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Dove vanno le democrazie e i presidenzialismi

Alla fine del XX secolo i regimi democratici vecchi e nuovi sembrano aver preso la strada i primi di una confermata stabilità, i secondi del definitivo consolidamento, tant’è vero che nessuno di questi sistemi è crollato e nessuna differenza intercorre più oramai tra i sistemi presidenziali e quelli parlamentari: si potrebbe affermare che non è una questione di modelli ma di epoche. Questo “indirizzamento” alla democrazia, infatti, è stato sicuramente facilitato dalla scomparsa in primo luogo della lunga contrapposizione tra blocchi, che molto spesso aveva portato anche le democrazie occidentali a tollerare stati alleati non democratici e talvolta anche sanguinari; in secondo luogo è stato accomodato dalla morte delle ideologie tradizionali. Proprio per questo è difficile oggi vedere nei movimenti “anomali” che nascono nel mondo le medesime influenze internazionali che potevano subire e gli stessi risvolti sempre internazionali che potevano avere nel passato, ma ciò non significa che i regimi democratici e in seconda battuta quelli presidenziali saranno sicuri per sempre, né che non possano essere migliorati. I casi più significativi forse oggi si trovano proprio in America Latina. Terra per eccellenza dei sistemi presidenziali, il subcontinente sudamericano è quello che più ha sofferto i continui “travasi” di regimi e la successione al potere di Presidenti “quasi dittatori” e “dittatori un po’ anche Presidenti”.

Il sistema presidenziale e la presenza di altri fattori, in prima istanza politici, potrebbero in effetti ripresentare e portare alcuni stati verso crisi democratiche (la Colombia con la invadente e pericolosa presenza delle FARC). Il Venezuela con Hugo Chávez ad esempio, potrebbe rientrare tra questi: orientamento politico simile a quello di Allende ma dai comportamenti e toni fortemente populisti e di dubbia democraticità, propugnatore del “socialismo del XXI secolo”, Chávez è arrivato al potere con metodi poco democratici, anche se poi si è attenuto alle regole della democrazia, presentandosi a libere tornate elettorali e uscendo quasi sempre vincitore. È propagatore di trasformazioni sociali e statali forti e ha dei connotati fortemente antisistema. Se il Cile con l’elezione di Allende aveva subito forti pressioni internazionali avverse, Chávez sembra viaggiare più tranquillo sia per la flessione del potere che gli USA esercitano nell’area, sia per l’entità dell’arma economica agitata dal Presidente venezuelano e dalle risorse che questa gli conferisce. Più tranquilla sembra essere pure la situazione sociale interna, abituata ormai alla presenza di un personaggio scomodo che gode comunque di legittimità. Leggermente diverso è il caso boliviano di Evo Morales, anch’egli impegnato in un processo di trasformazione sociale alla guida di un movimento molto particolare, il MAS, dai toni meno coloriti di quelli del Presidente venezuelano.
 

Può invece spiegare molte cose e meglio, la vicenda di Daniel Ortega in Nicaragua. È quella più interessante dal punto di vista della traiettoria politica del Presidente e del paese: è una storia apertasi come quella della presidenza Allende nel ’70 e non ancora finita, visto che Ortega è stato a capo di un governo di coalizione con elementi marxisti. Ortega assunse la presidenza del Nicaragua nel 1985 e cercò di portare avanti un programma di trasformazione sociale vicino a quello che attuò Allende. Estromesso dal potere a seguito di elezioni, è riuscito a tornare al potere alla guida di una coalizione identica ma con proclami molto più moderati nel 2006, rappresenta forse meglio ciò che sarebbe stato il Cile senza il suo 11 settembre. L’epilogo nicaraguense è differente perché d’altra parte nessun fatto si ripete mai allo stesso modo, né ha sviluppi identici, anche perché le condizioni di partenza e di sviluppo, riguardo a questi fatti, sono molto diverse.
 
I sistemi presidenziali funzionano bene in democrazie consolidate prive di contrasti ideologici forti e non necessariamente con una polarizzazione partitica. Il caso del Cile sta a dimostrare che il presidenzialismo semmai non è adatto a portare avanti e gestire una “transizione” verso un sistema sociale e politico particolare. Quando Allende aveva proposto la radicale modifica della costituzione forse si era accorto proprio di questo: egli intendeva infatti istituire un Congresso monocamerale e passare ad un sistema parlamentare perché riteneva più facile gestire le richieste dei partiti e smorzare le influenze ideologiche che portano alla polarizzazione del sistema. In quel caso infatti la rimozione del governo non sarebbe stato un problema insormontabile, come invece è accaduto nel momento in cui Presidente e Congresso si sono arenati, e il regime democratico cileno avrebbe avuto l’11 settembre 1973 un ostacolo in meno da affrontare e non di poco conto, probabilmente decisivo. Forse avrebbe risparmiato anche la gentile frase che l’ex premier inglese Margaret Thatcher rivolse a Pinochet nel suo soggiorno in Inghilterra nel 2006: «Grazie per aver riportato il Cile alla democrazia». Peccato si riferisse al 1973 e non al 1989.

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