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Eutanasia e Fine Vita | Intervista a Mina Welby

Alla Camera dei Deputati si apre il dialogo sul disegno di legge “Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari”

di Milly Barba 

«Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso – morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita – è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio … è lì, squadernato davanti a medici, assistenti, parenti»

Piergiorgio Welby, lettera al Presidente della Repubblica – settembre 2006

La vicenda di Fabio Antoniani, in arte dj Fabo, che lo scorso 27 febbraio ha scelto di recarsi nella clinica Dignitas di Forch, a pochi chilometri da Zurigo, in Svizzera, per porre fine alla propria esistenza, ha scosso l’Italia e riportato ai clamori della cronaca le decisioni legate al fine vita e lo stato della legge italiana a riguardo. Il percorso voluto dal dj milanese di 39 anni – la cui esistenza cambia definitivamente il 13 giugno 2014 quando rimane vittima di un incidente stradale che lo renderà tetraplegico e non vedente – è quello del suicidio assistito, ovvero l’aiuto medico e amministrativo portato a un soggetto che ha deciso di morire tramite suicidio ma senza l’intervento di terzi nella somministrazione diretta delle sostanze che interromperanno il corso della sua vita. In questa scelta, vietata dalla legge italiana, dj Fabo è stato accompagnato dalla fidanzata Valeria e da Marco Cappato, esponente del Partito Radicale e tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, che da sempre promuove la libertà di cura e l’affermazione dei diritti umani, civili e politici delle persone malate e disabili, anche nelle scelte di fine vita.

Pochi giorni dopo la vicenda di dj Fabo, il 13 marzo, a più di un anno dall’inizio della discussione in Commissione e dopo quattro rinvii, alla Camera dei Deputati si apre il dialogo sul disegno di legge “Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari”, presentato dalla relatrice deputata del Pd Donata Lenzi. Il testo, suddiviso in cinque articoli, riguarda, nell’ordine: il consenso informato; il consenso informato nelle persone con disabilità e nei minori; le Disposizioni anticipate di trattamento (DAT) – il cosiddetto Biotestamento – e la pianificazione condivisa delle cure.

Abbiamo chiesto a Mina Welby, all’anagrafe Wilhelmine Schett, nata nel 1937, co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni dal 2011 e moglie di Piergiorgio Welby, da sempre impegnata nella lotta per l’autodeterminazione della persona, di illustrare nel dettaglio i punti che caratterizzano il disegno di legge.

Mina Welby, quali sono i punti centrali previsti dal disegno di legge approdato alla Camera dei Deputati lo scorso 13 marzo?

Il testo, giunto finalmente alla Camera qualche settimana fa, è frutto di molteplici e attente revisioni. Nello specifico, l’art. 1 chiarisce e valorizza il rapporto medico-paziente, ponendo sul medesimo piano la volontà del paziente e l’opinione del medico che è tenuto a rispettare le scelte della persona in cura (quali il rifiuto e la sospensione di una terapia o di un qualsiasi trattamento sanitario, l’interruzione dell’alimentazione forzata e dell’idratazione artificiale), senza il timore di incorrere in responsabilità civili o penali. Come sancito dal testo, “la relazione di cura e di fiducia tra le due parti è tutelata dal consenso informato, atto fondante nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico.” Un punto fondamentale dell’articolo riguarda poi la comunicazione tra medico-paziente, intesa finalmente come “tempo di cura”, ovvero come momento di informazione dovuto al paziente, da non considerarsi quale prestazione extra da corrispondere al medico. Oggi, tristemente, alcuni dottori, quando un paziente chiede loro di stilare un Biotestamento, esigono un compenso.

Cosa si intende per Disposizioni anticipate di trattamento (DAT)?

Questo è il cuore del disegno di legge ed è affrontato nell’art. 3. Con “Disposizioni anticipate di trattamento (DAT)” si intendono le volontà di una persona che, in previsione di una futura incapacità di autodeterminarsi, esprime per iscritto o attraverso tecniche informatiche apposite le proprie disposizioni riguardo a terapie e trattamenti sanitari, pratiche di nutrizione e idratazione artificiale. Le disposizioni in questione – fino a poco tempo fa annoverate come “dichiarazioni”, un termine che a lungo ha sminuito il senso e la forza di tali volontà – rappresentano quello che viene chiamato Biotestamento.

In caso di incapacità di intendere e volere, un fiduciario delegato dalla persona o un amministratore di sostegno designato da un tribunale, in stretto contatto con il paziente, lo rappresenterà nel rapporto con il medico e le strutture sanitarie. Occorre sottolineare che l’attuazione del volere del paziente, espresso con le DAT, non fa del medico un freddo esecutore. Prendersi davvero cura di una persona significa sapere ascoltare e accompagnarla nel percorso richiesto. Questo è un atto di estrema dignità da parte del medico-uomo e non comporta una perdita di quel voto “di scienza e coscienza” che dai tempi di Ippocrate i dottori sono chiamati a rispettare.

