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Di parte, non faziosi

"Di parte, faziosa, contro la mia persona". Così Berlusconi ha bollato la manifestazione del 13 febbraio. E’ sbagliato dirsi di parte e anti-Berlusconi?

"Di parte, faziosa, contro la mia persona". Così Berlusconi ha bollato la manifestazione del 13 febbraio che ha riunito più di un milione di persone. Si tratta, ovviamente, di una valutazione superficiale e propagandistica, adatta al pubblico cui si rivolge la trasmissione in cui è andata in onda (Mattino Cinque). Con un linguaggio più ricercato, ma sostanzialmente simile, Giuliano Ferrara sabato ha accusato "il partito dell'ipocrisia moralistica" di voler "mettere le mani addosso" a Berlusconi "per evidenti ragioni politiche alimentate da spirito facinoroso e da avversione antropologica a un'Italia popolare rigettata e odiata". 

Tali accuse possono essere ignorate, col pretesto della loro inconsistenza, senza prendersi la briga di rispondere. Oppure, si può fare lo sforzo di spiegare che non di faziosità, antiberlusconismo "a prescindere", moralismo si è trattato, ma di una manifestazione, innanzitutto, per la difesa della persona umana e della sua dignità. Il che è verissimo, ma è forse solo una parte della spiegazione. E' sano e utile che chi ha manifestato domenica - e ne faccio orgogliosamente parte - faccia per l'ennesima volta lo sforzo di spiegare, agli altri e a se stesso, che non è di parte, non è antiberlusconiano per partito preso e non cerca un pretesto per ribaltare il voto del 2008? Sforzo, si badi bene, che rischia di essere smentito proprio dagli slogan e dai cartelli sentiti e visti domenica nelle manifestazioni, la maggior parte dei quali ruotava intorno al tema "Berlusconi vattene". E che rischia di essere smentito dall'eco che le manifestazioni hanno avuto sulla stampa, soprattutto estera, che ha quasi esclusivamente parlato di manifestazioni anti-Berlusconi. 

E se invece ammettessimo che, sì, in effetti è stata (anche) una manifestazione per una parte, e una manifestazione contro Berlusconi? Anziché incanalare le nostre energie a cercare di negare il fatto che siamo di parte e che l'avversione che proviamo per Berlusconi è reale, e in parte viscerale, potremmo invece usarle per cercare di esplicitarne i motivi. Ne trarremmo il doppio vantaggio di sentirci meno in colpa e di togliere argomenti a chi, come Ferrara, ci accusa di essere ipocriti.

Innanzitutto, ci renderemmo conto che giustapporre "di parte" e "fazioso", suggerendo che sono sinonimi, è l'ennesimo esempio di quella manipolazione delle parole, tipica del berlusconismo, che altri hanno messo in evidenza prima e meglio di me. Attenzione, non sto accusando Berlusconi di operare una manipolazione linguistica cosciente. Secondo me lui è veramente convinto che "di parte" e "fazioso" siano la stessa cosa. Tutta la sua carriera politica è fondata su una contrapposizione ossessiva, al limite del puerile, tra la sua visione del mondo (la sua parte) e quella altrui. La parola "parte", anche etimologicamente, suggerisce che, in quanto uomini, siamo fatalmente portati a dividerci, una "verità" che di solito comprendiamo e, nei casi migliori, accettiamo abbastanza presto uscendo dall'infanzia. Ma una verità che quell'eterno bambino che ci ritroviamo come premier non contempla: per lui non esiste altra parte che la sua, il che vuol dire, alla fine, che non esistono "parti", ma un unico grande blocco. Dentro a questo blocco o ci sei o non sei.

La manifestazione delle donne di domenica a Parma è stata dedicata a mia nonna, morta il mese scorso. Ex partigiana, del PCI e presidentessa dell'Anpi cittadino, mia nonna era una donna fortemente, fieramente di parte. Eppure, nelle ultime celebrazioni del 25 aprile a cui ha potuto partecipare, si compiaceva ad aprire il corteo tenendo sotto braccio, da una parte il sindaco (di centrodestra), e dall'altra il presidente della provincia (di centrosinistra). Solo chi riconosce che le parti esistono può permettersi il lusso di avvicinarle una all'altra. 

E ancora: se le manifestazioni di domenica erano di parte, di quale parte stiamo parlando? Berlusconi e i suoi aedi ne sono certi: è stata una manifestazione "di sinistra". Può anche darsi, ma intanto nelle manifestazioni c'erano suore e avvocatesse ex di Alleanza Nazionale, e poi le organizzatrici sono state brave nel riuscire a far sfilare un milione di persone senza che venisse esposto nessun simbolo di partito. Essere di parte e riconoscerlo significa anche riconoscere quello che ci divide dagli altri e quello che ci unisce. Rifiutando di ammettere che si può essere di parte senza essere faziosi, invece, Berlusconi è riuscito nell'intento di far diventare "di parte" proprio quell'inventario minimo di valori che, in una democrazia normale, non dovrebbero esserlo. Se difendere quei valori è di parte, dovremmo sentirci fieri di esserlo.

Veniamo ora alla seconda accusa, quella di essere "contro la persona" di Berlusconi per partito preso. Se fosse una persona sana di mente - e i suoi comportamenti recenti permettono di dubitarne - il premier potrebbe chiedersi perché tante persone ce l'abbiano proprio con la sua persona. La risposta che gli darei io è che non ce l'ho con la sua persona, ma con il sistema di potere e di valori che ha contribuito a creare e a sviluppare negli ultimi diciassette anni. Che il "popolo" fatichi a distinguere tra il potere e chi lo incarna è, in qualche modo, normale. Gli egiziani, almeno la maggior parte di loro, non ce l'avevano con il sistema Mubarak, ma proprio con Mubarak, e perfino in Francia, dove vivo, le manifestazioni sono quasi sempre manifestazioni (anche) anti-Sarkozy. Questa identificazione tra un sistema di potere e il personaggio che lo incarna è anche, in parte, assecondata dai media: non mi risulta che nessun giornale o nessuna tv si siano indignati del fatto che gli egiziani se la siano presa con "la persona" di Mubarak. Tuttavia, nelle democrazie sane gli stessi governanti dovrebbero premunirsi contro un'identificazione troppo diretta tra il potere e la loro persona. Nel caso di Berlusconi, invece, si realizza una convergenza di interessi tra lui e quelli che vorrebbero cacciarlo: in fondo, è proprio Berlusconi che, da diciassette anni a questa parte, ci ha autorizzato, e anzi incoraggiato, ad identificare il governo dell'Italia con la sua persona. Che lui ora si lamenti se lo facciamo non sorprende. Che noi dobbiamo addirittura scusarci e difenderci dall'accusa di farlo, mi sembra sinceramente un eccesso di buonismo. 

C'è poi l'aspetto "pratico" del prendersela con Berlusconi. In molti dicono che, uscito di scena lui, il berlusconismo continuerà, il che è sicuramente vero. E' anche vero, però, che la sua uscita di scena rischia di provocare un'implosione della destra italiana come l'abbiamo conosciuta negli ultimi due decenni, che in parte è già cominciata. Quando l'identificazione tra una persona e un sistema di potere è eccessivamente forte, la sua uscita di scena è comunque salutare, se non altro per la carica simbolica e emotiva che comporta. Che quelli che stanno dalla sua parte abbiano paura è normale; sarebbe rassicurante che quelli dell'altra parte non avessero paura di dire che Berlusconi forse non è tutti i problemi, ma è sicuramente un problema, e probabilmente il più urgente da risolvere. 

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