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Droga, sostanze stupefacenti e ideologia

Sino alla fine degli anni cinquanta le sostanze stupefacenti (essenzialmente oppiacei e derivati della coca) erano in vendita nelle farmacie dietro presentazione di ricetta medica. Mio cognato era medico e ricordo di aver visto nel suo studio il ricettario per questo tipo di prodotto, che erano di color rosa per distinguerle dalle ricette ordinarie che erano di colore bianco. Ovviamente c’erano una serie di limiti e una parte del mercato passava per il canale del contrabbando.

Ma, nel complesso, i traffici di droga erano una parte molto ridotta dei traffici di malavita che, piuttosto si dirigevano verso la prostituzione, il gioco d’azzardo, i furti d’appartamento e le rapine. Ma, a partire dagli anni sessanta, venne l’idea geniale di proibire ogni forma legale di vendita di stupefacenti e configurare il reato sia di vendita che di consumo di sostanze stupefacenti, la cui lista andava ingrossandosi di giorno in giorno (hashish, marijuana, mescalina, Lsd eccetera) mentre si diffondevano leggende metropolitane la più diffusa delle quali voleva che l’assunzione di queste sostanze avesse funzione afrodisiaca e di potenziamento sessuale. Salvo poi scoprire che la quasi totalità di quelle sostanze hanno effetto, semmai, depressivo ed anche la coca, che sul momento ha effettivamente capacità eccitanti, poi, può provocare impotenza! Nel frattempo il clima di rivolta libertaria degli anni sessanta-settanta (ma anche ruolo attivo dei servizi segreti americani nel promuovere la diffusione dell’eroina per disgregare il Black Panters Party) favorì la diffusione di questi consumi.

A distanza di mezzo secolo. Il bilancio è questo: le tossicodipendenze non sono affatto diminuite ma, al contrario, sono esplose, di conseguenza il traffico di droga è diventato il super affare di mafia del secolo. Mai la criminalità organizzata ha incassato tanto denaro quanto ne è venuto da questo traffico. Pertanto, la criminalità è diventata uno dei grandi attiri economici della scena, molti consumatori sono diventati piccoli spacciatori, con un effetto moltiplicatore, le tossicodipendenze sono diventate uno dei principali problemi sociali, portando con sé l’affollamento delle carceri, il sovraccarico investigativo per le forze di polizia molti problemi sanitari specificamente legati al consumo di droghe (dall’Aids alle epatiti croniche), senza calcolare i decessi per over dose e consumo di sostanze tagliate con la stricnina.

Con un bilancio del genere, non dovrebbero esserci troppi dubbi a dichiarare fallito l’esperimento e passare ad altra strategia di contrasto al fenomeno diversa dal proibizionismo. Cosa lo impedisce? Solo l’ottusità della maggior parte del ceto politico e l’azione interessata degli altri politici, quelli legati alla mafia? Non è solo questo. C’è una dimensione propriamente ideologica che ritiene ch, per debellare un fenomeno indesiderato, bisogna sanzionarlo penalmente e questa è la condizione necessaria e sufficiente per farlo finire o, quantomeno arginarlo. Peccato che non sia sempre così e proprio il caso delle tossicodipendenze, cresciute a dismisura nonostante il proibizionismo, lo dimostra ad abbundantiam. Ma a sostegno di esso c’è un’altra convinzione altrettanti ideologico: quel che è moralmente illecito non può essere legalizzato perché peccato è uguale a reato. Sono i postumi dell’ideologia cattolica conservatrice. E magari poi vi dicono che quelli “ideologici” siete voi.

Aldo Giannuli

Questo articolo è stato pubblicato qui

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