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“Diego y Fidel”: l’orgoglio ribelle dell’America Latina

Per una curiosa coincidenza della storia, due tra i personaggi latinoamericani più iconici del XX secolo sono scomparsi nello stesso giorno, a distanza di quattro anni l’uno dall’altro. Il 25 novembre 2016, a 90 anni, concludeva la sua lunga vita Fidel Castro. Il 25 novembre 2020, poche settimane dopo il suo sessantesimo compleanno, se ne è andato Diego Armando Maradona.

I due, seppur appartenenti a campi in apparenza lontanissimi, erano legati da profonda stima e amicizia. Merito anche delle inclinazioni politiche di Maradona. Il Pibe de Oro, infatti, pur tra le innumerevoli contraddizioni di una vita vissuta a mille all’ora, ha sempre espresso chiari ideali di sinistra. Lui, cresciuto a Villa Fiorito, un barrio poverissimo all’estrema periferia sud di Buenos Aires, si sentiva un figlio del popolo ed è per questo (oltre che per la sua immensa classe) che è stato adorato dalla gente, in Argentina come a Napoli, la sua patria adottiva.

Il primo contatto tra Diego e Fidel risale al 1987, quando i due si incontrarono all’Avana, dove Maradona era stato invitato per ricevere un premio dall’agenzia di stampa cubana.

Appena un anno prima il Diez argentino trascinava i suoi alla vittoria del mondiale in Messico, con una gara in particolare rimasta nell’immaginario collettivo: il quarto di finale contro l’Inghilterra, con quelle due reti memorabili, la mano de Dios e il gol del siglo. “Chi ruba a un ladro ha cent’anni di perdono” dichiarò tempo dopo il Pibe riferendosi al celebre gol di mano, una sorta di riscatto dei deboli del mondo contro i prepotenti, rappresentati in quel caso dagli inglesi, che solo quattro anni prima avevano sconfitto gli argentini nella guerra delle Falkland/Malvinas. Poco importa che la guerra l’avesse scatenata in realtà il regime militare di Buenos Aires: quel pugnetto al pallone rappresentava una sorta di sfida all’imperialismo e doveva avere impressionato anche Castro, che aveva interesse per lo sport ma non propriamente per il calcio (da buon cubano preferiva il baseball).

Fatto sta che da quell’incontro nell’87 i due rimasero reciprocamente folgorati e da allora iniziò un lungo e sincero rapporto di amicizia.

Fu Fidel Castro a invitare pubblicamente Maradona a Cuba per disintossicarsi dalla cocaina, quando, dopo un overdose a Punta del Este in Uruguay a gennaio del 2000, il campione era ridotto in fin di vita. Maradona si trattenne nell’isola caraibica per quattro anni, seppur in maniera intermittente, assistito dai migliori medici cubani e in costante contatto con Fidel. Alla fine, riuscì a tornare stabilmente in patria, rigenerato.

Nel 2005, reinventatosi conduttore televisivo, Diego tornò a trovare Fidel a Cuba, realizzando una corposa intervista che è un autentico manifesto politico: ci sono l’anti-imperialismo e la viscerale ostilità verso gli Stati Uniti (Maradona ha anche un conto personale con gli Usa: da quando fu squalificato per doping durante i mondiali del ’94 gli è stato vietato l’ingresso nel Paese); e poi ancora, la lotta contro le diseguaglianze, la povertà e l’ignoranza; il sogno di un’alleanza tra i popoli latinoamericani; il ricordo di Che Guevara, argentino come Diego, che indossa una maglia con la sua effigie.

 

Diego Armando Maradona e Fidel Castro

Il tutto alternato a risate e aneddoti, fino al mini-show finale: prima Diego mostra a uno stupito Fidel il suo stesso volto barbuto tatuato sul polpaccio, poi prova a far palleggiare l’anziano comandante, che però, con un ginocchio malconcio, si limita a tentare una sorta di tiro a canestro.

Castro, ad ogni modo, non era l’unico leader politico con cui Maradona intratteneva rapporti di amicizia. Diego ha appoggiato stabilmente tutti i peronisti argentini, ma anche i presidenti socialisti dell’America Latina: Hugo Chávez, Evo Morales (coi quali, sempre nel 2005, partecipò a una manifestazione a Mar del Plata al grido di: “Stop Bush!”) e molti altri ancora, fino a Papa Francesco, progressista e argentino. Ma Fidel era di gran lunga la figura politica a cui era più affezionato, tanto che alla sua morte Maradona dichiarò commosso di fronte alle telecamere di aver perso “un secondo padre” e volò a Cuba per assistere al funerale.

Addirittura, dopo gli ultimi problemi di salute (una delicata operazione al cervello, seguita ad anni di nuovi abusi, stavolta di alcol e psicofarmaci), si stava facendo largo l’ipotesi di portare Diego di nuovo all’Avana per seguire il necessario percorso riabilitativo. Non c’è stato il tempo. Ma nell’isola non si sono dimenticati di lui, tanto che tra le migliaia di lettere di condoglianze per la scomparsa del campione, una tra le prime ad arrivare è stata quella indirizzata al presidente argentino Alberto Fernández e scritta dal suo omologo cubano, la quale recita così:

“Stimato Presidente,

Nel nome del popolo, del governo cubano e del Generale dell’Esercito Raúl Castro Ruz, le trasmetto le più sentite condoglianze per la scomparsa di Diego Armando Maradona, profondo e fedele amico di Fidel e del nostro popolo.

La prego di estenderle ai suoi familiari e amici.

Fraternamente,

Miguel Díaz-Canel Bermúdez, Presidente della Repubblica di Cuba”.

 

 

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