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Dell’essere Charlie, un anno dopo

È vero: ora ci vanno più cauti. Maometto, per esempio, non lo vogliono più disegnare. E non ha nemmeno tutti i torti chi sostiene che il dio con il kalashnikov, raffigurato sulla copertina dell’ultimo numero del Charlie Hebdo, ha connotati un po’ troppo “giudaico-cristiani”. Resta il fatto che andar cauti non serve poi granché, quando sei ormai finito nella lista nera di chi pensa che ti meriti comunque dei pugni.

Se anche l’ultima copertina ha fatto arrabbiare leader di fedi diverse non è soltanto perché i religiosi sono più permalosi e facili all’offesa. Il problema è che, per prima cosa, racconta in modo semplice e incisivo una verità.

Le ultime parole che Charb, Cabu, Wolinski, Tignous e gli altri hanno sentito gridare sono state “Allah è grande”. Sono morti perché qualcuno, per il dio in cui crede, è disposto a uccidere. A compiere stragi in suo nome.

È dunque la verità a far male, a troppi credenti. E dire che la verità è su tutti i giornali, non solo sul Charlie Hebdo. Basta sfogliare le pagine dedicate all’attualità internazionale. Ma è una verità che contrasta con l’ecumenismo edulcorato alla moda, per il quale la religione è buona per definizione e, pertanto, tutto ciò che non è buono non deve esserle addebitato. Secondo cui “usare Dio per giustificare l’odio è un’autentica bestemmia”, per citare papa Francesco. Che vuol forse farci credere di non aver letto Bibbia e Corano, con le loro pagine zeppe di atrocità commesse su istruzioni dell’altissimo.

È una verità talmente palmare che per negarla si scrive che è solo satira rozza che non fa ridere, anzi, che non è nemmeno satira. Non sanno, evidentemente, che la satira, per essere satira, deve attaccare il potere. E quale potere è ritenuto più grande di quello dell’onnipotente? E dire che Luciano ha scritto il Dialogo degli dei ormai quasi diciotto secoli fa… ma non c’erano molti monoteisti in giro, a quel tempo.

Non sanno cos’è la satira, e probabilmente non sanno nemmeno cos’è il Charlie Hebdo. Forse non l’hanno mai sfogliato, forse non hanno mai sfogliato giornali satirici che, a differenza che da noi , in Francia invece abbondano. Chissà, forse non conoscono nemmeno bene la cultura francese. Potrebbero capirlo dando un’occhiata alla recente copertina di Marianne, in cui le immagini di diversi mordaci umoristi circondano un titolo inequivocabile: “Risposta a quelli che vogliono uccidere la nostra libertà. Ridere, deridere, provocare: questa è la Francia!”

“Le idee degli atei e dei laici possono spostare le montagne più della fede dei credenti”, ha scritto Riss. Usare pubblicamente espressioni del genere spiega perché i disegnatori del Charlie Hebdo siano tanto impopolari, al di fuori dell’Esagono. E quanto sia invece popolare un’immagine che non li rappresenta. Ma è soprattutto grazie a loro che la libertà di espressione è tornata al centro dell’attenzione.

Bene prezioso o avversario temuto, è la libertà di espressione che discrimina tra democrazia e autoritarismo, tra libertà e sottomissione, tra autodeterminazione e fede imposta. È ciò che che ci fa essere noi stessi anche quando scegliamo di non dire nulla. È ciò che ci fa essere Charlie anche un anno dopo, al di là delle commemorazioni retoriche e di ogni lip service. È ciò che ci fa essere Charlie ogni giorno. Perché noi non possiamo essere blasfemi nemmeno volendo: come ci ricordano le parole di Charb, “Dio è sacro solamente per colui che ci crede”.

Raffaele Carcano

Questo articolo è stato pubblicato qui

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