si lascia andare al suo opposto, con il gioco d’azzardo, l’uso di alcolici, sesso, alimentazione, come se la capacità di discernimento si perdesse completamente, salvo in extremis a volte recuperarla. Se sul piano teorico la stragrande maggioranza potrebbe trovarsi d’accordo nell’affermare irrazionali le attività sopra citate, altre e tante scelte di vita potrebbero apparire insensate solo agli occhi di alcuni. Ad esempio, l’eremita, il missionario o il volontario, chi glielo fa fare di rinunciare alla vita di tutti i giorni, isolarsi, o dedicarsi agli altri, in nome di che? Stesso discorso ma in direzione opposta chi rinuncia a tutto per una carriera militare, politica, di potere, economica, artistica, di successo? Vale la pena sacrificarsi, combattere ogni giorno, ogni minuto e con ogni mezzo per affermare se stessi, magari a discapito degli altri? Ci sono dei limiti alla corsa della nostra affermazione oppure la “volontà di potenza” non deve essere confinata? Così pure chi rinuncia a mangiare la carne per una convinzione morale, vale la pena? Sulla mancanza di una oggettiva razionalità individuale e ancor più collettiva dell’essere umano si potrebbero leggere fiumi di libri, alla fine dei quali probabilmente non troveremmo le risposte univoche per tutti, semmai personali che concordano e risuonano in noi, ci trasportano verso un mondo che sentiamo nostro. I libri, le persone che incontriamo, gli accadimenti quotidiani non ci cambiano, ma esaltano, mandano in risonanza, in relazione con la parte più intima e profonda di noi. Dove, come e quando si va in contrasto con la razionalità? Colpa dei poteri forti, del Bilderberg, nuovo ordine mondiale, delle chiese di tutto il mondo? Nel “mondo delle scelte” ci sono altre regole, altra gravità, altri rapporti tra gli elementi. Cosa significa essere razionali, rispetto a cosa? Alle opzioni di scelta per un maggior vantaggio? Alle regole sociali che ci siamo dati? Alle scoperte della scienza? O razionali semplicemente rispetto a ciò in cui crediamo e perseguiamo? Fino a prova contraria, i limiti delle credenze sono quelle imposte dalla legge, ma, valgono solo questi recinti oppure ve ne sono altri non scritti, morali, interiori che ci diamo autonomamente a prescindere dalla scienza, dall’utile e dal compromesso? Più che di razionalismo forse si dovrebbe parlare di “metodo tecnico”, da distinguersi dalla capacità di discernimento, di fare la scelta giusta date le condizioni di premessa e di contesto. Il giusto non è solo l’utile, il calcolabile solo per noi e chi ci sta vicino. Il giusto non è solo pragmatico, pratico, non segue le mode, non accontenta tutti e spesso non si comprende subito, ha un tempo suo più dilatato. Non basta neanche essere eruditi per non farsi prendere da passioni e desideri. Il giusto nel mondo morale individuale trova rimbombo con la nostra credenza, spiritualità, con quelle voci che sentiamo dentro di noi quando stiamo per prendere un decisione.

Furio il più simpatico dei razionalisti

Nel film “Bianco rosso e verdone” l’autore ci presenta tre protagonisti intenti a intraprendere un viaggio per raggiungere i rispettivi seggi elettorali. I personaggi interpretati tutti da Carlo Verdone: sono uno spaccato di difetti e pregi di umanità differenti. Mimmo, un giovane ingenuo e goffo ma allo stesso tempo premuroso con sua nonna e Pasquale, un emigrato del Sud Italia residente a Monaco di Baviera, che in Italia trova una accoglienza tutt’altro che calorosa. E poi c’è Furio, un funzionario statale estremamente razionale, morbosamente pignolo. Da allora quando pensiamo ad un personaggio precisino, antipatico attento a prendere la decisione giusta, la mente ci porta a lui. A quanti piacerebbe averlo come amico, cognato o parente, il discorso cambia. 

