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Elezioni in Repubblica del Congo: un tema apparentemente lontano ma importante

Con grande piacere vi presento un nuovo collaboratore: Elia Marelli. Buona lettura! A.G.

Ogni volta che si parla del Congo nascono automatiche delle immagini di natura selvaggia, popolazioni primitive e pericolose, fame e malattie.

Di Elia Marelli.

Ma in realtà la Repubblica Democratica del Congo è il secondo paese per estensione del continente, è uno dei territori più ricchi di materie prime preziose a livello mondiale e ha sempre rivestito un importanza capitale nelle strategie geo politiche mondiali dell’ultimo secolo.

Migliaia di soldati stranieri sono attualmente dislocati in zona, milioni se non miliardi di dollari entrano ogni anno nei confini del paese per acquistare oro, diamanti, tantalio, rame, cobalto e altre materie prime come legno e avorio. La Repubblica Democratica del Congo è da sempre stato il serbatoio per le necessità del mondo moderno un serbatoio caldo, bollente sempre in evoluzione e con dinamiche spesso violente.

IL CONTESTO
A partire dal 2016, per tutto il 2017 e il 2018, la chiesa cattolica e altri movimenti religiosi, i gruppi organizzati della società civile e i partiti delle opposizioni si sono battuti perché finalmente si tenessero le consultazioni per l’elezione del nuovo presidente della repubblica, il successore di Joseph Kabila.

Proprio il presidente ha promesso che nel 2018 si sarebbero tenute le prime elezioni nel paese che producessero una transizione libera, vera e priva di spargimenti di sangue tutte cose che nel paese non si sono mai verificate dall’indipendenza ad oggi. Infatti nel 1960 il primo governo indipendente ebbe vita breve, travolto da secessioni interne, rivolte popolari, guerre civili e interventi militari stranieri, la stabilità fu raggiunta solo nel 1965 con la presa del potere da parte dell’allora capo di stato maggiore Desirè Mobutu che appoggiato dagli Stati Uniti e dai paesi occidentali in funzione anti sovietica diede forma a una dittatura fondata sul culto della personalità e del ritorno alle origini che stabilizzò il paese fino ai primi anni novanta quando una ribellione interna spinta da vari attori internazionali conquistò l’intero paese entrando trionfatrice nella capitale.

Il capo di questi ribelle era Laurent Kabila padre dell’attuale presidente della repubblica ucciso in circostanze misteriose nella sua residenza di Kinshasa nel 2001 e sostituito da Joseph che all’epoca aveva solamente 29 anni. La transizione guidata dalle nazioni unite non ha portato stabilità nel paese che soffre la presenza di decine di gruppi ribelli e un malcontento generale che genera sollevazioni popolari cicliche.

Joseph Kabila ha mantenuto il potere per i due mandati a disposizione attraverso elezioni mai accettate dalle opposizioni, che hanno portato a scontri armati e centinaia di vittime in tutto il paese, negli ultimi due anni ha applicato una repressione violenta di fronte alle proteste di massa nelle varie città e spento nel sangue il conflitto etnico che ha colpito la regione centrale del Kasai. Il 23 dicembre erano previste le attesissime consultazioni elettorali ma ancora un volta sono state rinviate al 30 dalla commissione elettorale (CENI) a causa dell’instabilità di alcune zone, in due di queste Beni e Butembo il voto è stato rinviato a marzo a causa dell’epidemia di ebola scoppiata ad agosto 2018 che ancora sconvolge la popolazione e della presenza di gruppi ribelli ormai fissa i quei territori, nella terza di Yumbi a causa di tensioni etniche che hanno provocato decine di morti proprio a metà dicembre.

Finalmente il 30 dicembre si sono tenute le elezioni anche se non totali vista l’esclusione di alcuni territori, che sono stati centro di violente proteste, gli osservatori soprattutto quelli inviati dalla chiesa cattolica hanno riscontrato ritardi e mancanza di organizzazione e inoltre non hanno avuto acceso ad alcuni seggi.

