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Equivoci e mistificazioni intorno ad una categoria giuridica e sociologica: l’intersezionalità!

Per intersezionalità si intende il modus complesso e cumulativo in cui gli effetti di molteplici forme di discriminazione (come il razzismo, il sessismo e il classismo) si combinano, si sovrappongono o si intersecano, specialmente nelle esperienze di individui o gruppi marginalizzati. 

La teorica neomarxista e nera Kimberlé Crenshaw ha introdotto la teoria dell' intersezionalità. In altre parole, l’intersezionalità è l'idea che quando si tratta di pensare a come si riproducono le disuguaglianze, categorie come genere, razza e classe sono meglio comprese come sovrapposte e mutualmente costitutive piuttosto che isolate e distinte. Si dice che il movimento femminista di oggi rischi di perdere slancio purché non riconosca che non tutte le femministe sono bianche, borghesi, di genere “cis” e “abili” (inteso come opposto di “disabile”). 

L'idea è che le donne sperimentino l'oppressione attraverso varie configurazioni e con vari gradi d’intensità. I modelli culturali di oppressione non sono solo correlati, ma sono legati e influenzati dai sistemi intersezionali della società. Esempi di questo includono razza, genere, classe, “abilità” ed etnia.

Ovverosia, certi gruppi di donne vivono sfaccettature a più livelli nella vita e devono occuparsi di più problematiche contemporaneamente. Non esiste un tipo di femminismo a taglia unica. Ad esempio, le donne di colore dovranno affrontare sia il razzismo che il sessismo.

Anche se il concetto d’intersezionalità nel femminismo è utilizzato da decenni, è entrato nel dibattito principale nell'ultimo anno o giù di lì. Eppure ancora così tante persone sono confuse da ciò che significa, o da ciò che rappresenta. Inoltre è un termine, spesso, usato impropriamente e mistificato.

Il femminismo intersezionale è stato alquanto confuso e strumentalizzato negli ultimi mesi. 

Ogni volta che il tema del razzismo è sollevato nel femminismo, nasce la solita banalizzazione e polemica. Le solite insulsaggini sono utilizzate contro le femministe e l'accusa di "essere divisive" è spesso diffusa.

Lo slogan "bada al tuo privilegio" che accompagna molte discussioni sull'intersezionalità ne è un esempio. Su Twitter all'inizio di gennaio 2014, un hashtag fu lanciato da una femminista bianca, #reclaimingintersectionalityin2014, che ha fatto sì che molte femministe nere si chiedessero come intendessero reclamare qualcosa che non era mai stato loro.

Ciò dimostra che il concetto è diventato veramente mainstream e c’è il rischio che qualcuno se ne appropri indebitamente.

C'è l'errata convinzione che l'unico "privilegio" che si possa avere riguardi il colore della pelle. Perciò l’idea d’intersezionalità è stata usata, da alcuni attivisti, nel caso di stupri commessi da immigrati di colore contro donne “bianche”, per accusare le contestatrici femministe di essere “razziste” ed “escludenti”. Oppure l’intersezionalità è stata criticata da chi, facendosi fautore o fautrice di una lettura della realtà e dell’ oppressione piuttosto ristretta, unilaterale e provinciale, enfatizza eccessivamente i reati commessi da stranieri o migranti, spesso dimenticando o sottovalutando la criminalità autoctona e l’ oppressione generale originata dal globalismo finanziario parassitario (il caso dei neofascismi e delle nuove destre). In realtà, se si pensa con intersezionalità, razza e genere sono due segmenti di oppressioni equiparabili ed equivalenti (addirittura l’oppressione di genere è quella storicamente più antica e più radicata nell’inconscio collettivo). L’etica intersezionale non prevede in alcun modo che una forma di oppressione (in questo caso la “razza”) sia sovrapposta rispetto all’oppressione di genere. Si può essere privilegiate a causa della propria classe sociale, del background scolastico, del background religioso o dell’orientamento sessuale, etc. Perciò anche le donne di colore possono avere dei privilegi (ad esempio: essere nere ma ricche o appartenenti a classi sociali alte, o essere nere ma cristiane e con un dottorato di ricerca).