Credenze e confutazioni

A quante cose crediamo, le diamo per scontate e magari non c’è alcun nesso con la realtà. Crediamo che i nostri genitori siano quelli che da sempre chiamiamo mamma e papà, salvo poi leggere le statistiche che almeno un 30% di noi potrebbe non essere discendente naturale di chi pensa. Quanti di noi si angosciano per fare il test del DNA per scoprire la verità? Una volta scoperto farebbe la differenza verso un padre, una sorella, una nonna che abbiamo condiviso una vita intera? Tranne per questioni di rivalse ereditarie, per la stragrande maggioranza delle persone il problema non si dà. La confutazione scientifica biologica non sposterebbe di un millimetro il bene o l’odio verso quel genitore/nonno colto in “flagranza di reato”. Stesso discorso per i tradimenti nelle coppie sposate o conviventi, le statistiche rimandano a poco meno del 60% di relazioni extraconiugali, quanti si preoccupano di mettere alle calcagna del consorte un investigatore per verificare se rientrano o meno in quella casistica? E quanti, una volta scoperto perdonano, cercano una soluzione che non sia vendicativa, legale? Soprattutto, per coloro che il test del DNA sarebbe necessario per avere la confutazione massima di non essere in errore, in che rapporto si metterebbero con la restante società? Magari, prima di mangiare una scatoletta di tonno la farebbero analizzare dallo stesso laboratorio per avere la conferma che la data di scadenza scritta sul barattolo coincida con il deterioramento organico, si toglierebbero il dubbio che non sia già scaduta e non sia contaminata da sostanze pericolose? Per quale motivo dovrebbero aver fiducia in chi l’ha confezionata, trattata, datata, distribuita sul territorio? 

La condizione esistenziale dell’uomo

Tutta la società vive sulla fiducia, sulla credenza, nella speranza che ognuno faccia il proprio lavoro, che la comunità in cui viviamo sia quella più accettabile per la nostra convivenza. E’ la condizione esistenziale dell’uomo quella di credere, di affidarsi agli altri, di prendere per buono inizialmente quanto ci viene ripetuto. Sin da piccoli dobbiamo fare un atto di fede, quando la mamma ci dice questo è tuo papà e tua sorella, è giusto andare a scuola, è bene studiare, è bene fare attività sportiva, è bene ascoltare la maestra, stare attenti in classe, non è bene picchiare i compagni, rubare le merendine e stare attenti a non farsele rubare, non farsi giustizia da se ma andare dalla maestra, poi più avanti si dirà di non fumare, non bere alcolici, non prendere droghe, non andare veloce in macchina, mettiti il preservativo e così via. Salvo crescendo poi fare nostre o ripudiare quelle parole, quelle credenze che ci sono state tramandate nei secoli dei secoli. Quelle parole materne ci sono scivolate o attaccate nelle carne, volenti o nolenti. E perché mai in mezzo a tante credenze, quella che esiste Dio dovrebbe essere la più mortale, da scacciare immediatamente, senza passare al vaglio dell’esperienza della vita di ogni essere umano. Non vale la pena confutare quanto volatili siano le certezze scientifiche, tanto più che dovremmo ringraziare volta, volta dei successi raggiunti dalla scienza. Si possono fare mille esempi in cui la fiducia sul metodo scientifico, sul già detto, già controllato, già verificato non basta, non esaurisce le paure o le certezze che tutto sia così come dovrebbe essere. Abbiamo un riscontro quotidiano di medicinali, tecniche terapeutiche che si sono scoperti fallaci se non addirittura nocivi, dopo tanti anni di utilizzo. Eppure era stata la scienza a darci evidenza della bontà di quei frutti basati sul metodo razionale. Per esperienza basata sulla confutazione, dovremmo controllare ogni farmaco prescritto dal medico nel famoso laboratorio per avere l’ultima certezza? Anche interpellando il miglior laboratorio del mondo, ci accorgeremmo che abbiamo solo spostato la fiducia un pochino più avanti, ci dovremmo affidare ai risultati di quel luminari, a meno che non diventiamo noi stessi scienziati. Non solo nella medicina, pensiamo a tutti quei materiali utilizzati per la costruzione di case, navi, magazzini come l’amianto, in primis dato per la soluzione ottimale a tutti i problemi e poi si è scoperto che è stato il problema dei problemi. Vogliamo parlare dell’informazione, di quelle monumentali balle create ad arte per scatenare una guerra, un’azione di rivalsa, una strage. Non dobbiamo fare nostra alcuna notizia giornalistica fin quando non siamo noi stessi la fonte di quella informazione? 

