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Elezioni: "La Democrazia che non ho voluto"

L’appuntamento elettorale del 6 e 7 giugno dovrebbe essere l’occasione, per tutti noi cittadini, di fermarsi un attimo a riflettere su quello che sta diventando la nostra, tante volte urlata, "Democrazia". 

Dalla fine della seconda guerra mondiale, l’Europa ha conosciuto più di sessant’anni di "pace", fatto salvo il conflitto nei balcani che, possiamo dire, ha riguardato senz’altro l’Europa in senso geografico, ma non tanto l’Europa del "benessere", costruito nei paesi svincolati dal regime autoritario del comunismo sovietico.

Coloro che andarono a votare il 2 giugno del 1946 scelsero di chiudere per sempre con il regime fascista, ma scelsero anche una Repubblica, la quale ha come pietra angolare la Carta Costituzionale, entrata in vigore dal 1 gennaio del 1948.

Coloro che andarono a votare in quella data, erano persone che si facevano carico del proprio destino, ma al contempo sapevano che la ricostruzione, partendo dalle macerie lasciate dalla guerra, si reggeva sulle loro spalle.

Il fardello era enorme: non si trattava solo di ricostruire le città, interi paesi, ma si trattava altresì di uscire dall’arretratezza culturale che caratterizzava la nostra società dell’epoca, legata ancora alle schematiche ottocentesche.

Quegli uomini e quelle donne però sapevano anche che la loro scelta elettorale sarebbe stata di primaria importanza, avrebbero determinato il loro destino, il loro futuro.

Si poteva leggere nei loro occhi tutto ciò che manca invece al contesto in cui noi oggi ci troviamo a dover scegliere: "la speranza".

Ma quegli uomini e quelle donne sapevano pure che al loro fianco, lungo l’impervio percorso che erano stati costretti a seguire dal "ventennio", c’era una classe politica "antifascista" che aveva lottato, non senza martiri, per un ideale comune: la Democrazia.

Era una classe politica che in molti casi era stata costretta a subire il carcere, la deportazione, la discriminazione, ma che allo stesso tempo aveva aperto gli occhi sul male, e aveva deciso di lottare, di resistere e migliorare il Paese che amava.

Era una classe politica che non aveva paura di confrontarsi, anche aspramente, ma che quando si giungeva al momento di decidere per il bene della collettività si sceglieva sempre per il meglio, al di là delle differenze ideologiche.



La Carta Costituzionale redatta dall’Assemblea Costiuente risultò essere il nocciolo di quei valori, di quegli ideali, per i quali i redattori avevano speso la propria libertà.

Oggi quei valori vengono messi costantemente sotto tiro, gli attacchi alla Costituzione si ripetono nella stessa attività parlamentare: la funzione parlamentare viene sminuita dallo stesso Presidente del Consiglio, il quale non esita a chiamare "capponi" coloro che hanno contribuito alla sua stessa nomina a Palazzo Chigi.

Il nostro premier si comporta come se sentisse non la responsabilità del comando, ma il fastidio del confronto, quando apostrofa "inutili" le Camere, quando attacca l’opposizione anche sui fatti che dovrebbero riguardare la sua vita privata.

E’ assurdo Silvio Berlusconi, quando annuncia di voler riferire alle Camere sul "caso Noemi", quando poi tace, o affida a poche righe di agenzia, il suo coinvolgimento nella corruzione dell’avvocato inglese David Mills.

I nostri "vecchi" di oggi, sono coloro che in parte hanno ricostruito l’Italia da quell’enorme ammasso di macerie che era alla fine del ’45, ed in parte sono coloro nati nell’immediato dopoguerra, che hanno conosciuto la fame e la miseria più nera.

E per paradosso sono le stesse persone alle quali lo Stato dà la pensione più infima, mentre i giovani saranno quelli che non potranno contare nemmeno su quella, tra precari e co.co.co.

La classe politica, che era stata ingiustamente detenuta per i suoi ideali, è stata sostituita da quella che oggi dovrebbe essere detenuta, ma che riesce con tutti i mezzi, e ad ogni costo, a farla franca ed a considerare "sudditi" e/o "consumatori" i cittadini.

<<...Per me, quando sento la mano del potere appesantirsi sulla mia fronte, poco m’importa di sapere chi mi opprime, e non sono maggiormente disposto a infilare la testa sotto il giogo solo perchè un milione di braccia me lo porge>>
(Alexis de Tocqueville, 1805-1859).

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