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Ecco perché il mattone in Italia non è mai in crisi: intervista a Roberto Sinibaldi

Roberto Sinibaldi, 56 anni, architetto esperto in pianificazione e progettazione ambientale. In realtà dietro ad un sorriso beffardo, nasconde molto di più. Nel corso degli anni, infatti, tra le tante esperienze professionali, ha ricoperto diversi ruoli all'interno del sistema delle aree protette del Lazio (Circeo, Appia Antica, Castelli Romani, Vejo e Treja) ed ha anche partecipato ad una missione internazionale in Burkina Faso, nell'ambito di alcuni progetti promossi dalla Comunità europea. In realtà però Roberto Sinibaldi è soprattutto una persona molto cordiale, competente e disponibile. La nostra conoscenza è avvenuta per caso durante un corso di formazione del quale era coordinatore e da subito è stato chiaro quanto amasse alternare la seriosità di un linguaggio correttamente italiano ed una sottile ed immancabile ironia.

Roberto, qual è lo stato di salute dell'edilizia italiana?
Abbiamo un’ipertrofia edilizia dovuta ad un modello economico che spinge da quella parte. Per esempio, in Italia non c’è una legge sulla limitazione dell’uso dei suoli. In pratica abbiamo un patrimonio edilizio con oltre 120 milioni di vani, anche se per molti la casa è ancora un miraggio. Un panorama di seconde e terze case che restano inutilizzate per gran parte dell’anno. Solo a Roma, per esempio, dentro la città c’è un’altra città grande come Bologna, fatta solo di case sfitte.

Quindi l'industria del mattone sembra non fermarsi. Perché, però, si parla sempre di un mercato del mattone in crisi anche se, come ci ha appena spiegato, nelle grandi città (e non solo) si continua a costruire?
Perché il divario tra la rendita di un terreno agricolo e lo stesso costruito è talmente elevata che costruire conviene: spesso lo si fa in maniera un po’ spericolata e in quel caso conviene ancora di più. Di questi tempi è difficile vendere, ma il mercato immobiliare in Italia è stato considerato sempre un investimento sicuro e redditivo.

Di fronte a questa situazione c'è chi propone di non costruire più, almeno finché non ci sia una nuova esigenza reale. In quel caso però come potrebbero sopravvivere i tanti posti di lavoro che fanno capo al settore edile?
Una moratoria sarebbe sacrosanta. Abbiamo dissipato milioni di ettari di territorio, che pure per la collettività hanno un valore, in termini ambientali e paesaggistici. Per non perdere neanche un posto di lavoro, anzi aumentarli, basterebbe porre mano alla riqualificazione del nostro patrimonio edilizio. Si potrebbero risparmiare milioni di tonnellate di petrolio equivalente semplicemente coibentando le case e garantendo sicurezza rispetto agli eventi sismici. Il rapporto investimenti/risparmio è circa 1 a 10. Investo uno e risparmio dieci. Non ci sono proprio dubbi, senza considerare che potrebbero essere evitati gli eventi luttuosi legati alle calamità cosiddette naturali.

Lei ha ricoperto anche incarichi politico-istituzionali: quali sono le sue impressioni? In che modo è riuscito a portare avanti le sue idee urbanistiche? 
Le impressioni sono che il corpus delle leggi urbanistiche, volutamente complicatissime e contraddittorie, siano studiate per favorire abusi e il mercato speculativo, delegando la pianificazione agli immobiliaristi, più che alle amministrazioni pubbliche. Tra molte difficoltà e con un pizzico di fortuna, talvolta, si riesce a fare qualcosa di buono, ma ci devono essere una serie di fattori concomitanti.

Fattori concomitanti che stando alla cronaca, raramente si palesano. Infatti, la commistione tra politica e costruttori ha segnato buona parte della cronaca giudiziaria degli ultimi anni: è un processo inevitabile? E se così non fosse, quale potrebbe essere l'alternativa?
La risposta potrebbe sembrare complessa, in realtà si basa su pochi punti fermi. Sarebbe sufficiente mettere persone di qualità nei punti cardine delle pubbliche amministrazioni; dare dignità e potere alle funzioni dei soggetti pubblici che dovrebbero decidere, in maniera trasparente e democratica, che cosa si vuole fare di un certo territorio; modificare le leggi perché siano ridotte a poche norme, semplici e non contraddittorie.