Domande e risposte

Spesso quando mancano le risposte non sempre dipende dal fatto che non ci sono o non sappiamo trovarle. Può semplicemente voler dire che le domande sono sbagliate o non attualizzate. L’uomo “crea un concetto” – ad esempio Dio – che esprime con una parola, poi per millenni si chiede cosa rappresenti quel concetto dimenticando che è una sua creazione. Dimenticando il perché ha generato quel concetto, era un bisogno, una verità o una strumentalizzazione? Ecco perché per alcuni potrebbe non aver alcun senso chiedersi: qual è l’origine dell’universo? Chi ha creato l’universo? Qual è la causa causarum? Esiste un unico fattore o più determinazioni? Come è possibile che non ci sia una origine o una fine? E dopo la fine? L’esistenza ha un senso? Sono domande e risposte che oggi appaiono insensate, contraddittorie, aporetiche, apodittiche. Probabilmente dipendono esclusivamente dalla nostra soggettività ed esperienza. Il fatto di porsi una domanda anziché un’altra, o dare una risposta in un modo invece che il suo contrario, dipende da noi. Non c’è scienziato, psicologo, politologo, sociologo, giurista, teologo, poeta o artista che può rispondere a nome nostro. Ognuno di questi luminari ci può aiutare, noi possiamo sentire un afflato, credere in qualcosa piuttosto che niente, possiamo continuare a studiare per tutta la vita senza giungere a conclusione. Domande e risposte esistenziali sono facce della stessa moneta. A volte si danno a volte no, a volte rispondiamo bene altre volte sbagliamo, alcune volte è errata la domanda altre volte la risposta.

La Sentenza della Cassazione

Torniamo ai giorni nostri, ai tempi del coronavirus e al Giudice della Cassazione che finalmente ha accolto il ricorso dell’UAAR. E’ curioso vedere che sia la struttura del ricorso sia la decisione del Giudice non fa alcun cenno al razionalismo del pensiero che si intende difendere. No, niente di tutto ciò. Scrive l’Associazione “..si duole la ricorrente del fatto che la Corte d’appello abbia escluso la sussistenza della violazione del principio di libera espressione della propria libertà religiosa, nella forma negativa della mancanza di un credo religioso, dunque, che il diritto degli atei ed agnostici di professare un credo che si traduce nel rifiuto di una qualsiasi confessione religiosa (credo religioso «negativo»). Bene, finalmente siamo tutti d’accordo stiamo parlando del diritto di confessare un “credo religioso negativo”, non c’è alcuna pretesa di dimostrazione logica scientifica, ma unicamente la richiesta di libertà di espressione di un “credo” valido tanto quanto gli altri. Ci mancherebbe. Siamo tutti contenti che finalmente si è sciolto il dubbio, l’ateismo non è una posizione razionale ma un credo paritetico agli altri. Stop.

