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Due mostre da non perdere a Venezia: Kantor e Nazarov

Tra le numerose proposte artistiche dell’estate veneziana, c’è ancora tempo, ma davvero poco, per visitare due esposizioni, ad ingresso gratuito, entrambe allestite a Palazzo Zenobio, sede del Collegio armeno Moorat Raphael, situato nel sestiere di Dorsoduro, assai vivace per la presenza di parecchie sedi universitarie e perciò di una nutrita popolazione studentesca, tuttavia non ancora preso d’assalto dal turismo di massa.

Il 31 agosto si chiuderà Memorie, di Sergei Nazarov (1960). Nato in Armenia, a Kabarakh, Nazarov ha studiato a San Pietroburgo, città in cui tuttora risiede. La mostra, attraverso circa 40 opere, ripercorre il suo itinerario visivo che attraversa i ricordi dell’infanzia, della terra natale, delle scoperte nei numerosi viaggi, degli affetti intimi e della conoscenza della Storia dell’Arte, in un susseguirsi di luoghi, paesaggi e simboli del suo vissuto. Nazarov usa tecniche differenti, dall’acquaforte, al carboncino o all’inchiostro su carta, alla tempera su cartone, all’olio su tela, per dar vita ad opere placide e meditative nelle quali la luce svolge un ruolo cruciale.

E’ liscia e fresca, statica e fluttuante, tesa a descrivere una poesia impercettibile dell’accettazione del mondo in cui l’artista desidera sciogliersi. Accanto alle nature morte e ai paesaggi di Venezia, una delle sue città predilette, e di una San Pietroburgo coperta di neve, è semplicemente deliziosa Rami di cachi, un olio su tela del 2012 di medie dimensioni (80 x 100 cm.). Il colore, la forma soda dei cachi e lo sguardo attento di un uccellino che forse medita di addentarli, inducono quasi lo spettatore a tendere la mano per cogliere almeno un frutto.

Nel medesimo piano del palazzo c’è un po’ più di tempo – fino al 10 settembre – per ammirare Atlantis di Maxim Kantor (Mosca, 1957). La sua pittura, ancora una volta legata alla ricerca storica e con riferimenti al suo pensiero filosofico – l’artista, oltre che pittore ed incisore è anche scrittore e saggista – si arricchisce in questa occasione di un elemento nuovo, l’oceano, studiato a fondo da quando Kantor trascorre sempre più tempo all’Ile de Ré, un’isola prossima alla costa della Francia.

Come scrive egli stesso nella lettera ai collezionisti, inclusa nel percorso della mostra, “sono profondamente convinto che soltanto la cultura dell’Europa, il Patrimonio del Rinascimento, la tradizione di umanismo che è incarnata nelle istituzioni e nelle università europee possano salvare il mondo, anche se il mondo sta attraversando tempi terribili. E l’Ile de Ré è diventata il vero simbolo di questa mia convinzione, grazie ad un’immagine come se l’Europa sprofondasse nell’oceano", nella continua alternanza di alte e basse maree.

Atlantis, il nome scelto per la mostra, si riferisce alla mitica isola, designata da Platone nel Timeo e nel Crizia, la quale, giunta a esercitare la sua potenza sull’Africa e sull’Asia, sarebbe successivamente inabissata nell’oceano, da una catastrofe nello spazio di un giorno e una notte, per l’empietà, secondo Platone, dei suoi abitanti. Kantor, attraverso il ricco portfolio Vulcano, dà un’interpretazione personale di tale catastrofe. In una sorta di manuale di storia degli ultimi 150 anni, foglio dopo foglio, Vulcano mostra il lungo degrado dei valori e dei costumi, che mina lentamente, ma inesorabilmente le fondamenta di Atlantide, in apparenza splendida, potente ed eterna. Sensazionali nella ricchezza dei colori, i giganteschi oli su tela che mostrano Atlantide come una cattedrale nell’oceano (250 x 380 cm.) e l’Oceano nelle fasi di calma e di tempesta.

In tutte le opere, infine, sono presenti i due aspetti costanti del pensiero di Kantor, la pietà verso le vittime dell’isola, colte nell’attimo in cui cominciano a morire e la condanna delle ragioni che hanno portato Atlantide a perdersi e inabissarsi : la cupidigia, la corruzione, la manipolazione dell’informazione e l’inganno sistematico. Il risultato è la negazione della dignità umana in una civiltà , allora come oggi, che ha dimenticato come l’amore ed il dolore siano il sale della terra.

Foto: Wikimedia

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