• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Europa > Europa "germanizzata"? Dubitare serve

Europa "germanizzata"? Dubitare serve

La critica che più di frequente viene mossa attraverso riviste, saggi o commenti a questa Unione Europea è che essa sia stata “germanizzata”; la condivido solo in parte. L’Unione Europea e già le istituzioni comunitarie che l’hanno anticipata sono il prodotto di accordi sottoscritti da parte di Governi di Stati sovrani, i quali preso atto del ridimensionamento del ruolo dell’Europa a livello mondiale decidono di avviare il processo di integrazione culminato nel Trattato di Maastricht e nell’U.E.M.. 

Lo geist der zeit che vede la nascita dell’Unione Europea è ben rappresenta in uno scritto del 2004 di G. Steiner dal titolo “Una certa idea di Europa”. Scrive Steiner << In un mondo che ora appare preda di fondamentalismi assassini, da quello del Sud o del Mid - West americano a quello islamico, l’Europa occidentale ha il privilegio e il dovere di smussarli per praticare un umanesimo laico. (…) E’ un compito tanto spirituale quanto intellettuale. (…) I nostri compiti, le nostre opportunità sono esattamente quelle di cui fu testimone la luminosa alba dell’Europa con il pensiero greco e la moralità ebraica. E’ una questione di vita o di morte: l’Europa deve riaffermare alcune convinzioni, alcune audacie dell’anima che l’americanizzazione del pianeta – con i tutti i suoi vantaggi e le sue generosità – ha oscurato. Lasciatemele elencare, anche in estrema sintesi. La dignità dell’homo sapiens consiste proprio in questo: la realizzazione della conoscenza, la ricerca disinteressata del sapere, la creazione della bellezza. Far soldi e riempire le nostre esistenze di beni di consumo sempre più triviali è una passione davvero volgare, che ci svuota. (…) Non è la censura politica che uccide: sono il dispotismo del mercato di massa, le ricompense di una fama commercializzata>> .

In questi passi Steiner descrive la sua idea di Europa e contemporaneamente mette in guardia dal pericolo che incombe su di essa; pericolo che si è concretizzato diventando la vera ragione della crisi di questo modello di Europa. Per comprendere il clima politico, nello specifico italiano, degli anni immediatamente successivi alla fine dell’URSS, alla riunificazione tedesca e alla successiva sottoscrizione del Trattato di Maastricht è sicuramente utile fare riferimento a Massimo D’Alema che è uno dei politici italiani che ha dominato la scena politica di quegli anni. Scrive D’Alema , in “ Oltre la paura”: << L’Europa, dunque si è rivelata prima di tutto un’idea. La nostra identità di europei non ha radici nella terra e nella lingua, ha innanzitutto un’origine culturale e morale, dai confini territoriali sfumati, lontana da ogni purezza di razza, di lingua, di cultura, ma solida nel perseguire un proprio nucleo di valori e di principi che alterne vicende hanno tramandato fino a noi>>.