Un uomo omosessuale è certamente oppresso ma non lo sarà mai quanto una donna “cis” povera o una donna “cis” di colore, etc. Inoltre, anche gli omosessuali possono appartenere a classi sociali alte o a etnie socialmente dominanti. Una citazione della famosa femminista nera Alice Walker, dice: "Parte del problema delle femministe occidentali è che si prendono cura dei loro fratelli e dei loro padri. E questo è un vero problema". Alice Walker, in questo caso, intendeva denunciare l’introiezione (anche inconscia) di modelli di vita e di valori tipicamente maschili e borghesi da parte di alcune sedicenti “femministe”.

Ricordo di aver avuto una discussione con una donna musulmana che mi disse: "Odio il femminismo. Non ce n'è bisogno e non voglio dover portare bagagli pesanti solo perché voi donne volete combattere per essere uguali agli uomini".

Prima di tutto il femminismo non riguarda il diritto di portare bagagli pesanti. Inoltre, in seguito, emerse che era il femminismo mainstream con cui aveva un problema. Cioè, il femminismo bianco, di classe media, cis-gendered e “abile”. Quando alcune voci all'interno di un movimento sono emarginate, l'unico risultato è che il movimento s’indebolisca diventando meno efficace. 

L'intersezionalità è ancora un termine relativamente nuovo per le masse - e tuttavia il suo messaggio è sicuramente quello più frainteso. Bisognerebbe iniziare ad ascoltare e includere vari gruppi di donne, le varie sfaccettature dell’oppressione e le loro esperienze di vita, e rispettarle, nel dibattito generale. Questa sarebbe la soluzione adeguata per prevenire mistificazioni e manipolazioni. Un altro esempio di mistificazione sull’intersezionalità riguarda il quadro teorico e spesso politico dello sfruttamento sessuale e del lavoro sessuale tra le donne. La maggior parte della letteratura teorica in quest'area si concentra sulla prospettiva macro, mentre la prospettiva a livello micro, riguardo alla teoria, alla genesi dell’oppressione e alla sua causalità, resta scarna. Le spiegazioni teoriche dello sfruttamento sessuale e del lavoro sessuale sono ricche a livello sociale, ma scarse e poco sviluppate al livello antropologico e storico. 

La maggior parte del progresso teorico e della scrittura accademica si fonda su macro teorie per spiegare la causa dello sfruttamento sessuale e del lavoro sessuale a livello strutturale. Alcune teorie, come il femminismo, possono apparire tutte circoscritte e tuttavia contenere una serie di divisioni che influiscono enormemente sulla comprensione dello sfruttamento sessuale e sull'opinione di ciò che alcuni definiscono le sue vittime. La teoria femminista è una prospettiva ampia e transdisciplinare che si sforza di comprendere ruoli, esperienze e valori delle persone sulla base del genere. Il femminismo è più comunemente applicato alla violenza del partner intimo, inquadrando una relazione abusiva tra partner intimi come un crimine di genere che sostiene l'oppressione istituzionalizzata delle donne a livello globale (Nichols, 2013Sokoloff & Dupont, 2005). Per quanto riguarda lo sfruttamento sessuale, la cornice femminista si interroga sul fatto che la prostituzione o qualsiasi scambio di sesso per qualcosa di valore finanziario sia o possa essere volontario (Wilson & Butler, 2014). 