Per capire l’importanza di questo passaggio dovremmo provare a tonare indietro nel tempo, immaginare Galileo Galilei, anziché abiurare per le sue scoperte frutto “di sensate esperienze e necessarie dimostrazioni” avesse invocato la libertà di espressione, di dire la sua senza pretesa di confutazione, o richiesto l’infermità mentale. Ma, non era in gioco la libertà di espressione, ma la presunta “verità del mondo” in quel tempo. Vi era una sostanziale battaglia di “Verità” tra quella fisiologica, cosmologica di Galileo e quella teologica esistenziale della Chiesa. Due “Verità” che erano in contrasto ed oggi per molti aspetti è un discorso superato. Molto più dignitoso e sensato per Galilei fu di abiurare, fare un passo indietro totale in cui tutto era frutto di un abbaglio, comprese “le sensate esperienze e necessarie dimostrazioni”. D’altra parte, Galileo lo sapeva che non occorreva il martirio, mantenere un vessillo in nome della scienza, le sue “esperienze e dimostrazioni” prima o poi sarebbero state note a tutti. La Sua era una verità, era la Terra a girare intorno al Sole e non viceversa. Non era in gioco la libertà di espressione, ma la libertà di fare scienza ed il suo metodo avrebbe fatto scuola nei secoli a venire. Il suo passo indietro personale era per farne fare cento avanti alla scienza.

Tutto il discorso UAAR in questi sette anni di tribunali ed interventi dei vari giudici si è ridotto alla richiesta di professare un “credo ateo agnostico”, senza pretesa di possedere razionalità o verità scientifica. La struttura del ricorso si è basata sulla richiesta di libertà di espressione, di pensiero e di credo”. Si è invocato il «principio supremo di laicità», che caratterizza in senso pluralistico la forma dello Stato, un credo in forma di religione negativa, ma pur sempre un credo che grida dignità al pari di ogni religione positiva. I riferimenti alla costituzione italiana e quella europea sono stati lo sfondo (artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost. e dell’art. 1 del Protocollo addizionale al Concordato tra Stato e Chiesa del 1984). 

Il Giudice della Cassazione

Il Giudice conosce bene il suo lavoro, ogni giorno tocca con mano i casi della vita, a fronte di un colpevole c’è sempre un perito tecnico che porta prove contro di lui ed un altro di parte a sua discolpa. Chissà in quante cause ha visto un medico sostenere che il datore di lavoro ha fatto quanto dovuto e che non esistevano relazioni tra l’attività del dipendente e le malattie derivanti. Viceversa, il medico di parte del ricorrente ha portato prove dei nessi causali a favore del ricorrente. Questo succede in ambito medico, non parliamo se cade un ponte o una scuola ci sono ingegneri, geometri, architetti pronti con delle relazioni ed altri a prospettare un’altra visione. Nella controversa questione della TAV, laddove a battersi per una ragione del sì e del no sono professori universitari del politecnico con tanto di relazioni, calcoli, prove di “sensate esperienze e necessarie dimostrazioni”, povero Giudice che si trova a decidere, come farà? Ahinoi, in questa triste triangolazione tra “periti”, ricorrente e Giudice non mancano giudizi diversi a seconda della bravura, imperizia e umanità degli attori in gioco. Prova di questa morale interiore e autonoma, a prescindere dalla legge, è il fatto che su tre Giudici interpellati dall’Uaar solo uno ha dato loro ragione. Il giudizio che ha ribaltato i precedenti parte «dal riconoscimento del diritto di libertà di coscienza anche agli atei o agnostici, discende il diritto di questi ultimi di farne propaganda del proprio credo”.

