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Filmare in stazione: il caso di TerminiTV

3 anni, 1500 video, oltre 2000 persone intervistate. Dal novembre del 2014 TerminiTV racconta la stazione come luogo di aggregazione di classi diverse: un’azione politica, di consapevolizzazione e di apertura all’altro, innanzitutto. 

Nel 2014 però, la situazione era molto differente. Termini inoltre, dove ho iniziato a filmare proprio alla fine di quell’anno, era molto diversa. A novembre del 2014, nel corso di un lungo brainstorming con vari residenti romani di varie origini e professioni, avemmo l’idea di realizzare un canale online che raccontasse la maggiore stazione di Roma, Termini appunto.

Senza farci troppe domande, iniziammo a filmare storie di persone, di viaggi, di migrazioni, di amori, di furti pure. In 2/3 persone, con un cartello in mano “un caffè in cambio di una storia”, addirittura con cavalletto e un sorriso stampato in faccia, cercavamo storie di persone per raccontare la stazione con uno sguardo divertito, sperando di farne un lavoro.

 Giovani e giovanissimi sono venuti a Termini per imparare a filmare. E io con loro. In tre anni ho imparato tante cose, e non tutte piacevoli. Come, ad esempio, che non si può filmare in stazione. Che se lo fai, ti possono fermare e farti fare mille paranoie. Così ho iniziato a nascondermi, prima filmando solo in luoghi lontani dalla folla, lungo i binari, ad esempio. Poi vennero le transenne e Termini cambiò profondamente. Così mollo il passato remoto e veniamo a ora.

Dopo tre anni passati a filmare in stazione, e quasi duemila video pubblicati, tra www.termini.tv e pagina Facebook, è giunto il tempo di fare alcune riflessioni.

Trenitalia sa del nostro progetto, e lo ha apprezzato, sottolineando però che filmare dentro la stazione non è precisamente di loro competenza. Grandi stazioni (l'azienda che si occupa di gestire le 14 maggiori stazioni italiane, ndr) fa la parte del can che abbaia assai, e poi ci sono le barriere, gli spazi lungo i binari e nuove competenze, nuove complicazioni.

Una volta incontrai l’AD di F.S. Renato Mazzoncini, in ascensore. Non che io faccia parte delle stanze dove si decide alcunché, anzi. Eravamo al festival del Giornalismo, e mi sono lanciato in quello che in gergo si chiama elevator pitch, ovvero condensare la tua idea in pochi secondi.

“Lo conosce il progetto TerminiTV?”, gli chiedo col fiatone, per essere riuscito a infilarmi in ascensore, mentre le porte si chiudevano.

Lo conosceva, o almeno così ha detto.

Io non sono nessuno, e con altri signori nessuno abbiamo realizzato un canale online che perfino i vertici di Trenitalia conoscono, ma su cui nessuno si è voluto prendere la briga di dire alcunché.

Solamente tre volte in tre anni ho filmato con regolare permesso, accompagnato da - peraltro gentili - funzionari dell’ufficio stampa. “Poi più avanti vedremo, intanto conosciamoci meglio”, fu il loro commento, sulla richiesta del permesso per filmare.

Intanto nascono nuove iniziative giornalistiche, pure in stazione, si succedono eventi e inaugurazioni, di Luiss Enlabs come di Mercato Centrale, importanti poli d’attrazione di un nuovo modo d’essere di Termini. Quello che, tra le altre cose, vorremmo raccontare, quando parliamo di stazione. La stazione come luogo di aggregazione di classi diverse, perché alla fine di questo si tratta.

Tu sei quello che fa i video ai barboni, giusto?”

Questo è il mantra, quando dico che faccio un canale che si chiama TerminiTv.

E se fosse vero, il progetto sarebbe di sicuro più virale, e invece di poche - ma buone - visualizzazioni, avremmo già suscitato scalpore. Saremmo finiti a “Le Iene” o almeno in qualche sala del potere a far parte dell’ufficio comunicazione. O scoop, o marchette, in mezzo il vuoto siderale di un progetto che certamente avrà più valore tra dieci anni che ora.

“Dovendo fare un canale chiamato TerminiTv, magari becchiamo qualcuno per caso in stazione, e come potremmo chiedere il permesso in tempo per filmare? Sarebbe meglio un qualche lasciapassare”, suggerii alla disponibile rappresentante dell’ufficio comunicazione.

Purtroppo però, un progetto così libero e improvvisato, ovvero senza forme di controllo superiore, non può entrare in seria discussione.

Facessimo un format ben riconoscibile e acclamato, potremmo facilmente filmare, pagando. Per quello c’è un altro dipartimento dell’ufficio comunicazione. Altrettanto disponibili. Peccato che io per tre anni di filmati in stazione, non ho guadagnato nulla. E proprio per questo TerminiTv non ha nessun problema con la privacy delle persone ritratte, perché filmate nell’ambito di un progetto con scopo culturale e senza alcuno scopo di lucro. E nemmeno di sciacallaggio politico come fanno molte televisioni.