Più avanti D’Alema ricorda come sulla difesa dell’identità europea Steiner abbia polemizzato con lui. Comparando gli scritti dei due autori devo affermare che l’idea di Europa espressa è fondamentalmente la stessa. L’Europa è stata luogo di barbarie ma l’idea di una unità Europea nasce in funzione del superamento della barbarie rappresentata da due conflitti mondiali, da regimi totalitari e razzisti. La tensione, per così dire, “spirituale” è rappresentata da un’idea di Europa che ha la sua essenza nella tolleranza e nel riconoscimento dell’altro. D’Alema, da leader politico, si spinge fino a legare l’idea del rilancio della Sinistra all’Europa e al Socialismo Europeo. In questo passaggio sembra di leggere gli auspici che la classe politica austroungarica pronunciava quando sperava nella nascita di partiti politici capaci di superare le specifiche istanze che venivano dalle nazioni che formavano la duplice monarchia. Di fronte alla crisi dell’idea di Europa e al ritorno di localismi e nazionalismi, qualche anno dopo in un libro – intervista curato da Caldarola dal titolo ”Contro corrente”, D’Alema evidenzia i limiti delle politiche neoliberiste adottate in sede Comunitaria e nazionale per far fronte alla crisi del 2007 – 08. C’è un passaggio che riguarda proprio la Germania che trovo interessante per l’economia del mio ragionamento << Non c’è dubbio che la Germania sia riuscita, nella logica di un patto sociale, a preservare il suo apparato produttivo industriale meglio di come abbiamo fatto noi. E’ anche vero, però, che l’Italia resta uno di quei Paesi con le potenzialità produttive più significative. Una parte del nostro Paese sta dentro l’area produttiva europea più robusta e che ha, in questo conteso, le maggiori possibilità. Da noi sono mancati una politica industriale e un patto sociale in grado di rilanciare il sistema produttivo nazionale, mentre in Germania ci sono stati l’una e l’altro. E il rilancio tedesco sia nella politica industriale sia del patto sociale è stato portato avanti in contrapposizione con una visione che da noi, viceversa ha privilegiato la conflittualità sociale e di fabbrica, la rottura del patto con i sindacati>>. In questo passaggio D’Alema evidenzia come le responsabilità siano essenzialmente della classe politica nazionale e del Governo nazionale che non ha saputo sfruttare al meglio, ad esempio, l’occasione fornita dai bassi tassi di interesse a seguito dell’introduzione della moneta unica. 

Da “Oltre la paura” all’ultimo scritto di D’Alema, dal titolo “Non solo euro”, passano dodici anni; dalla lor lettura emerge tanto il fallimento delle politiche nazionali condotte dai governi che si sono succeduti dal 2001 ad oggi, quanto quello di questa Unione Europea. In “Non solo euro”, D’Alema, esordisce << Le diseguaglianze sono enormemente cresciute e con esse la disoccupazione e la povertà (…)>> In un passaggio successivo evidenzia come la crescita della Germania sia da attribuire non tanto alla domanda interna ma all’export, alla stessa crisi dell’euro e dalla domanda di beni e servizi che provengono dagli altri Paesi. Appare, dunque, stridente il contrasto tra l’Ideale di Europa teorizzato da Steiner e D’Alema nei primi anni del 2000 e la realtà sociale ed economica che emerge dai dati degli anni successivi. Da qui la necessità di immaginare un’altra Europa, come sostiene il movimento DiEM 25 di Varoufakis, e non solo.

Sostenere la necessità di costruire un’Europa democratica non è sufficiente, sono necessarie azioni che superino l’austerità e le politiche neoliberiste attraverso un ripensamento delle istituzioni europee che devono diventare lo Stato Europeo. A parere di alcuni, ad esempio A. Somma, questa Europa, a causa della sua “germanizzazione”, è irriformabile. La contrapposizione politica non è più solo tra essere a favore o contro l’Europa, ma tra i diversi modi di pensare l’Europa. Il manifesto curato da: S. Hennette, T. Piketty, G. Sacriste e A. Vauchez dal titolo “Democratizzare l’Europa! Per un Trattato di democratizzazione dell’Europa” è una possibile risposta alla domanda “quale Europa?”. La mia impressione è che questa Unione Europea abbia un vizio congenito, che evinco dalle parole di uno dei suoi maggiori protagonisti cioè J. Delors.