In larga parte la popolazione ha risposto con una grande affluenza e una generale tranquillità in attesa delle proclamazioni che si dovevano tenere oggi. In linea con la forma tenuta da processo elettorale il 6 gennaio 2019 non è stato possibile ottenere il nome del vincitore la chiesa alcuni giorni fa aveva lanciato un monito al governo e forse anche un grido di aiuto alla comunità internazionale che in Repubblica Democratica del Congo è un attore molto interessato ma spesso scostante.

LA RIVELAZIONE E L’APPELLO
L’influente chiesa cattolica nella repubblica democratica del Congo ha dichiarato che c’è un chiaro vincitore delle elezioni presidenziali tenute domenica scorsa, risultato basato sull’osservazioni del processo elettorale e delle prime proiezioni di voto di questi giorni.

Il vescovo ha avvertito le autorità di essere veritiere e di annunciare presto i risultati al fine di evitare scontri tra la popolazione e le forze di sicurezza che hanno caratterizzato tutti i percorsi elettorali nel paese dall’indipendenza del 1960. La chiesa ha schierato migliaia di osservatori elettorali e alcuni hanno riscontrato evidenti irregolarità.

La commissione elettorale CENI ha dichiarato che l’annuncio dei risultati, attesi per Domenica, potrebbero subire dei ritardi. Il capo della commissione Corneille Nanga ha annunciato che i centri di conteggio stanno ancora aspettando più dell’80% dei conteggi dei vari seggi elettorali dislocati nell’immenso paese. Anche l’opposizione ha lamentato irregolarità nelle elezioni che dovranno proclamare il successore del presidente Joseph Kabila. Kabila sta lasciando il potere dopo 17 anni di carica e ha promesso il primo trasferimento di potere ordinato e tranquillo della storia del paese dall’indipendenza ottenuta dal Belgio nel 1960.

La conferenza episcopale nazionale (cenco) non ha dichiarato chi avrebbe vinto ma ha pregato le istituzioni perché lo spoglio si rapido e veritiero. La chiesa cattolica è stata una delle voci più importanti dell’opposizione e si è battuta per evitare l’estensione della carica del presidente Kabila che avrebbe voluto cambiare la costituzione per ottenere un nuovo mandato, in realtà la sua carica era già terminata due anni fa e lui avrebbe dovuto lasciare il potere nel 2016, ma per vari motivi le elezioni sono state rimandate per tre volte e hanno finalmente avuto luogo il 30 dicembre.

IL BACKOUT DEI MEDIA


Mentre l’attesa per i risultati continua, il governo ha bloccato i segnale del canale televisivo posseduto da un membro dell’opposizione. Il portavoce del governo Lambert Mende ha accusato Canal Congo di poter dichiarare i risultati prima dell’annuncio ufficiale.

Inoltre a partire dal primo pomeriggio di Lunedì in tutto il territorio nazionale è stato oscurato il segnale internet per impedire alle notizie di arrivare alla popolazione, ma soprattutto per impedire che gli attivisti congolesi possano denunciare al mondo l’assurda situazione che si trovano a vivere in questi giorni di attesa. Canal Congo è posseduta da un ex leader dei ribelli sospettato di crimini di guerra Jean Pierre Bemba.

A quest’ultimo è stato impedito di correre alla presidenza a causa della sua colpevolezza in un caso di corruzione di un testimone durante il suo processo per crimini di guerra, da qui la decisione di Bemba di sostenere l’uomo d’affari Martin Fayulu nella corsa alla presidenza. Insieme al blocco di Canal Congo, le autorità hanno inoltre tagliato le trasmissioni di Radio France International (rfi) e cancellato le credenziale di una sua giornalista; Florance Morice, accusandola di aver violato la legge elettorale. Lambert Mende ha dichiarato che il governo non lascerà che una radio butti benzina sul fuoco durante il periodo di attesa per i risultati provvisori. La RFI ha chiaramente rigettato le accuse e difeso la sua giornalista.

QUAL’ È L’OPINIONE DEGLI OSSERVATORI?
Gli osservatori regionali dell’unione africana hanno descritto le elezioni di Domenica scorsa come ”ragionevolmente ben riuscite”. Gli osservatori dell’unione europea e degli altri organismi internazionali sono stati banditi dal paese e in realtà non godono di buona reputazione neppure agli occhi della popolazione.