Il Cartello galeotto oggetto della Sentenza

Nel merito del cartello, la scritta “ben dieci milioni di italiani (atei e agnostici razionalisti) vivono bene senza D”, che significa? Che tra di loro nell’immensa razionalità non ci sono fumatori, bevitori, giocatori compulsivi, cocainomani e via dicendo? Oppure che hanno un buon reddito, vivono più a lungo, seguono le leggi dello stato, sono esenti da malattie, conoscono a menadito il pensiero dei positivisti, non uccidono, non compiono atti impuri, non desiderano la donna d’altri, amano il prossimo loro come se stessi, tutto ciò senza bisogno di pregare e di credere in qualcosa. Bene, siamo contenti per il loro “vivere bene” in qualunque modo lo intendano. Posto così l’argomento dice “tutto tutto e niente niente”. Il problema non è cosa pensano loro di se stessi o cosa vogliono comunicare agli altri, ma cosa pensano gli altri di loro. Nessun uomo si pensi un’isola felice, capace di autonomia da poter fare a meno degli altri. Ho la strana convinzione, che ci sia più tolleranza, comprensione dei credenti nei confronti di atei e agnostici di quanta ve ne sia da parte loro verso i credenti. Basta girare tra i gruppi social, è notare che si tratta di un continuo sbeffeggiamento dei cattolici, ebrei, protestanti, mussulmani. Un continuo scriteriato sguardo dall’alto verso il basso, da chi ha il lume e la ragione a chi ha gli occhi chiusi e il cervello all’ammasso. Dalle vignette alle barzellette, paradossi, meme e freddure, fanno da sfondo ad un retro pensiero di superiorità, spesso il dileggio è rivolto ai capi spirituali, preti e cardinali, Papa, quando non diventano blasfeme. Non è un caso che il Giudice ha voluto precisare nella sentenza che la libertà del “..credo ateo agnostico purchè non si traduca, come di qui a poco si dirà, in forme di aggressione o di vilipendio della fede da altri professata ”. 

In conclusione

William James scienziato e psicologo uno dei padri del pragmatismo americano tra fine ‘800 e inizi ‘900, nel libro “la volontà di credere”, si chiede cosa ispira il voler credere? E’ indubbio, ci sono degli argomenti di fronte ai quali l’atteggiamento scientifico è giusto, se mi chiedo come è fatta una cellula dovrò andare in laboratorio, fare delle ipotesi, tenere conto dei risultati, usare un procedimento replicabile dimostrabile ovunque, non importa a cosa credi (Cristo, Budda, Nulla) le cose stanno così, la caduta dei massi avviene ad un’accelerazione di 9,8 m/s, l’acqua bolle sempre a 100 gradi a Parigi come a New York o Pechino, sono verità della scienza. Ma ci sono problemi della vita in cui la scienza non c’entra nulla, le grandi scelte morali, le cose importanti della vita, è bene fare questo o quello? Farò un figlio o non lo farò? Accetterò quel compromesso per la mia carriera o sarò integerrimo? Mi sposerò o continuerò a fare lo scapolone? Denuncerò all’autorità quei criminali mafiosi di cui sono stato involontario osservatore, oppure mi farò i fatti miei per evitare rogne alla famiglia? Di fronte a questi temi esistenziali la scienza, la razionalità, la legge non aggiunge nulla, non ci fa scegliere la cosa giusta, non ci esime da amarezze morali, non ci affranca dal rimuginare notturno “nell’ultima solitudo”. Le cose che contano devono essere scelte dalla “volontà di credere”, che non è semplicemente calcolo, razionalità, convenienza, ma l’insieme di desiderio, passione, speranza e buon senso. Non è che scegliamo la moglie semplicemente perché è bella, è ricca, o perché nel suo DNA non ci sono prospettive di malattie degenerative. Ma sono opzioni che facciamo solo sulla base di una fede, di una volontà di credere aldilà della scienza. La volontà di credere non nasce da una riflessione che tiene conto dei più e dei meno, mi conviene, dal pensiero calcolante, è la nostra natura passionale, il desiderio si muove molto prima della ragione, ci conduce verso strade pericolose, in controtendenza. E’ questa passione che deve essere rivendicata volontà di credere per una scelta su ciò che riteniamo salvifico, positivamente buono. 

