• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Mondo > Filippine, che cosa sta succedendo? La politica del presidente (...)

Filippine, che cosa sta succedendo? La politica del presidente Duterte

Il Paese è sconvolto da una tremenda ondata di violenza. Dapprima le vittime della politica anti-droga voluta dal Presidente Duterte. Poi lo scoppio della rivolta nella macroregione del Mindanao, nel sud, dove sono attive cellule jihadiste legate all'Isis, tra le più temibili del sud est asiatico.

Florjohn Cruz era in casa quando è stato ucciso. Stava riparando il transistor della radio nella sala da pranzo quando un blitz delle forze armate lo ha freddato davanti agli occhi della moglie. Ogni tentativo di vanificare l'arresto è stato vano. Cruz aveva da poco aderito ad un programma di recupero per tossico-dipendenti, ma anziché ricevere le cure, il suo nome è finito in una black-list delle persone legate al traffico di stupefacenti. Sul “New York Times” il foto-giornalista Daniel Berehulak, ha spiegato che l'unica colpa di Florjohn è stata quella di aver assunto shaboo, una metanfetamina dieci volte più potente della cocaina. Sulla salma, una volta riconsegnata alla famiglia, la scritta: «Spacciatore ad Adik Wag Tularan. Non essere uno spacciatore o un tossico come lui». Berehulak ha aggiunto di aver «lavorato in 60 nazioni». Persino il Afghanistan e Iraq. «Ma quello che ho visto nelle Filippine ha raggiunto un nuovo livello di efferatezza».

Cruz, 34 anni è solo una delle 9mila vittime della battaglia antidroga di Rodrigo Duterte, il 16esimo presidente della Repubblica delle Filippine. Di queste solo un terzo causate dalle forze ufficiali di polizia. Secondo un report consegnato alla “Reuters” gli altri casi di omicidio, spesso i più dubbi, sono eseguiti da sicari di professione e da squadristi della morte, pagati per lo più dagli agenti di polizia con una somma esigua, vicina ai 200 dollari americani.

Quello della lotta alla droga e al narcotraffico è un vero e proprio imperativo per Duterte. Lo scorso 29 aprile, durante una telefonata, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è congratulato con lui per il suo «incredibile lavoro». «Una guerra alla droga» che gli è valsa un invito alla Casa Bianca nei prossimi mesic.

John Sifton, responsabile del dipartimento asiatico di “Human Right Watch” pensa che «appoggiare i suoi metodi» equivalga alla «celebrazione» della «morte dei poveri e dei miserabili».

Sui tossico-dipendenti e narcotrafficanti Duterte ha recentemente inneggiato allo sterminio di massa e di essere «felice di ucciderli». Duterte è arrivato persino ad idolatrare lo sterminio dei nazisti. «Se la Germania ha avuto Hitler, le Filippine avranno me».

Duterte è considerato uno dei capi di stato più crudeli al mondo. Il suo speciale “palmares” ha avuto inizio nel 1988, 29 anni fa, quando gli fu affibbiato l'appellativo di “sindaco degli squadristi della morte” di Davao. E' stato lo stesso Duterte, a Manila, durante un summit con alcuni importanti attori economici, a confessare di aver ucciso dal retro di una motocicletta. Un modus operandi poi divenuto un marchio di fabbrica della “Davao Death Squad”, il braccio armato simil-mafioso di cui si è servito.

The Nation”, la più antica rivista statunitense tra quelle ancora in vita, non considera la sua una guerra alla droga, bensì un «modo per far passare come legali esecuzioni sommarie». Alcuni dei più importanti esperti del panorama internazionale hanno sottolineato come l'endorsment di Trump abbia in un certo senso fatto da apri-pista alla recente applicazione della legge marziale, ossia alla possibilità di sospendere qualsiasi diritto civile al fine di ristabilire l'ordine nel Mindanao.

Non è la prima volta che la legge marziale viene applicata nelle Filippine. Nel 2009 fu varata dall'allora presidente Gloria Macapagal Arroyo, a seguito dello sterminio di 57 civili ad Ampatuan, a sud est di Mindanao. Più lunga e feroce è stata invece quella voluta da Ferdinand Marcos, il decimo presidente delle Filippine, eroe della Resistenza durante la Seconda Guerra Mondiale. Nei nove anni, dal 1972 al 1981, Marcos cercò in tutti i modi di una “Bagong Lipunan”, una nuova società fondata su nuovi valori e priva di influenze comuniste e musulmane.