Ma la chiesa cattolica ha schierato un gruppo numeroso di osservatori che hanno riportato più di cento casi in cui l’accesso alla supervisione dei seggi è stato negato, è stato aggiunto che il 20% dei seggi ha aperto i battenti in ritardo, mentre altri sono stati spostati o neppure aperti.

In una conferenza tenuta nella capitale, Kinshasa, il portavoce Padre Donatien Nshole ha detto “ i dati in possesso derivanti dal conteggio dalle stazioni di voto prese in considerazione designano la chiara selezione di uno dei candidati alla presidenza”. Lo stesso Nshole ha richiamato le autorità ha pubblicare i risultati delle elezioni in un clima veritiero e di giustizia”.

QUALI SONO I CANDIDATI PRINCIPALI?
Ci sono 21 candidati ufficiali, ma sono tre i principali schieramenti:

-Emmanuel Ramazani Shadary, ex ministro dell’interno e fedelissimo di Kabila, è stato colpito da sanzioni dell’unione europea per il suo ruolo nella soppressione violenta delle proteste dell’opposizione durante il 2017. La sua elezione sarebbe in continuità con il potere precedente e forse il preludio di un ritorno di Kabila alle prossime elezioni, ma la sua popolarità è molto bassa a causa della repressione vissuta dalla popolazione

-Martin Fayulu, un ex manager di varie compagnie petrolifere che ha promesso un Congo degno e prospero ma che molti poveri congolesi non ritengono adatto a perorare la loro causa. Fayulu è sicuramente il favorito per la presidenza ed è spalleggiato tra gli altri da Jean Pierre Bemba è leader ribelle avversario politico da Kabila e dell’imprenditore Moise Katumbi ex-alleato politico di Kabila e ammirato amministratore della provincia del Katanga

-Felix Thisekedi Tshilombo, il figlio di uno dei veterani leader dell’opposizione dai tempi del dittatore Mobutu che ha promesso che la sua priorità sarà la lotta alla povertà. Certamente nella città di Kinshasa e nelle provincie centrali delle quali è originario il figlio di Etienne gode di una grande popolarità e l’onda di voti contro il partito di governo potrebbe portarlo alla carica.

QUALI LE POSSIBILI RIPERCUSSIONI
Le poche notizie che filtrano è che la commissione elettorale non abbia ancora scrutinato la metà dei risultati, ma già le prime impressioni hanno chiarito che le opposizioni hanno un netto vantaggio, la chiusura dei network è un segnale de timore del governo che vorrebbe evitare una sollevazione popolare ma non può rinunciare al potere che in un paese del genere vuol dire ricchi contratti di sfruttamento e impunità diffusa.

Le opposizioni non troppo compatte a dir la verità già prima del voto non sono mai state in grado di contrastare le attività governative, ma la chiesa cattolica ha svolto ancora una volta un servizio essenziale in un contesto dove già gioca un ruolo decisivo e i movimenti giovanili si sono dimostrati in grado di utilizzare i mezzi tecnologici per superare le barriere imposte dalle istituzioni.

L’instabilità del territorio e della regione dei grandi laghi preoccupa per i destino di un paese che sembra essere entrato in un orbita di balcanizzazione forzata. L’attaccamento al potere di Kabila sembra assimilabile a quello di Mobutu che però durante i primi decenni di dittatura si fece rispettare dalla popolazione, Kabila non è invece mai stato amato dalla popolazione che lo accusa di aver venduto il paese agli stranieri, di avere rapporto troppo stretti con gli ex nemici ruandesi e addirittura di essere implicato nell’omicidio de padre che gli ha aperto la strada verso il potere. La situazione è abbastanza critica e nell’attesa delle proclamazioni in tutto il paese si vivono momenti di tensione a cui si è malgrado tutto abituato un popolo tenace che sta combattendo per un futuro diverso.

Elia Marelli

Questo articolo è stato pubblicato qui

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