Un mondo già fatto ed uno da fare

Attenzione, non è che c’è il mondo da un a parte con le sue leggi fisiche – con il compito della scienza di dirci come è fatto e naturalmente possono sbagliare – e poi dentro questo mondo ci siamo noi essere desiderosi e passionali, che hanno necessità di scegliere e possono sbagliare rispetto al mondo com’è. Non è che il mondo fisico e quello dei desideri sono uno dentro/esterno all’altro. Ma se il mondo così com’è non esistesse? Certo l’acqua bolle a 100 gradi, ma nelle grandi questioni morali non è già fatto, non ha già leggi scritte, ma lo dobbiamo fare noi. Nel mondo delle verità morali, la volontà di credere produce effetti, ha il potere di fare accadere le cose, la fede muove le montagne. Nel mondo delle verità morali la volontà di credere non dipende dalle ragioni di cuore, dalla natura passionale e volitiva, ma è parte integrante della comunità sociale, si identifica nel singolo uomo che è già parte sociale. Se voglio credere che il “non-credere” sia un bene, lo devo prendere con fede e adoperarmi come in fervido credente, è un’altra fede ma non c’entra nulla con la ragione e il razionalismo. La guerra che portano avanti atei e agnostici con estrema crudezza per propagandare il loro credo, ha lo stesso sfondo di qualsivoglia religione, in ultima analisi sono convinti che un ateo in più sarà è un bene per tutti.

Il Mistero

Nella Lettera aperta di Norberto Bobbio, pubblicata sui giornali il giorno dopo la sua morte come da sue ultime volontà, ribadisce di non essere credente e di volere una sepoltura civile, ammette che la vita è piena di mistero a cui l’uomo non riesce a pervenire. Il “Mistero” non è un enigma, una sfida intellettuale a cui prima o poi la mente giunge alla soluzione. Il mistero è lo sguardo verso l’infinito, quella domanda che non trova risposta, quella risposta che non ci convince, quell’amore non corrisposto, quella credenza a nostra immagine e somiglianza. Dopo la sentenza anche gli Atei e Agnostici possono dirsi CREDENTI, magari nel nulla/caos, ma pur sempre credenti. Il vero problema non è la negazione di Dio, poiché per gli atei che si struggono di dimostrarlo, vi è una tensione, fatica, un volontà di convertire gli altri a qualcosa che ritengono più buono, più vero, più giusto. Hanno tutta la simpatia e stima per questa posizione, credenza nel nulla/caos, non certo nelle scienza visto che ci sono scienziati e premi Nobel credenti. La brutalità di questo ultimo secolo non è la negazione, è il nichilismo, l’indifferenza, la convinzione che non si debba parlare più di Dio, non serve a nulla, né in termini positivi e ugualmente negativi. E’ un discorso superato, aria fritta.

La filosofia pagana non credeva nel risorto, come Epicuro non credeva negli dei, però aveva la sua fede. Ancora oggi risuonano nell’aria e nel cuore le parole di Socrate dal carcere di Atene, prendetevi cura della vostra anima.

Ferdinando Chinè

1 Maggio 2020

 

[1] Razionale (Treccani) agg. [dal lat. rationalis, der. di ratio -onis «ragione»]. – 1. a. Che è fornito, che è dotato di ragione: anima, creatura r.; molti [animali], quasi come razionali … la notte alle lor case senza alcuno correggimento di pastore si tornavano (Boccaccio). Nella filosofia platonica, anima r. (o parte r. dell’anima, gr. τὸ νοητικόν), la facoltà dell’anima che è principio dell’attività conoscitiva ed è moderatrice delle altre due facoltà, l’irascibile e la concupiscibile. b. Che procede dalla ragione, che è conforme alla ragione: principî r.; fondato sul ragionamento, condotto secondo il rigore logico, di metodo e scientifico, che è proprio della ragione: procedimento, criterio r., nel condurre ricerche di qualsiasi specie, nell’educare, ecc.; cura r. di una malattia, fondata su basi scientifiche, non empirica; alimentazione r.; 

[2] Tetralemma di Epicuro (342-270 a.C.) «La divinità o vuol togliere i mali e non può, oppure può e non vuole o anche non vuole né può o infine vuole e può. Se vuole e non può, è impotente; se può e non vuole, è invidiosa; se non vuole e non può, è invidiosa e impotente; se vuole e può, donde viene l’esistenza dei mali e perché non li toglie?» Il testo ci consegna tre possibili figure di Dio: un Dio debole, un Dio malvagio, un Dio misterioso. La lucidità intellettuale di Epicuro ha definito egregiamente il problema, e da allora lo status quaestionis è rimasto immutato, come dimostra Hans Jonas nel saggio Il concetto di Dio dopo Auschwitz, dove si riprendono le caratteristiche divine fondamentali esattamente nei termini di onnipotenza, bontà, comprensibilità”.