Per quanto riguarda lo sfruttamento sessuale o il lavoro sessuale, studiosi e avvocati sono generalmente divisi in due campi teorici opposti. Un gruppo, di solito definito neo-abolizionista, condanna tutte le forme di prostituzione volontaria e involontaria come forma di oppressione contro le donne. I neo-abolizionisti, comprese le femministe radicali e vari gruppi e gruppuscoli neomarxisti, postulano che la prostituzione non è mai interamente consensuale e non possa essere considerata tale (Tiefenbrun, 2002 ). L'altro gruppo, compresi molti sex-positive, sostiene che una donna abbia il diritto di scegliere la prostituzione e altre forme di lavoro sessuale come forma di occupazione o addirittura come una carriera. Il femminismo radicale e il femminismo neomarxista in realtà sono gli unici con un imprinting realmente intersezionale: le prospettive neo-abolizioniste riguardo allo sfruttamento sessuale di donne e ragazze contempla un’ analisi olistica delle varie forme d’ oppressione presenti nella società. Il femminismo radicale è radicato nella sua comprensione dell'organizzazione sociale e della struttura come intrinsecamente patriarcale, poiché esiste il sessismo per mantenere il privilegio maschile e l'ordine sociale patriarcale ( Loue, 2001 ). Le femministe radicali e i teorici del patriarcato inquadrano le questioni riguardanti la violenza contro le donne in una lunga serie di sessismi istituzionali e strutturali e di opinioni paternalistiche. Dobash e Dobash (1979) hanno prima identificato i principi di questa teoria, secondo cui la violenza contro le donne è una forma sistemica di dominio degli uomini e controllo sociale delle donne. Quindi, gli assalti sessuali avvengono principalmente a causa del privilegio maschile istituzionalizzato, poiché gli uomini credono che sia loro il diritto di promuovere la violenza contro le donne.

L'organizzazione patriarcale del governo e della società ha fornito un contesto sociale per la diffusa accettazione sessista della gerarchia, escludendo così le donne dal settore pubblico, dall'istruzione superiore, dalle forze di lavoro strutturali e dalle istituzioni religiose ( Loue, 2001 ; Dobash & Dobash, 1979 ). Ciò ha anche contribuito a una prospettiva centrata sul maschile, in cui le donne non avevano spazio per svolgere lavori molto rispettati e “rispettabili” nella comunità e di conseguenza erano confinate in casa. Il principio centrale del commercio sessuale riposa nella dominazione maschile e nelle disuguaglianze strutturali tra uomini e donne. Il commercio sessuale fornisce un diritto patriarcale all'accesso ai corpi delle donne, perpetuando così la subordinazione delle donne agli uomini ( Farley, 2005 ). 

Come il femminismo radicale, il femminismo neomarxista (in USA, America Latina e Europa settentrionale) è sempre più orientato su posizioni neo-abolizioniste, perciò generalmente considerano tutte le forme di commercio sessuale come forma di violenza contro le donne. Le femministe marxiste hanno sostenuto che il tema della sessualità è per il femminismo ciò che il tema del lavoro è per il marxismo, ciò che è più consono al proprio movimento e che tuttavia è stato mistificato (MacKinnon, 1989). Il femminismo marxista postula l'oppressione delle donne sulla dipendenza economica degli uomini in una società maschiocentrica (Bryson, 1992) e sostiene che il capitalismo continui ad essere l'oppressore dominante delle donne. Finché esiste il capitalismo, le donne vivranno in uno stato patriarcale e dipenderanno economicamente dagli uomini in una società strutturata intorno alla classe sociale.

In questa visione, lo sfruttamento economico include molte forme, in primo luogo la prostituzione e la pornografia, e quindi deve essere considerato come oppressione di sesso e di classe. La sessualità e l'energia sessuale delle donne sono appropriate dagli uomini che acquistano o controllano lo scambio di servizi sessuali (vale a dire i papponi) proprio come l'energia di ogni lavoratore è appropriata dai capitalisti per i loro profitti, portando all'alienazione delle proprie capacità corporee (Miriam, 2005). Il femminismo marxista critica in modo specifico l'uso della pornografia e di altre forme di scambio sessuale volontario e involontario per denaro. Catherine MacKinnon, una studiosa di diritto femminista marxista, sostiene che tutte le forme di pornografia, prostituzione e traffico sessuale sono abusi sessuali e una forma di potere sottratta alle donne (MacKinnon, 1982).

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