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Devid Berghi: salgono a tre gli indagati per omicidio colposo

Morì il 5 gennaio 2011, aveva vissuto 23 giorni. Si chiamava Devid.
Per circa dieci mesi Claudia Gambato e Sergio Berghi, genitori di Devid e del gemello Kevin sopravvissuto, sono stati gli unici indagati per omicidio colposo. Al bambino è stata diagnosticata una polmonite in stato avanzato, quel 5 gennaio la famiglia Berghi si trovava nei paraggi della Sala Borsa a Bologna. La famiglia verteva in condizioni di grave difficoltà economica, e i cinque membri della famiglia (i genitori, i gemelli e la sorella maggiore di un anno e mezzo) aspettavano l'epifania alternavano passeggiate al freddo con momenti al caldo, alla Sala Borso per lo più.
Devid comunque è morto.
 
Sabato 15 ottobre 2011 si diffondono le prime indiscrezioni sullo stato delle indagini: il pm Alessandra Serra ha stabilito che assieme ai genitori ora è indagata anche l’assistente sociale “che seguiva il caso dei Berghi”, così pubblica proprio sabato Il Resto del Carlino (pezzo di Gilberto Dondi), per “non aver impedito un evento (la morte del neonato) che giuridicamente aveva l’obbligo di impedire”, dunque un’iscrizione per omicidio colposo, articolo 40 del codice penale, per aver sottovalutato le condizioni del neonato (esattamente ciò che viene contestato ai genitori).
 
Naturalmente l’assistente sociale non ci sta e Il Resto del Carlino cambia angolo di visuale. Domenica 16 ottobre – ieri – un’intera pagina pro assistenza sociale (la quattro, articolo di Luca Orsi) e quella successiva dedicata a un’intervista (di Gilberto Dondi) proprio a Sergio Berghi.
 
Antonella Tosarelli, l’assistente sociale indagata, ha dichiarato (sempre a Il Resto del Carlino di ieri): “Non ho alcuna responsabilità, non ero io che mi occupavo del caso Berghi”. E il legale della signora aggiunge dettagli: “La bimba più grande non era stata tolta alla mamma e la famiglia era stata in carico, in precedenza, al San Donato e non al Santo Stefano. La Toselli poi era la responsabile di area, rientrata dalle ferie il 3 gennaio. Non era lei a seguire il caso, affidato a un’assistente sociale” (la signora Tosarelli era responsabile del quartiere Santo Stefano il gennaio scorso, da poco è stata trasferita al quartiere Reno per un avvicendamento di routine, ha dichiarato il Comune).
 
Dunque il pm Serra indaga l’assistente sociale sbagliato. O non c’era un assistente sociale ufficialmente assegnato al ‘caso Berghi’. O la burocrazia la vince sempre ingarbugliando perfino le cose semplici. O Devid non è morto. Ah no, quest’ultima ipotesi non ha chance di verità. Peccato.
 
Al fianco della signora Tosarelli si schiera Amelia Frascaroli, assessore ai servizi sociali del Comune di Bologna (partito 'Con Amelia per Bologna, con Vendola'). “Non c’è responsabilità personale. La responsabilità è di un sistema molto fragile, che si è rotto e che va ripensato in toto”, si legge su Il Resto del Carlino di ieri. “È l’amministrazione comunale ad assumersi la responsabilità di ciò che è successo. Perché non può essere l’ultimo operatore a restare con il cerino in mano”.
L’ultimo? Ma Tosarelli non era responsabile di area? (Certo di Santo Stefano, ma responsabile sì).
Comunque l’assessore Frascaroli annuncia riforme al welfare e la signora Tosarelli avrà tutto l’aiuto possibile dal Comune. “La aiuteremo in tutto e per tutto ad affrontare il percorso che l’aspetta. Cercheremo anche un modo concreto di starle vicino, di proteggerla e aiutarla”.
 
Peccato non si trovò, dieci mesi fa, il modo concreto per stare vicino alla famiglia Berghi. Stando alle dichiarazioni di entrambe le parti, l’unica soluzione praticabile era ‘togliere i figli’ ai genitori. Altro, non c’era (e non c’è oggi).
 
Evidentemente le dichiarazioni di Sergio Berghi vertono proprio su quelle responsabilità che sin da subito sono state imputate a lui e alla sua compagna. “Era proprio quello che i servizi volevano fare, loro sono molto veloci a togliere i bambini. Non ci hanno dato alcun aiuto, prima della tragedia. La verità è che se ne sono fregati. E subito dopo Devid è morto, quando l’avevamo appena messo nella bara, ci hanno tolto gli altri due, il gemellino Kevin e l’altra figlia di un anno e mezzo, che non è figlia mia ma per me è come se lo fosse”.
 
Certo, per un padre sono accuse pesanti. Come lo sono le verità che probabilmente non emergeranno nemmeno in fase processuale.
 
Nel frattempo Claudia Gambato è in comunità con Kevin e la sorella maggiore. “Stanno bene”, ha dichiarato sempre Berghi che va a trovarli due volte a settimana , tre ore in tutto da trascorrere assieme. Lui invece, vive in zona Tribunale, non sempre riesce a pagare l’affitto (la casa dell’Acer, promessa dal commissario Cancellieri, non l’hanno mai ricevuta, sempre stando alle dichiarazioni di Berghi), lavora in un supermercato, 460 euro al mese con una borsa lavoro.
 
La Bologna che nell’immediato post epifania, quella Bologna che s’indignò, si fecero iniziative per sostenere i disagiati costretti al freddo delle strade ciottolate: oggi guarda a Devid come a una delle tante morti legate al Welfare. In un periodo nerissimo per la sanità bolognese tra i decessi sospetti e in fase di accertamento sia all’ospedale di Bentivoglio che al Sant’Orsola. La gente muore. Tra le corsie disinfettate e calde. Lungo le strade gelide. A volte le responsabilità sono più semplici da individuare (anche se poi, finisce sempre nel caos delle accuse, i retroscena, le complicazioni pratico-burocratico e le abili parole dei legali). A volte, invece no. 
 
La morte di Devid sembra semplice. Forse non lo è.
Non lo è per una famiglia in difficoltà, abituata ad arrangiarsi e terrorizzata di finire divisa, in balia di un’assistenza sociale latitante e avara di risposte.
Non lo è per un sistema sociale bucato, incapace di far fronte al dolore della gente, dove per proteggersi proprio da quel dolore, gli operatori sono spesso costretti a voltare la faccia e sperare per il meglio. Case per tutti non ce ne sono. Luoghi dove ospitare temporaneamente e magari garantire pasti e acqua calda, nemmeno.
 
Ci sono voluti dieci mesi perché le ‘formazioni si schierassero’, la giustizia proseguirà il suo corso abituale, i Berghi immaginano una “famiglia normale” nella migliore delle tradizioni italiane.
 
Ventitre giorni, l’ultimo dei quali di certo passato al freddo e col corpo dolorante, sono tutto ciò che ha avuto Devid.
La ragione è una gran bella cosa.
 
 
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Link
 
Su AgoraVox: 'Le stonature tra i fatte e le storie di Devid', pezzo del 18 gennaio 2011.
Su Il Resto del Carlino, pezzo di G.Dondi del 15 ottobre 2011.
Su Il Resto del Carlino di domenica 16 ottobre 2011 e quello di G.Dondi con l'intervista al padre.
Su Il Corriere della Sera del 15 ottobre 2011.
Su La Repubblica (Bologna) del 15 ottobre 2011.

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