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Farmacoresistenza: ridurre il consumo di medicinali non basta

Un'analisi su The Lancet mostra gli elementi cruciali del problema di resistenza ai farmaci. Servono infrastrutture funzionanti e governance migliore.

di Cristina Da Rold

Che il problema della farmacoresistenza sia legato all’eccessivo consumo di farmaci, in particolare di antibiotici, è cosa nota. Meno note sono invece le correlazioni fra questo fenomeno e fattori antropologici e socioeconomici, cioè su come questa resistenza si diffonde. Eppure la strada per ridurre l’impatto della resistenza antimicrobica nei prossimi decenni passa da qui.

Secondo quanto riporta un’analisi pubblicata su The Lancet, una buona presenza di infrastrutture (servizi igienico-sanitari, acqua sicura, accessibilità a Internet, urbanizzazione e accesso all’elettricità) e di governance migliori (minore corruzione, stabilità politica, stato di diritto e assenza di violenza) è significativamente associata a una minore diffusione della resistenza.

Dal reddito al clima, fattori cruciali

Dallo studio è anche emerso che a parità di livello infrastrutturale e di governance, un alto PIL pro capite ed elevati livelli di istruzione producono livelli più alti di resistenza. Probabilmente, rilevano gli autori, perché le persone più abbienti e istruite hanno un migliore accesso agli antibiotici.

Nella ricerca è emerso che dove erano eccellenti la governance e le infrastrutture, minori erano le percentuali di farmacoresistenza e che dove è maggiore la spesa per la sanità pubblica, minore è la resistenza aggregata. Viceversa, una percentuale più elevata di spesa sanitaria privata è associata a livelli più elevati di resistenza antimicrobica. Se il rapporto fra spesa sanitaria privata e pubblica (cioè quanto più pesa la privata sulla pubblica) è maggiore, la resistenza è più alta.

In Brasile – scrivono gli autori – l’alta densità delle cliniche private è associata a un consumo maggiore di antibiotici.

Anche il clima gioca un ruolo importante. La crescita della temperatura media è fortemente correlata con alte percentuali di resistenza antimicrobica, mentre l’educazione non sembra essere un fattore determinante per ridurre la farmacoresistenza.

Che cosa significa per la salute pubblica e per la politica? Che nei prossimi decenni la riduzione del consumo di antibiotici, per quanto necessaria, non sarà sufficiente per controllare la resistenza antimicrobica se non si lavora in parallelo anche su altri fonti per limitare il contagio. Bisogna migliorare i servizi igienico-sanitari, aumentare l’accesso a fonti idriche sicure e la spesa per l’assistenza sanitaria pubblica oltre a progettare regolamentazioni efficaci del settore sanitario privato.

L’analisi su oltre 500 articoli

Lo studio è basato sull’analisi di oltre 500 articoli pubblicati fra il 2000 e il 2018, escludendo quelli relativi alla tubercolosi, all’HIV, alla malaria e ad altre malattie parassitarie. La banca dati della World Bank è stata utilizzata per ottenere dati su governance, istruzione, prodotto interno lordo pro capite, spesa per assistenza sanitaria e infrastruttura della comunità nei vari paesi. Un indice di corruzione è stato ricavato utilizzando i dati di Transparency International.

A partire da questi dati sono stati creati due indici globali di resistenza antimicrobica per 103 paesi utilizzando i dati dal 2008 al 2014. È stata esaminata la prevalenza dell’Escherichia coli resistente alle cefalosporine e ai fluorochinoloni di terza generazione e la resistenza aggregata; la prevalenza combinata di Escherichia coli e Klebsiella resistenti alle cefalosporine di terza generazione, ai fluorochinoloni e ai carbapenemi, e quella dello Staphylococcus aureus resistente alla meticillina.

I risultati ci aiutano a inquadrare in una prospettiva più ampia il fenomeno della farmacoresistenza, ma non possiamo non rilevare un grosso limite, in aggiunta al fatto che sono rimasti esclusi dalla revisioni virus e batteri importanti, come la tubercolosi resistente: valutare l’impatto dei fattori socioeconomici è importante, ma nel lavoro non si considera la presenza dei farmaci negli alimenti, un fenomeno cruciale nella resistenza agli antibiotici e che potrebbe aumentare il peso del loro utilizzo.

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