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El Salvador, un paese carcere

Per reprimere le pandillas, il presidente Bukele ha prorogato lo stato d’assedio, facendo lievitare il numero dei detenuti fino a 94.000. Le carceri, nel paese centroamericano, sono al collasso, le violazioni dei diritti dei carcerati all’ordine del giorno e la democrazia sta scivolando verso un pericoloso autoritarismo

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Lo stato d’assedio imposto dal presidente Nayib Bukele al suo intero paese, El Salvador, prosegue e rappresenta la prima causa della crescita esponenziale del numero dei detenuti.

Nella guerra scatenata contro le pandillas, finora l’unico risultato prodotto è stata l’urgenza di costruire un nuovo carcere, il più grande dell’America latina, che ospiterà fino a 40.000 detenuti. In pratica, il cosiddetto megapenal, edificato a Tecoluca, a circa 70 chilometri dalla capitale San Salvador, assomiglia ad una vera e propria città.

Bukele ha visitato il nuovo carcere, a favore di telecamera, e ne ha annunciato i lavori ultimati al paese affiancato dal direttore della polizia Mauricio Arriaza Chicas e dai ministri della Difesa, René Merino Monroy e delle opere pubbliche Romeo Rodríguez.

Il carcere, denominato “Centro de Confinamiento del Terrorismo”, sembra configurarsi più come un luogo di repressione a prescindere di qualsiasi forma di opposizione sociale a Bukele piuttosto che essere un centro di reclusione dei pandilleros. Diciannove torri di vigilanza e quattro anelli di sicurezza intorno, oltre a filo spinato ad alto voltaggio elettrico, rappresenteranno il deterrente ad ogni tentativo di fuga.

Quello di Bukele assomiglia ad un delirio di onnipotenza. Già nel 2021, la popolazione carceraria salvadoregna era superiore del 120% al numero dei posti totali nei centri di detenzione del paese centroamericano. La proclamazione dello stato d’assedio, a partire dallo scorso marzo, ha fatto il resto. Soltanto fino ad agosto 2022, e cioè in poco più di cinque mesi del régimen de excepción, si sono aggiunti altri 50.000 detenuti. Nella prigione La Esperanza, il numero dei carcerati è passato in poco tempo da 7.600 a 33.000 unità e in quella di Izalco da 8.500 a 23.300. Tra i detenuti vi sono anche centinaia di adolescenti.

La repressione contro le pandillas è stata utilizzata da Bukele per imporre una sorta di autoritarismo della sorveglianza che, peraltro, solo in parte ha scalfito il potere della criminalità organizzata, mentre in tutto il paese i casi di violenza non sono diminuiti. A questo proposito, il Comitato Onu contro la Tortura ha espresso forte preoccupazione per la situazione nelle carceri salvadoregne, ogni giorno più esplosiva, soprattutto per le condizioni disumane in cui sono costretti a vivere i detenuti, tra la mancanza di cure, le precarie condizioni sanitarie, la scarsa alimentazione e il crescente sovraffollamento.

I dati Onu, aggiornati al 25 novembre 2022, evidenziano che la popolazione carceraria ha raggiunto, dallo scorso marzo, la cifra di oltre 94.000 unità.

Già lo scorso aprile, nel carcere di Izalco, avvenne la morte di Wálter Vladimir Sandoval Peñate, pandillero di 32 anni arrestato a seguito della proclamazione dello stato d’assedio. Una mano fratturata, ferite alle ginocchia, al torace e ai polsi testimoniano che era stato torturato. Da allora sono state decine le persone uccise in carcere a seguito di episodi di violenza, almeno 35 secondo un rapporto pubblicato nell’agosto 2022 dall’Instituto de Medicina Legal e reso noto da La Prensa Gráfica. Almeno altri 22 carcerati sono morti per mancanza di cure.

Altre testimonianze raccolte da La Prensa Gráfica parlano di cure mediche e di medicinali improvvisamente sospesi ai detenuti che ne avevano bisogno e di calci e pugni ricevuti dalla polizia penitenziaria salvadoregna.

Arrestati senza un previo ordine giudiziale, secondo quanto stabilito, in fretta e furia, dal Congresso, gran parte dei detenuti vengono associati arbitrariamente da Bukele dal suo governo come appartenenti alla Mara Salvatrucha (MS-13), a Barrio 18 e alle rispettive fazioni di Sureños e Revolucionarios.

Nelle carceri salvadoregne le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno e, a preoccupare, sono le dichiarazioni di Bukele, che definisce la guerra contro le pandillas come sua personale.

Come se non bastasse, a fine dicembre, il presidente non si è fatto alcun problema nel far circondare alcuni quartieri difficili di San Salvador da migliaia di agenti in assetto antisommossa, in particolare La Granjita e Tutunichapa, alla ricerca di narcotrafficanti.

Nonostante la criminalizzazione sociale e la repressione, secondo un sondaggio dell’Universidad Centroamericana (UCA), pubblicato lo scorso mese di ottobre, quasi il 76% dei salvadoregni approverebbe la strategia repressiva scelta da Bukele.

Tuttavia, scrive il quotidiano indipendente El Faro, pur in un contesto di violenza, il potere delle pandillas sembra essersi ridotto, ma il paese ha finito per consegnare tutto il potere ad una sola persona, Bukele, che lo manipola a piacimento senza dover rendere conto a nessuno.

Per la maggioranza dei salvadoregni la democrazia ha perso valore, tanto da guardare ad un sistema fondamentalmente autoritario che, sempre più spesso, erode i diritti civili, sociali e politici del paese.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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