Perché a Termini non sono mica il solo, a filmare. I giornalisti ci vengono a ripetizione, di notte su via Marsala a fare storie sull’immigrazione, o di giorno sui binari a intervistare persone con badge e un comunicato stampa da sintetizzare. Inutile essere ridondante, Termini è un luogo paradossale, dove ricchi e poveri vivono gli stessi spazi, pubblici.

Su questa parola partiamo per la tangente, chi inizia a parlare di beni comuni, e chi - tipo le guardie di sicurezza ai binari - ripete senza tentennare “Questo non è un luogo pubblico”.

Le stazioni prima erano simbolo dello stato che investiva capitali e dava lavoro, chiunque di noi ha parenti che hanno lavorato nelle ferrovie, chiunque di noi ha simpatia per treni e stazioni. Le stazioni erano nazional popolari, l’essenza del paese, ci trovavi tutti, siciliani, emigranti verso Roma, come quelli che andavano a nord. C’era tutta Italia allora, come c’è il mondo ora.

Sui mezzi pubblici, come negli spazi pubblici, si gioca anche la grande partita della democrazia, del vivere insieme. E sono i pendolari a essere nelle mire di tutti i media del mondo, consapevoli che il percorso casa-lavoro è quello che accomuna gran parte delle persone.

Nelle stazioni, sui bus, si formano le opinioni che poi portano le masse a votare. Le masse stanno in questi luoghi. E quindi ci devono essere anche i giornalisti, ma pure il citizen journalism di cui tanto si parla, ma raramente a proposito.

TerminiTV è questo, un esperimento narrativo che è anche un modo di aggregare varie voci in un collettivo racconto di un luogo in particolare, la stazione, Termini come altre, senza accontentarsi di una banale stereotipizzazione come “Termini luogo pericoloso”, ma neanche cercando di dare una versione edulcorata della realtà, che le attività commerciali della zona di sicuro apprezzerebbero. Siamo nella via di mezzo tra lo scoop (e sai che scoop, in un paese dove una testata fa notizia più di un fallimento bancario) e la marchetta, dove si parla bene di Mercato Centrale che ha portato lavoro e cibo di qualità, ma ha anche reso ancora più lampante la divisione tra ricchi e poveri a Termini. Siamo in mezzo per scelta, perché non vogliamo cavalcare le onde di indignazione, come non vogliamo seguire solo la logica del mercato.

TerminiTV è un’azione politica, di consapevolizzazione e di apertura all’altro, innanzitutto. Per fare questo però abbiamo bisogno di poter filmare liberamente, cosa che ci viene negata, insieme al riconoscimento dell’unicità del nostro progetto, che sarebbe molto migliore se potessimo filmare senza nasconderci come ladri.

Nel caso dei paesi autoritari, i regimi non vogliono foto di infrastrutture e palazzi del potere. Anche nei paesi democratici però ci sono dei luoghi off limits alle telecamere, lo sono i quartieri della mafia, come quelli del potere. E quando entrambi si trovano nello stesso spazio, quello pubblico, allora la situazione si fa ancora più controversa. La stazione è uno di questi posti, dove tutti passiamo e abbiamo qualcosa da dire. Noi ci prendiamo la briga di far sentire le voci di chi di solito è spettatore, e così troviamo più che spettatori, bensì partecipanti di un progetto narrativo comune che ha bisogno di riconoscimento per crescere libero e attuale. Non vogliamo fare video da boutique, né video virali, cerchiamo solo di creare dei tempi di condivisione e dibattito, lottando - come tutti - con le dittature di algoritmi ed editori, con quello che fa notizia e con quello che non si può filmare.

Si parla spesso di citizen journalism, formula che raramente viene tradotta in italiano, e ci sarà pure un motivo. Spesso il giornalismo dei cittadini è l’attivismo di quartiere, la presa in carica di problemi che affliggono la comunità, la costruzione appunto di una comunità, anche utilizzando i social media, ma cercando di andare oltre essi. Così è TerminiTv, un canale online, ma anche un gruppo e una rete di connessioni tra persone, che ognuna nel proprio lavoro, cerca una chiave di narrazione di un mondo complesso, e in particolare del tema chiave per il nostro futuro politico, l’immigrazione.

Noi non parliamo degli immigrati, parliamo con gli immigrati. Ma non solo, e proprio per questo non siamo un canale “sull’immigrazione”. Raccontiamo la contemporaneità, i luoghi di tutti i giorni, pubblici per definizione, ma in verità sempre più controllati e privatizzati. Ben vengano le attività commerciali, e pure le telecamere di sorveglianza, ma sarebbe veramente troppo chiedere che come si filma per sorvegliare, si abbia la libertà di filmare per raccontare?

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