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 Home page > Attualità > Europa > Europa e correzione dei conti | Il cane si è mangiato la mia dignità

Europa e correzione dei conti | Il cane si è mangiato la mia dignità

A molti appare del tutto surreale, soprattutto in questa temperie, che la Commissione Ue chieda all’Italia una correzione dei conti pubblici dello 0,2%. Ad altri appare per quello che è: irrilevante. Perché per una volta possiamo ben dire che i problemi stanno altrove.

L’entità della correzione è minima, ed appare il recupero di quanto era stato congelato nelle more del referendum del 4 dicembre. Forse, un giorno, in una nota a piè di pagina, la storia del nostro Paese si occuperà del surreale secondo semestre del 2016, quello in cui un paese abituato a camminare mentre avrebbe dovuto correre, si è invece seduto ad attendere il giudizio divino di un referendum. Per molti aspetti, ora siamo in una situazione analoga: la politica è in surplace, le fazioni si scrutano, berciano in trasmissioni televisive che sono ormai una ripetitiva liturgia del deforme e della sceneggiata di un paese morto. Quando si voterà? Non sia mai detto che si devono eseguire gli ordini di Bruxelles, siamo sovrani! Sovrani come potrebbe essere un debitore incravattato, ma sempre sovrani.

Dietro all’ectoplasma Gentiloni si agita Matteo Renzi, che ormai si esprime con gli stessi tic e gli stessi patetici autoinganni di Berlusconi bollito, metafore calcistiche incluse. Non sia mai dover mettere mano ad una manovra, che consegnerebbe il paese all’antipolitica di Grillo, Salvini e circo cantante! Eppure, basterebbe fermarsi a riflettere per prendere coscienza che il circo renziano degli ultimi tre anni ha inflitto al paese danni profondi e difficilmente reversibili.

Ha senso, una correzione di 3,4 miliardi presentata da Bruxelles come necessaria e vista da Roma come gravemente controproducente? Si e no. Ma hanno avuto poco senso anche tutte le correzioni precedenti. Anzi, si sono rivelate dannose. Questo significa che dovremmo fare quello che vogliamo, e magari lasciar correre il deficit? No. Ma del deficit conta l’aspetto qualitativo, spesso ben più di quello quantitativo. Spieghiamoci meglio. Per lunghi anni le correzioni ai conti pubblici italiani sono avvenute con aumenti di pressione fiscale, oltre che con tagli di spesa non selettivi, che ne hanno abbattuto efficacia ed efficienza.

Ma Bruxelles (e Berlino) non potevano sindacare pressoché nulla, della qualità di quelle manovre. E si facevano bastare la quadratura contabile, l’aspetto meramente quantitativo. Nel frattempo, con le decisioni di bilancio prese, l’Italia si zavorrava sempre più, sino a fermarsi. Perché questa è la disfunzionalità del “controllo” di Bruxelles sui conti pubblici dei singoli paesi. Di fatto, ci si accontenta dell’aspetto quantitativo, per quanto tossico possa risultare. Volete fare i saldi aumentando l’Iva o le accise, o con tagli lineari? Fate pure, non abbiamo modo di imporvi alcunché, perché l’assetto istituzionale della Ue non lo consente. Al massimo, qualche raccomandazione che viene sdegnosamente respinta al mittente come “ingerenza”.

Come andrà a finire, con questa correzione? Come sempre: passata la fase dello sdegno nazionalista, arriverà una manovricchia, magari centrata su reverse charge e split payment. E andremo avanti. Dopo tre anni in cui Renzi ha irrigidito il bilancio dello stato, senza alcun impatto sulla crescita ma anzi ponendo le basi per ulteriori rallentamenti, i margini fiscali, già molto esigui, sono semplicemente scomparsi. Possiamo solo grattare il fondo del barile. In tutto questo, sotto i riflettori resta la figura umana del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Da sempre garante italiano in Europa, con la sua storia personale e professionale. Ma da sempre, complice e connivente delle scelte più assurde di politica economica di Renzi. In realtà, forse Padoan sarà anche riuscito a disinnescare dietro le quinte le iniziative più demenziali, non si può escludere. Ma il risultato finale resta uno ed uno solo: un uomo che ha dato copertura e rispettabilità anche internazionale alla insipienza di un premier arrogante ed incapace, che ha preferito gli slogan ai fatti.

Anche nella vicenda di quest’ultima mini correzione, la figura di Padoan si staglia netta sul fondale di cartapesta di questo disgraziato paese. Con Renzi che spinge Gentiloni a sfanculare la richiesta Ue, “Perché ora, c’è Trump, la Brexit, una tempesta magnetica e macchie solari mai viste prima”, e Padoan che media, disperatamente. Al punto da arrivare ad esprimere pubblica preoccupazione per le conseguenze di una procedura di infrazione a nostro carico, per rimettere in riga la riottosa politica. Ma parliamo dello stesso Padoan che manda a Bruxelles decine di pagine di esimenti, attenuanti, circostanze eccezionali, alibi, invocazioni alla deroga. E che alla fine risponde alla richiesta della Commissione trascinando disperatamente i piedi. Vedremo, faremo, interverremo, non ora, ad aprile, col Def anzi forse prima. Non saranno misure estemporanee ma dobbiamo rifletterci. Non danneggeremo la crescita, non si interrompe un’emozione. Tutto attendendo di capire se e quando si andrà al voto, per non danneggiare le esigenze di Renzi e della maggioranza. E i nostri poveri giornalisti dietro, a captare gli spifferi ed amplificarli: manovra sulle accise, no sulla spesa, no sulle agevolazioni fiscali, meglio sui crediti d’imposta. Moscovici ha detto così, Dombrovskis ha sorriso, si apre uno spiraglio, anzi no, venderemo cara la pelle, e il surplus tedesco, allora? Dibattiam, dibattiamo.

Tutto senza essersi resi conto che questo paese è come un pugile suonato o come un organismo in lenta decomposizione, un teatrino maleodorante dove banchettano saprofiti di ogni genere, tipi umani la cui comparsa indica proprio il disfacimento dell’organismo ospite. I Grillo, i Salvini, altro non sono che “marcatori” di questo genere. La colpa di Padoan, agli occhi della storia, sarà stata quella di chi ha avallato scelte controproducenti e non ha deciso di dire basta, al punto da chiamarsi fuori. Perché a volte serve anche combattere per evitare la deriva, restando a bordo. Ma, oltre un dato limite, si diventa null’altro che complici.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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