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 Home page > Attualità > Cronaca > Due o tre cose che so di Gianroberto Casaleggio

Due o tre cose che so di Gianroberto Casaleggio

Diversi lettori mi hanno posto alcuni quesiti sulla personalità di Roberto, su alcuni aspetti più o meno discussi della sua azione politica e del suo pensiero. Questa volta non sono lo storico, ma il testimone e cercherò di rispondere con l’onestà che uno storico esige da una fonte. Premetto una cosa: Roberto era un personaggio molto complesso, sfaccettato, anche contraddittorio, un po’ artista ed un po’ ingegnere.

Se avesse fatto lo scrittore, forse sarebbe stato fra i maggiori del momento. E, per questo, non sempre le sue affermazioni vanno prese ala lettera, ma interpretate metaforicamente. E’ il caso del suo notissimo filmato di Gaia, che a molti è parso un semplice delirio. Visto alla lettera, ci sarebbe ragione di pensarlo, ma le cose non sono così facili ed immediate lui si faceva catturare da una idea e la seguiva sino alle estreme conseguenze, qualche volta convincendosene cose se si trattasse di una analisi scientifica fondata su dati solidi come rocce. In realtà erano sogni (o incubi) che lui usava per lanciare una idea, un allarme, una speranza, ma di cui poi si disfaceva come se fosse trattato di sogni di altri. Roberto era uomo di grandi talenti ma che non sempre padroneggiava.

Del filmato su Gaia non ha mai preso il discorso con me e, il paio di volte che ho introdotto io il tema, reagì molto freddamente e con disinteresse. Era una cosa che aveva fatto e che si era lasciato dietro le spalle. Appunto: quel filmato va rivisto ed interpretato come grande metafora, quasi una allegoria del destino della nostra civiltà.

Qualcuno mi riferisce di un discorso in cui avrebbe sostenuto che su Venere c’erano i marziani che avrebbero invaso la Terra: non mi risulta che abbia mai detto una cosa del genere e, sinceramente, non ci credo, perché non è nel suo stile: è troppo banale. Le sue “visioni” erano originali, immaginifiche, non ripetizioni del più trito immaginario di fantascienza.

Poi c’erano le sue elaborazioni teoriche, come quelle sulla democrazia diretta che meritano d’essere discusse a parte (spero di fare una cosa più meditata sul tema, in un momento emotivamente diverso da questo) ma non sempre aspetto teorico ed aspetto, per così dire, letterario, erano chiaramente separati. Dunque, consiglio di studiare i suoi discorsi con un certo distacco.

Vengo alla principale serie di domande riguardanti il suo rapporto con i “poteri forti” (finanza, Usa, eccetera). In primo luogo, non starò a sostenere che l’uomo era moralmente integro: lo sostengo ma so che vi sarebbe facile obiettarmi che sto difendendo la memoria di un amico, per cui, pur testimoniando in questo senso, preferisco farvi presente un altro aspetto del personaggio.

Roberto era di un orgoglio sconfinato ed aveva un carattere molto forte: non si sarebbe mai venduto a nessuno, sia perché questo gli avrebbe sminuito l’idea che aveva di sé, sia perché sarebbe stato incapace di obbedienza. La semplice idea di dover obbedire a qualcuno era per lui semplicemente inimmaginabile. Roberto, semmai gradiva di essere lui a dire cosa si dovesse fare e cosa no, e con un interlocutore che avesse avuto troppe pretese avrebbe subito litigato. E, infatti, proprio con Sasoon, suo primo socio, litigò abbastanza presto, arrivando alla rottura.

C’è poi un altro argomento che va tenuto presente: non credo che nessuno sarebbe stato interessato a “comprarselo”. Era troppo “cavallo scosso” e non era semplice andarci d’accordo. Roberto era un improvvisatore, assolutamente imprevedibile. Cosa avrebbe pensato il giorno dopo non avrebbe saputo dirvelo neanche lui. Quando era in Telecom era la disperazione del team di cui faceva parte, perché, come mi hanno detto diversi colleghi che ho poi conosciuto, “volava troppo alto”, cioè pensava ad un livello di astrazione molto elevato, spesso era troppo in anticipo rispetto agli altri, non terminava un progetto che già ne tirava fuori un altro e gli altri facevano fatica a stargli dietro. Soprattutto, non amava essere contraddetto e si indispettiva se uno non lo capiva a volo o gli faceva una obiezione imprevista.

Una volta, gli feci notare il difetto logico di una sua proposta, sbottò: “Ecco: io ho una idea e ti mi trovi un problema!”. Questo era Roberto: una persona con aspetti fanciulleschi, facile ad arrabbiarsi con chi non stesse al suo gioco, che spesso non distingueva fra desideri e realtà, incurante del principio di non contraddizione e che era divorato da una fantasia sconfinata.

Voi uno così ve lo “comprereste”? E per farne che? Per litigarci dopo mezz’ora? Poi ha avuto rapporti di lavoro con banche, multinazionali eccetera, ma questo attiene alla sua sfera professionale.

E qui veniamo anche all’altra questione sollevata: quella del suo preteso autoritarismo per via della grandinata di espulsioni. Chi mi segue sa che ho sempre dissentito da questo costume organizzativo troppo spicciativo, per cui al primo semi-dissenso, si procedeva con l’espulsione e spesso ho discusso animatamente con lui sul tema. Resto dell’idea che la tolleranza democratica sia una via preferibile ma vorrei farvi capire le sue ragioni.

Roberto (e credo anche Beppe) era ossessionato da due timori congiunti: che il gruppo si trasformasse in una bolgia anarcoide in cui ciascuno fa quel che gli pare e che potesse essere oggetto di infiltrazioni. Per cui intendeva stroncare sul nascere ogni possibile atto di indisciplina. Per di più, intendeva questo come un necessario periodo transitorio. Temo che questo abbia nuociuto allo sviluppo di una dialettica democratica nel movimento e spesso gli dicevo “Così fai una caserma non un movimento!” segnalandogli la contraddizione fra la critica al sistema dei partiti e poi una prassi disciplinare così caporalesca. Lui in parte se la cavava dicendo che i “parlamentari sono semplici portavoce del popolo” che si esprimeva attraverso i referendum on line, per cui non c’era ragione di dissenso, in parte usava un argomento ben diversamente fondato: il gruppo era un insieme casuale di persone che non si conoscevano neppure fra loro ed il passo fra questo ammasso informe e l’armata Brancaleone era assai breve. La prima cosa non stava in piedi, la seconda aveva una sua ragionevolezza, come, peraltro dimostra la fine che hanno fatto i vari dissidenti, distribuendosi fra tutti i partiti dell’arco parlamentare.

Bisogna trovare un giusto punto di equilibrio fra partecipazione democratica e libertà di discussione da una parte ed esigenze disciplinari dall’altro. E questo è uno dei problemi che il M5s si troverà ad affrontare già nell’immediatezza di questo difficile momento.

Ma a quanti pensano (o desiderano? Sono molti quelli che confondono desideri e realtà) che il M5s in poco tempo finirà in frantumi, dico di non farsi troppe illusioni. Non è probabile che accada ed il M5s sarà trovare la sua strada. Ma di questo parleremo prossimamente.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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