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Filippine, il presidente Duterte reo confesso per le esecuzioni extragiudiziali

“Ang kasalanan ko lang, ‘yung mga extrajudicial killing”. Traduzione: “Il mio unico peccato sono le esecuzioni extragiudiziali”.

Questa ammissione di responsabilità il presidente filippino Rodrigo Duterte (nella foto) l’ha fatta il 27 settembre intervenendo a una riunione del governo. Ha anche minacciato di “dare una botta in testa” a Fatou Bensouda, procuratrice generale del Tribunale penale internazionale.

Il portavoce di Duterte, Harry Roque, ha tentato di mettere una pezza alla vicenda, spiegando che il presidente “stava scherzando” e che il vero senso delle sue parole era che le esecuzioni extragiudiziali erano l’unico addebito che viene fatto alla sua amministrazione.

Dal 1° luglio 2016 al 31 agosto 2018, secondo dati ufficiali, la “guerra alla droga” promessa da Duterte in campagna elettorale e puntualmente avviata una volta salito alla presidenza, ha fatto 4854 morti. Secondo i gruppi filippini per i diritti umani, il numero effettivo potrebbe essere tre volte più alto.

Più che una guerra alla droga, è a tutti gli effetti una “guerra ai poveri”.

Si tratta di esecuzioni vere e proprie, pianificate e organizzate ai più alti livelli dello stato: il Tribunale penale internazionale se ne sta interessando in quanto possibili crimini contro l’umanità. La “confessione” di Duterte non farà altro che accrescere questo interesse.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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