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Essere adolescente con la sindrome di Down

La scuola, le amicizie, i sogni e le difficoltà di Emma. La sindrome di Down è ancora legata a stereotipi lontani dalla realtà della condizione, e deve smettere di farci paura.

di Cristina Da Rold

VITE PAZIENTI – La premessa doverosa è che la sindrome di Down non è una malattia. È una condizione, che per alcuni può significare dover affrontare anche delle patologie, per esempio cardiache. Ne parliamo perché Vite Pazienti vuole raccontare anche che cosa significa vivere con una fragilità, specie quando il sentire comune è ancora molto ancorato a vecchi stereotipi, come accade per la sindrome di Down, molto lontani da quello che è oggi vivere con questa condizione.

Sarà che quando Martina Fuga – milanese, impegnata da anni come advocate sul tema – ti parla della sindrome di Down di sua figlia Emma ti fai l’idea chiara che Emma non è tutta lì. “Noi diciamo sempre che questi ragazzi assomigliano di più alle loro famiglie che ad altri ragazzi con sindrome di Down”. Credo sia il modo giusto per provare a entrare nella quotidianità di famiglie come quella di Emma e dei suoi due fratelli.

Le persone con sindrome di Down sono tutte diverse

“Le persone con sindrome di Down sono tutte diverse. Non è per tutti lo stesso percorso – si affretta ad aggiungere Martina – noi siamo fortunati perché Emma non ha mai avuto complicanze mediche significative, che invece molti altri bambini hanno e che li costringono a una vita più difficile.”

Ci sono alcune persone con sindrome di Down che devono essere sottoposte a delicate operazioni appena venuti al mondo. “La cosa importante da capire è che ogni bambino, quando nasce è una storia a sé e oggi queste storie, tutte diverse, sono storie di ragazzi inclusi, chestudiano, lavorano, hanno una vita sentimentale, alcuni vivono da soli, alcuni si sposano” mi spiega Martina. “E soprattutto che hanno desideri, sogni, e sanno comunicarteli.”

La capacità di formulare progetti e fare delle scelte ragionate in linea con i propri sogni e le proprie paure, l’’autocoscienza’ potremmo dire, sono senza dubbio fra gli elementi caratterizzanti dell’essere umano. “Quando è nata Emma il mio più grande terrore era se avrei capito i suoi pensieri e le sue emozioni e se avrebbe potuto raccontarmi i suoi progetti. Ho avuto a lungo questa paura, anche perché Emma non ha parlato fino ai cinque anni… mentre oggi è una macchinetta, non la fermi più! Specie quando si parla delle sue serie TV preferite” scherza Martina.

“Ti racconto questo episodio, successo qualche giorno fa. Emma è in terza media ed è in piena crisi sulla scelta della scuola superiore. Siamo andate a un open day e lei è rimasta ammaliata da un istituto di moda e design, tanto che ha subissato la povera insegnante di domande e curiosità!”

La sindrome di Down a scuola

Un bambino con sindrome di Down oggi può vivere una vita vicina a quella dei suoi compagni. Emma a scuola ha un insegnante di sostegno, ma si impegna a seguire le stesse attività dei suoi compagni con gli adeguamenti del programma previsti dal PEI (Piano Educativo Individualizzato), fa i compiti e partecipa ai lavori di gruppo.

“Ci sono alcune attività dove Emma è autonoma, come la matematica. Fa le espressioni così come i suoi compagni, ovviamente le sue sono più semplici a sua misura. Gli insegnanti cercano di proporle gli stessi argomenti della classe, adattati alle sue competenze. Ci tengo a precisarlo: Emma non è un genio: è una ragazzina con sindrome di Down che è stata seguita sin da piccola, ma senza alcuna ansia da prestazione. La scrittura e la lettura sono il suo tallone d’Achille: scrivere un tema completamente in autonomia è ancora faticoso per lei, perché avendo ancora qualche difficoltà di linguaggio, alcune parole le pronuncia male e quindi le scrive male” mi spiega Martina.

“Emma è maggiormente a suo agio in quelle attività che richiedono di seguire un determinato processo, come l’aritmetica, la matematica, mentre nel tema, dove schemi non ce ne sono è più insicura e procede più con fatica. Ma ci sono altri ragazzi con sindrome di Down che sono completamente l’opposto: bravissimi nella scrittura, nei temi e nello studio e meno in matematica. Questo perché ogni bambino è a sé, con le proprie attitudini, che abbia la sindrome di Down o meno”.

Logopedia, psicomotricità e fisioterapia

Chiaramente per questi bambini la logopedia è basilare. Emma vede la sua logopedista due mattine a settimana per un’ora prima di entrare a scuola. Altrettanto importanti sono la fisioterapia e la psicomotricità, soprattutto nei bambini con maggiori difficoltà muscolari alla nascita. Una caratteristica della sindrome di Down è proprio la lassità muscolare appena nati.

Secondo recenti stime dell’Istituto Superiore di Sanità sono 1200 le persone che ogni anno nascono in Italia con questa alterazione genetica, ma è evidente che dal punto di vista della sanità pubblica le lista d’attesa sono infinite.

Ogni territorio ha la sua UONPIA – Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, che prende in carico ufficialmente il bambino, “ma le liste di attesa sono lunghissime e molti di noi si affidano al privato per attività come la logopedia, la psicomotricità o la fisioterapia”, spiega Martina. “Spesso l’indennità di accompagnamento di 516 euro che ricevono i nostri ragazzi, in seguito al riconoscimento dell’invalidità civile del 100%, non è sufficiente a pagare queste prestazioni. Alcune famiglie non ricevono subito l’accompagnamento e devono passare per la fase di ‘indennità di frequenza’ che ammonta a 280 euro al mese”.

Poi sono costretti a richiedere l’aggravamento per passare all’accompagnamento. Ovviamente il supporto psicologico e pedagogico non è presente, né per i bambini né per le famiglie, e a colmare questo vuoto ci pensano le associazioni che si occupano del supporto alla persona dalla nascita alla vita adulta.

La consapevolezza di sé

“Posso dire che un aspetto su cui sto cominciando ad avere difficoltà, ora che Emma non è più una bambina, è trovare per lei società sportive. Lei ama lo sport e negli anni ha praticato nuoto, danza classica e moderna, vorrebbe giocare a pallavolo ma chiaramente le sue prestazioni fisiche non sono competitive per una squadra che preveda l’agonismo.” E se è difficile in una realtà come Milano, c’è da immaginarsi come possa essere in provincia.

Un aspetto sul quale non avevo mai riflettuto prima, e che Martina sottolinea con convinzione, è che di fatto quando nasce un bambino con sindrome di Down tu lo sai, ma salvo siano presenti problemi medici gravi non te ne rendi conto per i primi anni. Lo accudisci come si fa con qualsiasi neonato.

“Ti nasce un bambino prima che un bambino con sindrome di Down, e i primi anni se è sano non percepisci così tanto la differenza, perché ha le esigenze di qualsiasi bambino. Posso dirti che fino a tutta la scuola materna compresa Emma era come gli altri bambini, solo con i processi di crescita e di sviluppo più lenti: questi bambini imparano a camminare a due/tre anni e non a uno, parlano più tardi e vanno aiutati con la logopedia, ma la sua giornata era esattamente la stessa dei suoi compagni e dei suoi fratelli. Nel caso di Emma non abbiamo scelto di farle fare un anno in più di asilo, ma certamente lì dipende dal singolo bambino e dal suo contesto scolastico. Ognuno è diverso”.

Quello della consapevolezza di sé è un tema molto delicato. Martina mi racconta per esempio che qualche tempo fa Emma doveva girare un’intervista per il TG3 sull’inclusione e inizialmente ha insistito per andarci da sola senza i suoi amici per evitare che venissero a sapere della sua condizione.

“Allora le ho spiegato in maniera serena che i suoi compagni sanno da sempre che lei ha la sindrome di Down e che a loro non importa, le vogliono bene così com’è. Ci sono delle volte, anche dopo 13 anni, che comunque mi sorprende. Alcune volte penso che il percorso di consapevolezza di sé sia ancora lungo, altre che mi fanno capire che non la devo sottovalutare”.

Emma e la sua famiglia, composta da altri due fratelli di 16 e 12 anni, hanno vissuto un anno in Francia, e per Emma non è stata un’esperienza positiva. Lì esistono le ‘classi speciali’, ovvero i bambini con disabilità frequentano classi separate rispetto agli altri. “Emma però mi ha parlato di questa sua infelicità nei mesi in Francia solo una volta tornati in Italia e quando le ho chiesto perché mi ha risposto che non voleva dare a me e suo padre un dispiacere in un momento così importante per noi.”

Mentre Martina me lo racconta la devo fermare e le chiedo se è giusto che io scriva di Emma in questo modo. Realizzo tutto a un tratto che potrebbe leggere le mie parole e che potrebbero provocarle dolore. Ma Martina sorride e mi dice che non accadrà. Emma sa di essere esposta e sa che la mamma parla di lei, da quando è una ragazzina le chiede sempre il permesso prima di un’intervista come questa.

Martina Fuga è autrice, storica dell’arte, advocate. Si occupa di disabilità per amore e di arte per mestiere. È autrice del libro Lo zaino di Emma, Mondadori.

La si trova su TwitterFacebookInstagram e sul suo blog Imprevisti.wordpress.com.

Emma invece la si trova su Instagram qui.

Segui Cristina Da Rold su Twitter

Fotografia per gentile concessione di Emma’s Friends

Questo articolo è stato pubblicato qui

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