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Figlio di nessuno, di Vuk Ršumovic

Il film è tratto da un fatto vero: nell’88 cacciatori bosniaci trovarono nel bosco un ragazzo allevato dai lupi e cresciuto con essi. Ma è simbolico di cosa succederebbe a un essere umano cresciuto fuori dalla società, o per uno strano motivo caduto da Marte, se dovesse piombare improvvisamente in un nostro consesso sociale. Non educato alle norme degli umani, con gli occhi innocenti di uno che osserva le nostre relazioni e comportamenti: i dispetti dei compagni, nel collegio di Belgrado dove viene ospitato, ragazzi tutti figli di nessuno, dispetti e provocazioni a colui che sentono diverso, il loro voler scrutare le sue reazioni (come per la Venere Nera portata nelle fiere) e la sua “lupi-tudine” ringhiante. Solo un ragazzo, fatalmente, lo avvicina e ne fa un amico, gli dà la dolcezza che Yaris trovava solo coi suoi precedenti simili, i lupi.


Quando i rapporti che si stava creando gli vengono a mancare, l’amico che finisce male, l’educatore che lo proteggeva e che deve lasciarlo ripartire per la Bosnia – per via della guerra è diventata un paese straniero – si viene a trovare soldato a sparare da una trincea e lui questo non sa farlo, non lo concepisce, ha solo paura di tanta violenza inspiegabile, non prevista nella società dei lupi.

La macchina da presa lo segue da vicino ad ogni attimo, vede la sua visuale anche quando se ne sta accucciato e non sa camminare. Scene memorabili e degne di un grande film (premi al festival di Venezia 2014 e il ragazzo Denis Muric eccezionale): di lui nella trincea che si tappa le orecchie per non sentire le bombe o lui che fugge e si rotola libero nella neve, per restare solo e sentirsi di nuovo a casa nel bosco, tra gli animali. 

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