[3] La metafora del filosofo Russel della “teira celeste” in estrema sintesi, “..Se io sostenessi che tra la Terra e Marte c’è una teiera di porcellana in rivoluzione attorno al Sole su un’orbita ellittica, nessuno potrebbe contraddire la mia ipotesi, purché mi assicuri di aggiungere che la teiera è troppo piccola per essere rivelata, sia pure dal più potente dei nostri telescopi. Ma se io dicessi che – posto che la mia asserzione non può essere confutata – dubitarne sarebbe un’intollerabile presunzione da parte della ragione umana, si penserebbe con tutta ragione che sto dicendo fesserie. Se, invece, l’esistenza di una tale teiera venisse affermata in libri antichi, insegnata ogni domenica come la sacra verità ed instillata nelle menti dei bambini a scuola, l’esitazione nel credere alla sua esistenza diverrebbe un segno di eccentricità e porterebbe il dubbioso all’attenzione dello psichiatra in un’età illuminata o dell’Inquisitore in un tempo antecedente. »

[4] Antonino Zichichi scienziato, fisico, matematico, invece parte dalla considerazione che il cancro è solo questione di cellule, mentre è l’universo la prova dell’esistenza di Dio. […] La scienza ci dice che non è possibile derivare dal caos la logica che regge il mondo, dall’universo sub-nucleare all’universo fatto con stelle e galassie. Se c’è una logica deve esserci un Autore.[…] L’ateismo, partendo dall’esistenza di tutti i drammi che affliggono l’umanità, sostiene che se Dio esistesse queste tragedie non potrebbero esistere. […] Negare l’esistenza di Dio però equivale a dire che non esiste l’autore della logica rigorosa che regge il mondo. Tutto dovrebbe esaurirsi nella sfera dell’immanente la cui più grande conquista è la scienza. La scienza però non ha mai scoperto nulla che sia in contrasto con l’esistenza di Dio. L’ateismo, quindi, non è un atto di rigore logico teorico, ma un atto di fede nel nulla. Se la nostra esistenza si esaurisse nell’immanente, il discorso sarebbe chiuso qui (e Veronesi avrebbe ragione, NdR). Immanente vuol dire tutto ciò che i nostri cinque sensi riescono a percepire. Questi nostri cinque sensi sono il risultato dell’evoluzione biologica. C’è però un’altra forma di evoluzione che batte quella biologica: l’evoluzione culturale. Ora intanto è ovvio che da un punto di vista logico l’affermazione di Veronesi va corretta. Dall’esistenza del male, infatti, si potrebbe inferire non già la non esistenza di Dio, bensì soltanto che Dio non è “quell’amore onnipotente di cui parla il cristianesimo”. Dio o gli dei potrebbero essere indifferenti alle vicende umane.

[5] Agostino d’Ippona, Anselmo d’Aosta, Tommaso d’Aquino, Severino Boezio, René Descartes, Pascal, Melabranche, Liebinz, Bonoffeur. Ad esempio, l’argomentazione di Boezio (Consolazione della filosofia) ribalta la domanda: Se c’è Dio, da dove vengono i mali? E da dove vengono i beni, se Dio non c’è?

Contributi all’articolo

  1. Ordinanza Cassazione su Ricorso UAAR
  2. https://www.agoravox.it/Viviamo-bene-senza-Dio-E-possiamo.html
  3. http://bruschi.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/11/30/veronesi-esistenza-dio-cancro/
  4. https://www.youtube.com/watch?v=Ut4lWzs4KII
  5. https://www.youtube.com/watch?v=X92PIVktdqY
  6. https://it.wikipedia.org/wiki/Bianco,_rosso_e_Verdone

 

 
 

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