Egitto fra morti improvvise e vite sospese
L’Egitto delle morti improvvise, da parecchi ritenute sospette - come quella di Abdullah Morsi, figlio più giovane del defunto presidente, stroncato anche lui da un infarto - propone da tempo rapimenti e sparizioni.
Talune tragiche, alla maniera di Giulio Regeni, altre meno inquietanti visto che non si concludono con l’assassinio del sequestrato, però egualmente violente, vessatorie, angosciose. E da oltre un anno il sistema repressivo messo su dal presidente golpista Sisi ha introdotto arresti a tempo. La persona, in genere giovane con un passato movimentista o d’opposizione, viene prelevata dalla propria dimora oppure fermata per via con motivazioni vaghe e pretestuose. Viene condotta in un commissariato di polizia per accertamenti e comunicazione di addebiti, se gli va bene finisce davanti a un giudice che impone una reclusione breve - quindici giorni, un mese - che il soggetto subisce e al tempo stesso accetta perché la vede come ‘un male minore’. Finendo, però, in un circolo perverso, narrato da alcuni ex attivisti che ormai entrano ed escono di prigione con una periodicità impressionante. Certo, l’importante è uscirne, ma gli avvocati dei diritti che si sono occupati dei casi, avvocati sempre meno numerosi poiché rischiano accuse di complicità con gli assistiti, riferiscono di sevizie, privazioni, deperimenti dovuti a carenza di cibo, malattie contratte nei luoghi malsani di prigioni ufficiali e ufficiose. Per non parlare dello stato di prostrazione vissuta da alcune vittime che si sentono sospese in questa condizione di reclusione e libertà vigilata divenute le costanti della loro esistenza.
Enrico Campofreda
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