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DiMartedì: Il Referendum e DiBattista. Basta un sì anche per i treni?

Col sì al referendum, migliorerà la qualità della nostra sanità, anche al sud.
Perché a decidere sulla salute non saranno più le regioni ma un ministro a Roma. Col sì al referendum avremo la crescita del PIL, maggiore stabilità, maggiore credibilità, i mercati avranno fiducia in noi. Se ora lo spread cresce è colpa del no, dell'incertezza. Anche se il PIL non cresce oltre le attese (e le stime riviste). Anche se l'Europa non si fa spaventare dalle minacce (quanto è solo fumo negli occhi?) di un veto sul bilancio europeo.

Anche se per dare più sicurezza (percepita e non reale) ai cittadini si mandano i militari nelle strade come ai tempi di Maroni e della Moratti.

Col sì al referendum verranno prese le decisioni, non ci saranno veti dalle regioni: si ridurranno i costi delle bollette (in che modo? Trivellando di più il sottosuolo, anche nelle regioni sismiche?), verranno realizzate le grandi opere in tempi certi. Come il ponte sullo stretto o i lotti della Salerno RC, su cui ha già allungato le mani la ndrangheta...



Ospite a Di Martedì, Di Battista raccontava del tour in treno per il paese, per la campagna sul no. Raccontava delle difficoltà a muoversi, dei treni soppressi. Come sanno già i tanti pendolari italiani che si muovono sui regionali.

Basta un sì anche per far arrivare in orario i treni?

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.43) 17 novembre 2016 19:59

    RIANNODARE >


    Una cosa è integrare il dettato Costituzionale con delle Leggi riguardanti specifici temi individuati in modo univoco. Cosa ben diversa è proporre la modifica di una consistente parte (40 articoli) della Costituzione assommando contenuti complessi, macchinosi e diversificati.

    Una differenza che diventa insanabile quando si deve fare ricorso ad un referendum confermativo. Magari prescindendo dalle usuali conoscenze e esperienze di un normale cittadino.

    In questo caso la intrinseca “fumosità” del quesito posto offre lo spunto alla esacerbante “monotonia” dei sermoni resi pubblici per validare le ragioni del Si o del No.

    BASTA infatti cambiare l’angolo d’osservazione e ogni contendente può trovare spazio per la sua arringa. Con una gamma di concetti e toni che vanno dal suasivo al salvifico, dal perentorio all’allarmante.

    NE CONSEGUE che un normale cittadino o si astiene oppure “adotta” il parere di soggetti reputati più affidabili (politici, esperti, opinionisti, ...) o della cerchia di parenti/amici.


    Per contro.

    Considerata la straordinaria portata e rilevanza della revisione oggi in ballo è giusto il caso di mettere uno STOP.


    Andare a VOTARE NO significa “rispedire” al Parlamento (mittente), quale  “rappresentante” di tutto il popolo, un siffatto mix “irricevibile” di modifiche.

    ORA più che mai è un suo precipuo compito e dovere etico morale addivenire ad una versione che registri la condivisione “molto ampia” (qualificata) dei vari gruppi di eletti. (Nota: detta riforma è frutto di una maggioranza assoluta di fatto “gonfiata” da un “premio” che la Consulta ha già cassato).


    VOTARE NO significa “riannodare” le fila di un lungo processo di cambiamento la cui reale applicazione/efficacia dipenderà da una folta lista di provvedimenti “attuativi” tutti ancora da concepire e quindi varare.


    In una parola.

    VOTARE NO significa non caricarsi della responsabilità di correre il rischio di inutili quanto spiacevoli sorprese. E astenersi non è la scappatoia.

    Non è Tutta colpa di Carosello se pure in politica piovono slogan e spot …

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