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 Home page > Attualità > Europa > Dopo Parigi (proprio come dopo Beirut ed altre città)

Dopo Parigi (proprio come dopo Beirut ed altre città)

La stragrande maggioranza delle vittime del terrorismo sono i civili delle popolazioni arabe e islamiche, ma “di gran parte di queste stragi non ci è mai giunta notizia”.

Sono parole con cui Paolo Pagliaro, a Otto e mezzo di lunedì 16 (da 28’ 47”) ha commentato il mio articolo Non solo Parigi: la teocrazia terroristica all’attacco in cui citavo i dati sulle attività terroristiche pubblicati da Erin Miller, una studiosa dell’Università del Maryland specializzata in ricerche sulle attività terroristiche nel mondo.

Il giornalista ha concluso così, con parole particolarmente apprezzabili, il suo pezzo: “Quando ci chiediamo perché è così flebile l’indignazione del mondo arabo e del mondo musulmano per la strage di Parigi dobbiamo mettere nel conto che una parte di quel mondo è troppo impegnato a piangere i propri morti per occuparsi dei nostri”.

Noi occidentali non siamo più capaci - e forse non lo siamo mai stati - di “vedere” (cioè guardare con curiosità, interesse e magari anche empatia, che è cosa diversa dal puro e semplice vedere fisico) i mondi diversi dal nostro. Che sarà pure la dimensione politico-culturale largamente dominante, ma che è pur sempre solo una delle tante possibilità di abitare il pianeta.

Guardare al fenomeno terrorista quindi impone di vedere che le prime, e più numerose vittime del terrorismo islamico sono proprio persone di fede islamica. E che la brutale sintesi islamismo=terrorismo è, appunto, solo una sintesi. Brutale, quanto stupida e sbagliata. Ma redditizia dal punto di vista politico e giornalistico.

In questo contesto si inserisce il fatto, di per sé un fatto minore, ma indubbiamente significativo, delle sei ragazze musulmane che in una scuola di Varese si sono alzate e se ne sono andate per non dover commemorare i morti di Parigi con il classico minuto di silenzio. Un gesto che il giornalista del Corriere non esita a definire di "disobbedienza", confondendosi un (bel) po' sulla realtà delle cose.

Lo strappo, definito “clamoroso”, avrebbe potuto effettivamente essere interpretato come un sfregio alla memoria delle vittime innocenti degli attentati, quindi un atto ostile.

Ma che loro, le ragazze - questa la versione dell’intelligente preside dell’Istituto - spiegano come un rifiuto di discriminare i morti: quelli di Parigi si commemorano, quelli russi dell’aereo esploso in volo sul Sinai, o i libanesi fatti a pezzi da un’autobomba invece no. Si sono rifiutate di aderire, ad una discriminazione (di interesse quantomeno) che è palese e sotto gli occhi di tutti.

Chiediamoci perché mai dovremmo sentirci più vicini all’ignobile Maurizio Belpietro, autore di un titolo a dir poco indecente: “Bastardi islamici”, che alle ragazze musulmane che ci chiedono, a modo loro - cioè con l’implacabile senso di giustizia di cui gli adolescenti di tutto il mondo fortunatamente sono stracolmi - di non fare una selezione di merito fra le vittime nostre e le vittime loro.

Se non ci riusciamo - ed è abbastanza comprensibile che i morti di Parigi (in realtà vittime di 19 nazionalità diverse) li sentiamo come “nostri” per un qualche senso di identificazione, mentre russi o libanesi, nigeriani o pakistani invece no - una cosa almeno possiamo farla: impediamoci di colpevolizzare chi, chiedendoci di riflettere, pretende da noi giustizia ed equità. E smettiamo di privilegiare invece chi pretende di imporci, senza alcun ripensamento, una visione manichea, tanto astratta quanto disumana.

Sono morti ebrei, musulmani e cristiani e induisti e buddisti e fra loro chissà quanti atei, a Parigi e nel mondo.

Ci mancava solo - in una situazione che si sta avviando con fatuità verso una catastrofe epocale - che un insignificante politicante da strapazzo della provincia italiana, dalla mente corta e dal curriculum chiacchierato, a fronte degli attentati reclamasse l’imposizione per legge del crocefisso nelle scuole.

Impressionante e sconfortante segno dei tempi (con buona pace di Gramsci).

Foto: Defence Images/Flickr

 

 

 

 

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