La nuova legge marziale è stata proclamata lo scorso 23 maggio. Duterte ha chiarito che sarà «duro» con chiunque metta in atto atti ostili al governo. Durante uno dei suoi discorsi alle forze armate, Duterte ha garantito ai suoi soldati piena assoluzione per i peggiori crimini. «Potete anche stuprare tre donne, dirò che sono stato io». «Andrò in prigione per voi».

L'obiettivo dell'emanazione della legge marziale era quello di annientare i gruppi terroristici intenzionati a ribaltare l'ordine dello stato. In realtà, però, il provvedimento ha esasperato gli animi, favorendo degli scontri a fuoco, che oggi, a distanza di 20 giorni, ancora non si sono sopiti. Delfin Lorenzana, Segretario alla Difesa filippino, ha dichiarato di non esser in grado di pronosticare la fine dei combattimenti. Secondo gli ultimi dati sono 175 le vittime tra terroristi, civili e forze governative. Tra questi c'è un capo della polizia locale, decapitato dai ribelli. Durante le sommosse, inoltre, è stato appiccato il fuoco in alcuni edifici pubblici, tra cui l'ospedale di Marawi. Sono state occupate alcune moschee e presi in ostaggio un prete cattolico e alcuni suoi fedeli. Infine è stata issata una bandiera nera in onore dello Stato Islamico (ISIS).

L'obiettivo iniziale del blitz militare, fallito, era quello di catturare Isnilon Hapilon, leader di Abu Sayyaff (AS), da un anno l'uomo di punta dell'Isis nel sud est asiatico. Immediata è stata la reazione dei jihadisti islamici, soprattutto Maute, che assieme a Abu Sayyaff agisce soprattutto nella parte occidentale dell'isola di Mindanao. I due gruppi si sono recentemente uniti per formare lo Stato islamico nel Lanao del Sur. Un progetto che ha ricevuto la benedizione dell'Isis, che da 2 anni lo ha inserito tra le province del Califfato. Ovvero il massimo riconoscimento che l'Isis concede ai gruppi che operano nel Mondo. In tal senso nel 2016 l'analista Charlie Winter ha scritto come il legame nato tra il Califfato di Siria e Iraq e le cellule filippine sia molto forte

Oggi nel Marawi, al fianco dei militanti locali, combattono indonesiani, malesiani, singaporiani e ceceni. Sul “New York Times” il direttore del “Policy Analysis of Conflict” Sydeney Jones, ha collegato queste presenze con le «battute di arresto» che il Califfato di Abu Bakr Al Baghdadi sta subendo in Siria e Iraq. In pratica le Filippine stanno diventando uno dei più importanti campi di battaglia in cui l'Isis può esercitare il proprio prestigio. Le indagini della polizia hanno smentito che ci sia alcun coinvolgimento dello Stato Islamico nella strage al Resort World di Manila, in cui sono morte 38 persone. L'attacco è stato rivendicato dall'Isis tramite un comunicato dell'agenzia ufficiale dello Stato Islamico Amaq. 

A complicare la situazione ulteriormente la situazione nel Mindanao ci sono i legami (presunti) tra i jihadisti e gli esponenti del “Fronte di Liberazione Islamico Moro” (MILF), un gruppo secessionista che dal 1960 lotta per la creazione dello stato del Bangsamoro. Tra le altre azioni terroristiche il MILF è additato di essere l'esecutore materiale dell'attentato all'aeroporto internazionale di Davos, nel 2003, quando l'esplosione di un ordigno artigianale causò 21 morti e 146 feriti. Se queste indiscrezioni diffuse dalle forze di sicurezza filippine fossero vere, oggi sarebbe ancora più difficile il dialogo politico sulla regolamentazione del futuro assetto istituzionale della nuova "Provincia autonoma del Mindanao Musulmano" (ARMM). La concessione diventata il simbolo della pace tra i secessionisti musulmani e il governo centrale. Nonostante gli sforzi i dialoghi sono ancora fermi. Il rischio è che la nuova legge marziale rischia di alterare gli equilibri faticosamente costruiti negli ultimi tre anni di trattative.

Le Filippine sono il dodicesimo Paese più popoloso al mondo. Il 92.5 percento è di fede cristiana. Solo il 5 percento, per lo più concentrata nella regione del Mindanao, è musulmana. Oggi la "Provincia Autonoma del Mindanao Musulmano" è l'area più povera delle Filippine.

 

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità