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È consentito definire cialtrone un ministro senza rischiare una querela?

Sono trascorsi cinque mesi dalle elezioni del 4 marzo e abbiamo avuto modo di farci un’idea esaustiva delle “performance” del nuovo Governo. Siamo in grado, dunque, di qualificare le prestazioni dei suoi ministri ricorrendo all’uso di svariati aggettivi. Ma risulta impresa ardua perché, a seconda del termine utilizzato, si può rischiare persino una querela.

 

Qualcuno sosterrà, con buone ragioni, che i leghisti, specializzati nel cantare slogan sconci e rozzi indirizzati a neri e meridionali scandendo la melodia con l’emissione di suoni gutturali verso chi dissente, quanto i grillini, professionalizzatisi alla scuola del “fondatore” nell’indirizzare offese irripetibili sfociate a volte persino in minacce contro chi si permette di pensarla diversamente da loro, non dovrebbero aver titolo di protestare quando qualcuno si permette di utilizzare pari argomenti nei confronti dei governanti nominati dai rispettivi vertici.

E invece no! Salvini denuncia lo scrittore Saviano, il quale ha avuto l’improntitudine di definire l’uomo Ministro della Malavita e Buffone, mentre gli avvocati grillini staranno ancora gestendo la mole di querele inoltrate dal “Movimento” nei confronti di decine, forse centinaia di giornalisti poco propensi ad assumere la posizione prona nei loro confronti. Gli aggettivi, dunque, possono rappresentare la discriminante tra la libera espressione del pensiero e la sua soppressione attraverso l’istituto della querela. Dove sta la linea di demarcazione? Difficile individuarla, di questi tempi.

Certo che se andiamo a rivedere i comizi del comico, fondatore nonché padrone del Movimento, quel Grillo che per un decennio ha sputato volgarità da cloaca dalle piazze del Paese come dagli schermi TV, viene quasi da sorridere al solo ipotizzare che un aggettivo possa inguaiare qualche giornalista. Che dire, poi, di quegli esempi di signorilità espressa dai leghisti che ci hanno deliziato per lungo tempo brandendo cappi e altri ammennicoli dai banchi del Parlamento o sulle rive del Po?

Verrebbe voglia di “pescare” nella storia o nella letteratura alcuni esempi utili a discernere la “querelle” (francesismo che non sta per querela, tanto per farci comprendere da qualche leghista e, perché no, persino da qualche grillino). Meglio sorvolare. Crea perplessità, però, la recente intervista rilasciata a “la 7” da Piercamillo Davigo, di fresca nomina al CSM. Le sue parole sul concetto di Giustizia devono preoccupare non poco, se ascoltate con attenzione, pur nella superficialità di un talk show visto durante la cena, tra un boccone di pollo alla cacciatora e un chicco d’uva, sopportando le continue interruzioni dei conduttori del programma “In Onda” impegnati a rendere difficoltosa, se non impossibile, la comprensione della profonda filosofia del personaggio in questione, divenuto non a caso paladino dei grillini, per quanto tempo non è dato sapere.

No, basta! Eravamo partiti dalla semplice ricerca degli aggettivi idonei a descrivere l’operato del Governo senza rischiare una querela. Armiamoci, allora, di santa pazienza e di laici vocabolari, quelli on-line, perché andare a recuperare qualche volume tra gli scaffali di casa costringerebbe a perdere parecchio tempo nello spolverare, forse anche scrostare, i dorsi di volumi rimasti a stagionare lì da decenni. Almeno si trattasse di buon vino!

Iniziamo (e finiamo pure) con l’arcinota Treccani, approdo sicuro per chi nutre dubbi in materia. Gli aggettivi imbarazzanti per i quali si rende necessario un approfondimento sono: cialtrone, imbroglione, cafone, pusillanime, incapace, incivile, incompetente, buffone, fascista, xenofobo, e per ora ci fermiamo. Iniziamo con “cialtrone”, dato col significato di “persona spregevole”. Giunge spontanea la domanda: definire cialtrone un ministro, ergo “persona spregevole”, può esporre a querela? Forse sì, delle volte il ministro per la famiglia (sic!) Fontana non se la prenda a male, anche se forse meriterebbe di ben peggio. Allora verifichiamo alcuni sinonimi: briccone, brigante, gaglioffo, lazzarone, lestofante, manigoldo, mascalzone, eccetera.

Accidenti! Per non rischiare una denuncia, dovremmo definire un personaggio quale Di Maio un “briccone”, magari con tanto di buffetto sulle guance. Ma dai! Vi sembra plausibile? Figuriamoci, poi, per gli altri inutili ministri grillini quali tale Bonafede, tale Lezzi, tale Toninelli e compagnia cantando. Ma proseguiamo con gli aggettivi. Come individuare, senza timore di querela, una definizione alternativa di miserabile, buffone, ruttarolo, eccetera?

Accidenti! Qua ci ritroviamo in serie difficoltà. Il povero Saviano, il noto scrittore, sta rischiando grosso per aver definito Salvini “Ministro della Malavita” nonché “Buffone”, e a poco conteranno le prove atte a dimostrarne la veridicità. L’unico termine franco da denuncia, a stare alla Treccani, sembra essere “ruttarolo”, ma solo perché non contemplato nei suoi file. Pertanto fate attenzione, perché se doveste capitare sotto le grinfie del Giudice Davigo il quale, in totale autonomia, giudicasse offensivo il termine, siete fregati, Treccani o meno! Date retta, il ministro Salvini è solo un “uomo che sbaglia”. Poco conta se poi sulla sua coscienza pesino le vite di povere donne e poveri bimbi annegati qua e là per il Mediterraneo. Lui la coscienza l’ha già barattata da ragazzino nel partecipare alle colte trasmissioni delle reti berlusconiane. Chissà se Berlusconi, appunto lui, giunto ormai agli sgoccioli della propria esistenza politica e personale, si sarà reso conto di aver allevato la serpe in seno, il suo, non quello delle escort. Verrebbe da considerare: ben gli sta.

Per concludere, fate attenzione agli aggettivi. Se volete definire in maniera malevola l’attuale Governo e/o i singoli membri, ricorrete al classico saggio “L’arte di insultare” di Arthur Schopenhauer. Caro Saviano, mi permetta di darle del tu per lo spazio di qualche riga. Roberto, se vuoi definire “Buffone” Salvini, mettila in questi termini: “Sei un clown che si diverte a inciampare sugli immigrati”. Oppure, anziché definirlo “Ministro della Malavita”, puoi usare l’espressione “Sei uno che ha fatto campagna elettorale sulle note della colonna sonora del Padrino”. L’uomo capirebbe? Chissà. In fin dei conti, si è formato nel partito di Bossi, gomito a gomito con il Trota.

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.247) 12 agosto 2018 19:48

    Cantastorie >

    L’arte di governare è oggi, e qui, diventata l’attitudine dei suoi “manovratori” politici a trarre dai singoli fatti (eventi) percepiti lo spunto per magnificare scenari innovativi e processi evolutivi mirabolanti.


    In due parole.

    Sono TANTI i cittadini che, con la Lega, s’aspettano di continuare a vivere in quartieri senza l’ombra di un immigrato e dove possono farla da padroni.

    E TANTI sono quelli che, con M5S, s’aspettano comunque una forma di reddito e d’implementare il proprio diritto (libertà) di scegliere nonché decidere secondo convenienza.


    Come dire che lo STATO sta perdendo sempre più la sua connotazione di Organismo e Istituzione collettiva in grado di gestire i problemi più pressanti e di indirizzare al meglio il futuro dell’intera nazione.

    Un “travisamento” che produrrà i suoi effetti, purtroppo spiacevoli, entro pochi mesi.


    Ergo.

    Basta ricordare che il Cantastorie era atteso dagli astanti proprio perché facesse volare fantasie e speranze.

    E non è certo Tutta colpa di Carosello se da tempo piovono …

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