Nel saggio pubblicato sul n. 1 del 1998 della rivista “Stato e Mercato" dal titolo “Dall’integrazione economica all’unione politica dell’Europa. Lezioni del passato, prospettive del futuro”, scrive Delors <<( …) vi era un’esigenza di sopravvivenza politica. I padri del Trattato non nutrivano solamente ambizioni economiche. Erano anche preoccupati di eliminare lo spettro di una emarginazione progressiva degli Europei negli affari internazionali, essendo d’altro canto la forza economica uno dei parametri di questa volontà di riconquista>>. Si capisce chiaramente che le ragioni dell’integrazione europea e della nascita di una entità per così dire statuale che federasse i singoli stati nazionali è da ricercare nella volontà delle élites europee di non soccombere di fronte all’emergere di nuove realtà economiche e politiche. All’indomani della seconda guerra mondiale gli Stati Europei, sia quelli usciti vincitori che quelli sconfitti, perdono la loro centralità nello scacchiere mondiale. Il Mondo è dominato dall’URSS e da gli USA e, con la fine degli imperi coloniali britannico e francese, all’orizzonte si vedono avanzare nuove realtà economiche e politiche rispetto alle quali gli Stati Nazione europei non hanno nessuna capacità di resistenza. C’era l’esigenza di tornare a svolgere un ruolo fondamentale sullo scenario internazionale e per poter svolgere questo ruolo era necessario eliminare le cause che avevano portato al declino dell’Europa. Per perseguire questo obiettivo era necessario partire dalle questioni economiche. La tensione ideale era solo una sovrastruttura culturale funzionale alla costruzione di una unica Società europea utile alle esigenze economiche e al rilancio del ruolo dell’Europa in un mondo globalizzato. Il punto è che come scrive Crouch non nasce nessuna Società europea, per cui restano i soli interessi economici dei ceti dominanti e delle lobbies. Le Istituzioni europee, frutto di trattati internazionali, non sono altro che le agenzie che regolamentano i rapporti tra gli stati membri i quali operano in nome e per conto degli interessi nazionali forti. Scrive sempre Delors << Dimenticare le motivazioni dei padri fondatori dell’Europa significherebbe trascurare le acquisizioni della memoria del passato e le lezioni dell’esperienza. Da qui l’utilità di riferirsi al metodo comunitario, fondato su tre elementi. Innanzitutto il metodo dello spillover effect, il metodo dei piccoli passi, che si delinea fin dal 1950. (…) Ma il metodo comunitario è anche una costruzione istituzionale originale, con la coesistenza di due organi legislativi, di due esecutivi e di un potere giudiziario (…) Infine, il diritto fu e rimane il cemento e il motore della costruzione europea. (…) Si tratta di una vera rivoluzione nel diritto internazionale, della creazione di uno spazio giuridico comune, che contiene in nuce l’inizio di uno spazio politico ove si dovranno affermare la cittadinanza, la partecipazione e la responsabilità democratica>>.Per la logica del “trascinamento”, secondo alcuni, la nascita dell’Euro avrebbe determinato la nascita di una Europa politica. Lo stesso Delors, realisticamente, riteneva che l’Euro non fosse sufficiente per la nascita di una Europa politica. Coloro che speravano che attraverso l’introduzione di una moneta e di un mercato unico si sarebbe giunti alla creazione di una unità politica sbagliavano. Il vizio di fondo che è alla base del Trattato di Maastricht è pensare che ogni cosa possa essere risolta attraverso la “regolamentazione” dimenticando che essa è un dato politico che dipende dai rapporti di forza tra Stati e ancor prima tra sistemi economici e sociali nazionali. Se il fine della costruzione di una Unione Europea era quello di poter contare a livello internazionale, certamente a contare non sono i cittadini europei, ma gli interessi economici sovranazionali che si confrontano tra di essi e, attraverso l’azione di lobbying sui governi nazionali, spingono perché la regolamentazione venga fatta secondo criteri funzionali ai loro interessi. La regolamentazione non è altro che l’Ordoliberalismo. E’ prova di questo il “Libro bianco” di Delors, scritto sotto l’influenza dell’ERT, ossia della European Round Table of Industrialists, la più importante lobby industriale a livello europeo. In un contesto in cui i sistemi economici, sociali e politici di ciascuno Stato si differenziano tra di loro, appare evidente che con la liberalizzazione del mercato del lavoro, dei mercati finanziari, l’allargamento ad Est con l’inclusione di Stati che, pur facendo parte dell’UE continuano a mantenere la propria moneta , vengono create condizioni di favore per il mondo industriale e finanziario che nell’ERT ha uno dei punti di forza. Solo a titolo di cronaca dell’ERT fanno parte FIAT, Telecom ed Eni. Quindi il problema dell’Europa è che la tabella di marcia per la sua costruzione viene fissata da potenti lobbies sovranazionali capaci di indirizzare e condizionare le scelte politiche dei singoli governi nazionali i quali sottoscrivono accordi e nominano tecnocrati funzionali agli interessi delle lobbies. Bisognerebbe dire, perciò, che ad essere egemoni non sono gli interessi dello Stato tedesco, ma quelli delle lobbies tedesche che in accordo con gli interessi lobbistici di altri Stati egemonizzano questa U.E..

