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Diritti sessuali e riproduttivi: Onu e Oms accelerano, Vaticano sempre più indietro

Il 25 settembre scorso si è svolto a New York un vertice straordinario dell’Onu il cui scopo era l’adozione ufficiale dell’Agenda 2030 sullo Sviluppo Sostenibile, un documento già informalmente approvato in un summit svoltosi il luglio scorso e che, adesso, è stato adottato da un’assemblea che ha visto la partecipazione di ben 150 capi di Stato e di governo. Come recita il preambolo, l’Agenda è “un piano d’azione per la popolazione, per il pianeta e per la prosperità”. Ambiziosa, come molti dei documenti approvati dall’Onu, ma anche doverosa per un’organizzazione che si propone di coordinare l’azione dei singoli Stati.

Il documento si articola in 17 traguardi, a loro volta suddivisi in 169 obiettivi, che ci si propone di raggiungere dal 2016 al 2030 su scala globale e che influenzeranno tutte le azioni intraprese dall’Onu stessa, a partire dalla lotta alla povertà e alla fame fino alla difesa di suolo, mari e clima, passando per l’accesso alle risorse idriche, la sicurezza delle città, l’energia pulita, il diritto al lavoro, all’istruzione, alla salute, e per il contrasto alla discriminazione e alla violenza di genere. Stranamente, la notizia è stata per lo più ignorata dalla stampa nazionale italiana, una delle poche eccezioni è quella di Avvenire che ha tenuto a sottolineare quegli aspetti che definisce “controversi”.

E dire che il Vaticano, che dell’Onu non fa parte ma gode dello status di osservatore permanente, aveva già cercato di far sentire la sua voce in merito al documento attraverso una sua missione, come confermato da Radio Vaticana. Il problema, per loro, è però che la risoluzione è stata approvata senza tenere minimamente conto delle osservazioni della Santa Sede. Cosa buona e giusta, visto che parliamo di obiezioni su base confessionale e visto che un osservatore che dice la sua è sostanzialmente un ossimoro, ma per nulla scontate. Del resto le stesse tesi venivano sostenute, altrettanto invano, anche da altri stati teocratici membri effettivi dell’Onu, come l’Arabia Saudita.

Ma veniamo ai punti contestati dalla Chiesa cattolica partendo dalla discriminazione di genere. Nell’articolo su Radio Vaticana si legge: «Con riferimento al “gender”, la Santa Sede comprende il termine come fondato sull’“identità sessuale biologica che sia maschio o femmina”». Quindi, mentre legge un documento in inglese, dove sorprendentemente si usano termini in lingua inglese tra cui “gender”, direttamente traducibile in italiano con “genere”, la missione vaticana rimarca il termine nell’originale inglese per dire che con ciò intende l’”identità sessuale biologica”. Per cominciare, cosa diamine sarebbe l’“identità sessuale biologica”?! A quanto mi consta esiste un’identità di genere, che di biologico nel senso inteso dall’autrice non ha nulla, e un sesso biologico che invece non ha nulla di identitario. L’“identità sessuale biologica” sarebbe quindi una sorta di chimera, un artificioso ibrido tra due concetti pertinenti a sfere diverse.

E comunque, i termini in lingua straniera si usano laddove non esiste un corrispondente in italiano, non quando c’è una parola il cui significato corrisponde esattamente. O comunque, purché si mantenga il significato originale del termine; ad esempio, al posto di “ibrido” avrei potuto usare “cocktail” senza problemi. Ma nel caso in oggetto l’intenzione è abbastanza chiara: si è voluto cogliere l’occasione per propagandare ulteriormente l’idea che il fantomatico gender sia qualcosa di diverso dal genere, e cioè che sia un’ideologia volta a far diventare tutti gay e lesbiche perché ad essere etero sarebbe rimasto solo uno sparuto gruppo di credenti bigotti. Operazione non riuscita, perché in realtà proprio quella frase conferma clamorosamente che di operazione furbesca trattasi, di mero revisionismo linguistico mirato alla costruzione del mostro da attaccare. O, per dirla con le parole del ministro Stefania Giannini, che certo non è nota per eccesso di laicità, di “truffa culturale”.

L’altra nota dolente sarebbe l’affermazione dei concetti di “servizio per la salute sessuale e riproduttiva” e di “pianificazione familiare”, contenuti nell’obiettivo 3.7 della risoluzione. In questo caso la missione vaticana puntualizzava che considera la prima definizione come riferibile a un “concetto olistico”, favorevole al processo decisionale “che caratterizza il rapporto coniugale tra un uomo e una donna in conformità con le norme morali”. Naturalmente, le loro norme morali. Anche perché, sebbene morale ed etica siano sinonimi, sarebbe bene che al di fuori della sfera religiosa si parli solo di etica, in modo da distinguersi dai moralisti. E infatti, riguardo alla seconda definizione, la missione ribadiva la “ben nota” (virgolettato dell’articolista) posizione della Santa Sede secondo cui rimangono moralmente inaccettabili i servizi di pianificazione familiare “che non rispettano la libertà dei coniugi, la dignità umana e i diritti umani degli interessati”. Dove ovviamente la dignità è quella secondo la visione cattolica e gli interessati comprendono anche ovuli ed embrioni, questo è chiaro sebbene non esplicito.

Dopo appena tre giorni dal vertice Onu l’Organizzazione Mondiale della Sanità, in concomitanza con laGiornata Mondiale dell’Azione per l’Accesso Sicuro e Legale all’Aborto — celebrata dall’Iheu proprio conuna sollecitazione verso l’Onu — calava l’asso pubblicando le sue raccomandazioni riguardo agli interventi per la promozione della salute riproduttiva e neonatale. Vi si leggono numeri significativi: sarebbero 22 milioni gli aborti effettuati in condizioni critiche e occorrerebbero ben 13 milioni di ginecologi abortisti per risolvere il problema. Ancora una volta è intervenuto Avvenire con un articolo che definisce “concetti ambigui” quelli inseriti nel documento Onu e ripresi in quello dell’Oms, aggiungendo che a loro parere quello della salute riproduttiva sarebbe ormai diventato un dogma per l’Onu. E loro certo di dogmi se ne intendono. Il fatto è che mentre pensano ai loro, di dogmi, il mondo va avanti senza aspettarli.

Massimo Maiurana

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