Nell’art.3, le Disposizioni anticipate di trattamento prevedono, inoltre, la possibilità di cambiare in qualsiasi momento la propria posizione e di procedere con una terapia o un trattamento sanitario, magari sconosciuto all’atto della sottoscrizione del Biotestamento, in accordo con il fiduciario o l’amministratore di sostegno. Non sempre, tuttavia, la scelta di una terapia sperimentale porta alla guarigione o al miglioramento. In casi gravi, a mio avviso, è compito del medico accompagnare il paziente verso un percorso che ne limiti le sofferenze, valutando l’impiego delle cure palliative. Infatti ritengo questo punto una fragilità della legge. Nell’art. 1, pone attenzione al tema delle cure palliative al comma 6, laddove se ne garantisce l’erogazione richiamando la legge 38, esistente dal 15 marzo 2010 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”. Ma in Italia questa normativa è ancora troppo poco applicata. Ogni ospedale dovrebbe disporre di un reparto hospice dove chi non può più guarire possa essere avviato alle cure palliative e sottratto a inutili sofferenze.

Il disegno di legge offre una normativa riguardante ogni aspetto del fine vita?

No, purtroppo. Il testo non prevede disposizioni riguardanti l’eutanasia. Pertanto in Italia non esiste una legge che a oggi consenta a un medico di somministrare dei farmaci che inducono alla morte un paziente o che gli consentano di accelerare il percorso del fine-vita. Allo stesso modo, non è previsto il suicidio assistito, pratica per la quale dj Fabo si è dovuto recare in Svizzera. Speriamo che durante la prossima legislatura si possano ottenere cambiamenti significativi.

Sono sette le proposte di legge riguardanti l’eutanasia e il testamento biologico depositate in Parlamento fino ad oggi. L’unica che sembra poter segnare un punto di svolta è proprio quella discussa lo scorso 13 marzo. Qual è l’ostacolo più grande? Perché è così difficile raggiungere l’approvazione di una legge?

Credo che i limiti più grandi riguardino l’etica. Che non ha un unico volto ma assume le sembianze di chi la fa propria. Così vi è l’etica del Vaticano, che non sempre collima con quella della Chiesa. E poi vi è l’etica delle associazioni pro vita, che ostacola coloro che si battono per un’etica laica, l’unica di tutelare davvero il cittadino e il suo desiderio di decidere da sé e per se stesso, anche nel fine vita. Noi disponiamo con consapevolezza della nostra esistenza ogni giorno. Lo facciamo quando scegliamo di intraprendere un mestiere pericoloso che ci pone di fronte al rischio improvviso di morire. Scegliamo di disporre della nostra vita anche quando partoriamo, consapevoli dei potenziali pericoli. Perché, dunque, non possiamo disporre anche del nostro fine vita?

Molte persone non desiderano essere manipolate da altri. Non desiderano soffrire o vivere una vita che non reputano più degna. Preferiscono compiere un percorso differente che è anche un cammino di consapevolezza e, soprattutto, una scelta. Piergiorgio, mio marito, diceva sempre: “Il morire non è un’improvvisa perdita di coscienza ma è un fatto di apprendimento”. Non godere di tutto, ecco, anche questo è un lento morire. Avrei desiderato che nel disegno di legge discusso fosse contemplato questo tipo di dignità, invece si tratta solo di eutanasia passiva.

Chi decide di compiere un percorso come quello voluto da dj Fabo, dunque, dovrà recarsi ancora in Svizzera?

Sì. In Svizzera il suicidio assistito è legale, l’eutanasia no. Accedere alla pratica non è semplice e prevede tempi lunghi. Occorre sottoporsi a una serie di visite e ottenere l’approvazione dei medici che, nel caso dell’esistenza di una eventuale cura, possono anche negare al malato la possibilità di terminare la propria vita e proporre un’alternativa terapeutica. Il costo del percorso in Svizzera si aggira intorno ai 13 mila euro.

Marco Cappato, esponente del Partito Radicale e membro dell’Associazione Luca Coscioni ha accompagnato personalmente dj Fabo in Svizzera. Perché?

Marco Cappato, così come ha già fatto per altre persone che hanno scelto il medesimo percorso, ha accompagnato dj Fabo in Svizzera. Come successo nei casi precedenti Cappato, di ritorno, si è autodenunciato e rischia di essere incriminato per favoreggiamento al suicidio. Noi, tuttavia, non ci fermiamo. Io stessa, poco tempo fa, avrei dovuto accompagnare una donna che, alcune ore prima di partire, ha cambiato idea. Ci esponiamo in prima persona e rischiamo, sfidando la legge italiana, per garantire i diritti di tutti, anche nel fine vita. Gli stessi diritti che a mio marito furono negati e che il dott. Mario Riccio, su richiesta estrema di Piergiorgio, rispettò, staccando il respiratore quando glielo chiese e subendo successivamente una denuncia per omicidio. Noi non abbiamo paura. Continuiamo la nostra battaglia in nome della libertà di scelta e di autodeterminazione, aiutando tutti coloro che hanno bisogno del nostro supporto. Quello che ci interessa è il diritto alla vita, non il dovere, il diritto alla dignità umana, alla libertà e all’autodeterminazione, diritti affermati negli articoli 2, 3, 13 e 32 della nostra Costituzione.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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