Il problema sta nelle classi politiche italiane e nel rapporto che esse hanno con il sistema delle lobbies sovranazionali che dirigono di fatto l’azione politica. In merito alla classe politica italiana degli anni 90 scrive Giulio Sapelli in un saggio dal titolo significativo “Chi comanda in Italia”: <<Al posto delle classi politiche che interpretavano consustanzialmente con la loro trasformazione quella che ho definito la bastarda modernizzazione, doveva emergere sotto la spinta della poliarchia plebiscitaria, un potere più ristretto, dominato ora direttamente dalla mano invisibile degli esponenti del capitalismo senza mercato (l’altro capitalismo italiano) , i quali non si sarebbero più esercitati in mediazioni ed elargizioni verso un potere ch’era divenuto troppo avido.>>. La Germania svolge un ruolo egemone a livello europeo in funzione dei propri ceti dominanti, se così non fosse alle ultime politiche tedesche non ci sarebbe stata l’affermazione di un partito AFD e non ci sarebbero 8 milioni di mini jobs. Il problema dunque non è la contrapposizione di interessi tra Stati, ma l’influenza sulle politiche di ceti dominanti trasversali agli stati che traggono benefici da questa U.E.M.. Solo così si spiega l’entusiasmo del ministro delle finanze Padoan per il nuovo pacchetto di misure appena varato dalla Commissione Europea relative al completamento dell’Unione Economica e Monetaria. In conclusione parlare di “germanizzazione” dell’Europa quasi a voler intendere che il conflitto è tra Stati mi sembra una visione riduttiva. 

 

 

Bibliografia:

  • Alessandro Somma L’Europa tedesca sempre più irriformabile. Rivista Inchiesta gennaio – marzo 2018
  • Massimo D’Alema Oltre la paura ed. Mondadori
  • Massimo D’Alema Contro Corrente Ed. Laterza
  • Massimo D’Alema Non solo euro Ed. Rubettino
  • G. Steiner Una certa idea di Europa ed Garzanti
  • L. Caracciolo E. Letta Dialogo intorno all’Europa Ed. Laterza
  • J. Delors Dall’integrazione economica all’unione politica dell’Europa. Lezioni del passato. Rivista Stato e Mercato n. 1/1998
  • C. Crouch Esiste una società europea? Rivista Stato e Mercato n. 2/1998
  • AA.VV. Democratizzare l’Europa! Per un Trattato di democratizzazione dell’Europa. Ed Corriere della Sera
  • A. Giddens L’Europa nell’età Globale Ed Laterza
  • A.A.V.V. Non Basta dire no. Ed. Mondadori
  • A.A. V.V. Rottamare Maastricht. Questione tedesca, Brexit e crisi della democrazia in Europa Ed. DervieApprodi
  • G. Sapelli Che comanda in Italia Guerini Editori
  • G. Sapelli, L. Festa Se la Merkel è Carlo V Guerini Editori.
  • H. Schulze Il ritorno di Europa. La nuova Germania e il vecchio continente. Ed. Donzelli
  • U. Beck La crisi dell’Europa ed . il Mulino

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità