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 Home page > Tribuna Libera > Esiste un sistema elettorale perfetto?

Esiste un sistema elettorale perfetto?

Un sistema elettorale perfetto non esiste, e di tutti si possono denunciare limiti e problematiche. Che fare allora? A mio avviso sarebbe fondamentale chiederci cosa pretendiamo da una legge. Maggioranze stabili? Capacità di eleggere direttamente i propri rappresentanti? Spazio plurale a tutte le voci? Io credo che oggi sia fondamentale garantire governabilità. Un nuovo modello elettorale, in Italia, dovrebbe tendere in primis a questo obiettivo. 

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Non esiste un sistema elettorale perfetto, esistono solo sistemi elettorali meno imperfetti di altri. Ovunque ci si rigiri, si possono muovere critiche a qualsiasi modello, che va comunque costruito nel modo più serio possibile perché rappresenta le regole del gioco della democrazia. Quanto a sistemi imperfetti e mediocri, se ne sono sperimentati tanti: la storia italiana lo dimostra in modo inequivocabile. Il proporzionale della prima repubblica ha creato disastri, producendo ingovernabilità, potere di veto delle minoranze, ingessando un sistema politico troppo spesso soggetto al ricatto dei piccoli partiti. Quello che qualcuno ha chiamato “vera democrazia” in realtà è stato un sistema frazionato, ingestibile, dove la politica si è rivelata incapace di prendere decisioni chiare e rispondenti agli ideali dell’elettorato. La difficoltà di porre fine a interminabili mediazioni ha prodotto aborti di riforme, referendum abrogativi, maggioranza variabili in cui bastava un mal di pancia a far saltare un governo, quantunque non fossero avveduti tatticismi di leader insofferenti alle regole della partitocrazia. Non va poi dimenticato il sistema delle preferenze, che aveva generato voti di scambio e una fortissima tutela degli interessi particolari a discapito di quelli generali.

Quando il sistema andò in cortocircuito, e la crisi dei partiti tradizionali, disorientati dopo la caduta del muro di Berlino e massacrati dalle indagini sui finanziamenti illeciti, sembrò evidente, fu la proposta di nuovi modelli elettorali a far breccia nell’opinione pubblica. Così, sulla scia del referendum del 18 aprile 1993, si produsse il “Mattarellum”, la confusa legge elettorale che prese il nome dall’attuale presidente della repubblica. Dico confusa non a caso, perché il sistema elettorale introdotto fu un sistema misto: maggioritario a turno unico per l’elezione del 75% dei parlamentari, con meccanismo proporzionale per il restante 25% dei seggi alla camera, con scorporo (recupero dei più votati) per il restante 25% al senato. La legge prevedeva uno sbarramento del 4% alla camera. Il territorio nazionale veniva diviso in collegi uninominali dando si agli elettori la facoltà di scelta, ma spesso tra candidati voluti dalle segreterie nazionali dei partiti, a volte catapultati dai vertici. Con questo sistema si votò tre volte: nel 1994, nel 1996 e nel 2001. Limiti e problematiche parvero evidenti e videro critiche da parte di eminenti politologi come Giovanni Sartori, che evidenziò come il sistema abbia prodotto un incredibile frazionismo di partitini. Organicamente possiamo riportare l’analisi di Luca Andrea Palmieri:

Un sistema decisamente complesso, che non mancava di presentare difetti, di cui uno estremamente grave. Lo stesso Pannella, che con il suo referendum aveva spinto verso questa riforma, era stato molto critico a causa della parte proporzionale, che tradiva l’idea del maggioritario, portata avanti dai Radicali. Inoltre, il sistema favoriva la creazione di coalizioni, con i candidati dell’uno o dell’altro partito che venivano assegnati nei collegi a loro più favorevoli (definite attraverso la tradizione elettorale delle zone) e paracadutati dove avevano la certezza di essere eletti. Il peccato originale del Mattarellum è però la debolezza dello scorporo, aggirabile attraverso le cosiddette liste civetta Come visto, lo scorporo richiedeva che, a ogni candidato uninominale, corrispondesse una lista equivalente per la parte proporzionale. I partiti aggirarono il sistema della Camera collegando i candidati uninominali a queste liste civetta, mentre le liste “classiche” di partito correvano indipendentemente. Si poteva così evitare lo scorporo: in pratica queste liste non subivano nessuna sottrazione di voti, annullando, di fatto, il sistema di ridimensionamento del maggioritario. Tra l’altro, beffa nella beffa, questo problema aprì ad ulteriori difetti, come quello che, nel 2001, portò Forza Italia a “perdere” 12 parlamentari perché non vi erano state abbastanza associazioni con l’uninominale (seggi che non furono poi più assegnati, in una decisione della Camera piuttosto discutibile). (http://www.europinione.it/mattarell...)

 

Le elezioni del 2006 furono le prime che vennero effettuate con la legge elettorale riformata, l’emblematico “Porcellum” il cui “padre”, il senatore Calderoli, disconobbe rapidamente, considerandola un pastone velenoso studiato apposta per provocare problemi di governabilità (incredibile, solo in Italia può succedere…). Il Porcellum portò all’abolizione dei collegi uninominali. La legge non offriva all’elettore la possibilità di poter esprimere la preferenza per un singolo candidato in quanto si può votare soltanto per il partito che in secondo tempo decide quali siano gli esponenti da portare alla Camera oppure al Senato. Una delle caratteristiche che più penalizzò la possibilità di costruire maggioranze stabili fu il premio di maggioranza sbilanciato. La legge prevedeva un premio di maggioranza sia alla Camera che al Senato. Alla Camera consisteva nel garantire alla coalizione che ottiene il maggior numero di voti, non conteggiando gli elettori residenti in Valle D’Aosta e all’Estero, un numero minimo di seggi pari a 340. Al Senato invece il premio veniva dato regione per regione con la sola esclusione del Molise che, avendo un numero di votanti piuttosto basso, assegnava soltanto due seggi. Il premio al Senato consiste nel garantire alla coalizione vincente in quella regione, almeno il 55% dei seggi. Il Porcellum introduceva l’obbligo per ogni partito o coalizione di indicare il proprio candidato con relativo programma. Avevano diritto ad essere rappresentate alla Camera tutte quelle coalizioni che superavano la quota del 10% dei voti ottenuti. Se invece si trattava di un singolo partito non coalizzato, la soglia si abbassava al 4%. Al Senato la quota minima per le coalizioni era del 20% mentre i partiti che ne facevano parte dovevano raggiungere almeno il 3%. Per partiti non apparentati la soglia era del 4%. Questa legge, fortemente voluta dall'allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi con il chiaro intento di utilizzarla per la prima volta nelle elezioni politiche del 2006 che tuttavia registrarono la vittoria della coalizione del Centro Sinistra con Romano Prodi, per circa 40 mila voti di differenza. Si votò col Porcellum nel 2006 nel 2008 e nel 2013, mentre nel 2014 la Corte Costituzionale ha dichiarato la legge incostituzionale.

Il resto è storia dei nostri giorni. L’Italicum, approvato recentemente, è una legge maggioritaria a doppio turno che garantisce, se non altro, la certezza di un vincitore, stabilendo una maggioranza. Forti critiche sono state mosse al premio di maggioranza e ai capilista bloccati, mentre molti dubbi vengono avanzati sull’effettiva possibilità del sistema di portare al bipolarismo. Sull’Italicum, al momento attuale pesa anche la mancata riforma costituzionale: la legge vale per la Camera dei Deputati. Che succederebbe in caso di elezioni anticipate, dato che il senato non è ancora stato superato?

La sostanza del mio ragionamento è questa: un sistema elettorale perfetto non esiste, e di tutti si possono denunciare limiti e problematiche. Che fare allora? A mio avviso sarebbe fondamentale chiederci cosa pretendiamo da una legge. Maggioranze stabili? Capacità di eleggere direttamente i propri rappresentanti? Spazio plurale a tutte le voci? Io credo che oggi sia fondamentale garantire governabilità. Il doppo turno e il maggioritario introdotti con l’Italicum dovrebbero favorire questa direzione. 

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