Il settore edile, soprattutto nei piccoli centri, resta a volte l'unica forma imprenditoriale davvero concretizzabile, quale potrebbe essere il futuro delle ditte artigianali locali? 
La green economy propone un paniere di alternative, da coniugare secondo le vocazioni territoriali. Alla speculazione edilizia andrebbero tagliate le unghie eliminando la possibilità che i privati incamerino plusvalenze prodotte dal pubblico. In altre parole, se per esempio il valore di un terreno lievita perché la città avanza, l’immobiliare di turno non si può beare in maniera esclusiva dell’aumento del valore, visto che è la comunità dei cittadini che ha pagato i servizi che, arrivando in quel luogo, hanno innalzato il prezzo di quell’appezzamento. Insomma, è la solita storia: costi collettivi, guadagni privati. È questo che bisogna modificare.

Ci ha parlato di green economy: secondo lei la bio edilizia è davvero una strada da percorrere o una "moda" del momento?
È una strada percorribile, ma, giusto per citare Henry Ford “C'è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti”. Altrimenti le proposte rischiano di costare molto, proprio perché sono di nicchia e non applicate su larga scala. Per molti aspetti, comunque, anche in Italia abbiamo esempi addirittura entusiasmanti, che ci avvicinano alle esperienze più riuscite – e di larga scala – che sono state fatte soprattutto in Germania.

Roberto Sinibaldi come immagina il futuro da qui a 50 anni? Quale potrebbe essere il suo progetto per i giorni che verranno? 
Se non ci sarà un’inversione di tendenza molto decisa, immagino un’Italia completamente cementificata, con qualche lembo di naturalità in alta montagna e poco altro. Il mio progetto di futuro, invece, è di salvare il salvabile. Ora. Da subito. Uno stop alle nuove costruzioni. Una legge che tassi pesantemente le case non utilizzate, una legge che impedisca nuove costruzioni in zone che non siano già edificate. Uno spostamento delle attività edilizie per riqualificare il nostro immenso patrimonio esistente, una attenzione a tutte le diverse pratiche che a basso impatto possano fornire o recuperare energia. Una forte espansione della telematica per evitare spostamenti inutili o che diventerebbero superflui. Una maggiore attenzione al patrimonio storico-archeologico-ambientale che è il nostro vero petrolio.

Per concludere, dopo esserci concentrati sull'avvenire, una domanda personale che ci riporta al passato: com'è cambiato Roberto Sinibaldi rispetto ai primi anni post universitari?
Non molto, sono rimasto sempre un resistente culturale, votato a un certo pauperismo personale. Le idealità sono rimaste intatte e forse questo non è sempre un bene. Si dice che invecchiando si diventa saggi, lasciando presupporre che si diventa più pratici, più smaliziati, più accomodanti. Mi pare un percorso che forse ancora devo compiere e così qualche volta mi sono ritrovato a pagare personalmente per dei principi che altri considerano una inopportuna intransigenza.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di paolo (---.---.---.37) 20 luglio 2012 23:58

    Il mattone non è mai in crisi ?
    O l’architetto Sinibaldi vive sulla luna o è una mosca bianca .

     A prescindere dal fatto che condivido in toto tutto quello che riguarda la riqualificazione del patrimonio edilizio in chiave di risparmio energetico e oggi molto si può fare anche sul preesistente per esempio impiegando le nanotecnologie ,condivido pure il fatto che in anni passati si è costruito in maniera scriteriata con effetti speculativi legati alla mala politica e a tutto il contorno torbido che sappiamo ,ma dire che il mattone non è in mai crisi e dirlo con gli attuali chiari di luna è tutta da ridere .

    Dal 2008 ,con effetti devastanti a partire dal 2010 ,e ci siamo ancora in pieno nel 2012 oltre a non vedere segnali positivi per il 2013 ,il settore non è in crisi , è crollato !! , ma crollato di brutto , come mai nella storia precedente italiana. Mai il settore edile ha conosciuto una crisi di queste proporzioni ,perfino il periodo difficile a cavallo dei primi anni ottanta al confronto è quisquiglia.

    Stanno chiudendo a raffica produttori storici di materiali edili ,rivendite ,imprese e settori indotti . E’ una catastrofe di proporzioni tali che se non arriva un segnale positivo di inversione del trend ,specialmente dal fronte bancario in termini di credito alle imprese ,chiudiamo tutti baracca e burattini perché l’edilizia è il settore trainante primario dell’economia. Persino la progettazione ,probabilmente l’architetto è un caso fortunato ,sta vivendo un momento professionalmente difficile , al limite della sopravvivenza .Boh!

    • Di Sara Pulvirenti (---.---.---.148) 21 luglio 2012 09:52
      Sara Pulvirenti

      Salve Paolo,
      intanto grazie per avere letto l’articolo. Entrando nel merito del suo commento, ae Lei lo permette, vorrei rigirare il Suo commento al Dott. Sinibaldi così magari avrà le risposte ai suoi interrogativi direttamente dal diretto interessato.
      Da parte mia, posso dire però che l’articolo è leggermente provocatorio: ha ragione, ci sono aziende che chiudono e soprattutto ci sono difficoltà nel comprare una casa o nell’avere un mutuo per farlo. Quindi sicuramente questo scenario non è certo quello di un "mercato" in salute.
      Ma poi se lei fa un giro intorno a Roma (e non solo) vedrà sorgere come funghi tante (un’enormità) di case....ma come è possibile? Chi comprerà quelle case? Come verranno pagate le ditte che ci lavorano se i soldi non ci sono? E gli enti pubblici sono in ritardo più che biennale sui pagamenti?
      Ecco, è questo corto circuito che mostra "qualcosa di strano"...perchè non sistemare quello che c’è ed evitare di costruire del nuovo sapendo le tante difficoltà sopra elencate?

  • Di paolo (---.---.---.132) 22 luglio 2012 06:12

    E certo che lo permetto . Non conosco la situazione di Roma che probabilmente è un caso a se stante per un insieme di ragioni che meglio ci spiegherà l’architetto Sinibaldi ma che mi immagino possano essere legate a fenomeni speculativi non proprio limpidi , ma conosco (e bene) la situzione in Toscana che è del tutto simile a quelle delle altre regioni del centro Nord .Le aree metropolitane ,vedi Milano al pari di Roma , hanno peculiarità specifiche e mi chiedo per chi e per cosa si sta costruendo ,dal momento che comprar casa è diventata pura utopia , e soprattutto chi controlla i criteri costruttivi di questi "palizzinari" d’assalto .
    saluti

  • Di Sara Pulvirenti (---.---.---.221) 23 luglio 2012 16:44
    Sara Pulvirenti

    Il Dott. Sinibaldi ha tempestivamente risposto. Inserisco di seguito il suo virgolettato, incentrato soprattutto sulla situazione romana:

    "Sig. Paolo, ho avuto modo di leggere il suo commento e non posso che ribadire la natura provocatoria del titolo, così come anticipato dalla Dott.ssa Pulvirenti. Ha ragione lei..anche il mercato del mattone è in crisi. Ed i motivi sono sotto gli occhi di tutti.
    Ormai infatti sembra saltato il rapporto tra nuove costruzioni e abitanti. A Roma ad esempio negli ultimi anni si è costruito più per esigenze immobiliari, per valorizzare terreni trasformati in nuovi quartieri, piuttosto che per l’esigenza di residenzialità degli abitanti. Infatti a fronte di milioni di metri cubi di nuove case, la Capitale perde abitanti da almeno una ventina d’anni. Le nuove costruzioni rimangono vuote, anche perché lontanissime e mal collegate ai luoghi dove esistono dei servizi. Nel contempo assicuravano però ai costruttori crediti e disponibilità bancarie per ulteriori investimenti. La parabola discendente della nostra economia non assicura neanche più questo e quindi oggi il meccanismo si è inceppato.
    Ciò che resta sono praterie di nuove case invendute, una stretta creditizia che ha fermato il mercato, una perdurante inaccessibilità allo stesso mercato della casa per vasti settori della società, la dissipazione di migliaia di ettari di ex campagna e il lutto sociale di intere porzioni di meno abbienti costretti a un pendolarismo devastante che sposta sempre più al di fuori della città i luoghi della residenza, in genere dequalificati alla sola possibilità di residenza notturna, insomma dei dormitori.

    Il modello prevalente dei nostri Prg si è attestato quasi sempre, per le nuove espansioni, su una città estesa, costosissima per i costi economici dei servizi a rete e incompiuta anche per le esigenze più elementari di una accettabile socialità.

    Le leggi ci sono, basterebbe imporre – anche a Roma – che prima di costruire si realizzino i servizi, ovvio vero? Eppure finora praticamente non si è mai fatto. Cordialità."

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