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Debito pubblico | Orwell in banca: il rischio è prudenza

Nella Nuova Era Pandemica accade anche che l’Unione europea accorra a puntellare quei circoli viziosi (per qualcuno, intrecci perversi) che ha sin qui cercato di attenuare. Tutto, pur di evitare che i paesi entrati nella crisi già in condizione di elevata fragilità finanziaria possano collassare e scaricare onde sismiche sul continente. Il problema è che ogni azione corrente, la cui intenzione è quella di rendere il sistema più resiliente, produrrà l’effetto opposto, aumentandone la fragilità.

Secondo Bloomberg, i Ventisette si sarebbero accordati per introdurre norme che consentano alle banche di non subire impatti negativi sui requisiti di capitale in conseguenza di riduzioni dei prezzi dei titoli di stato che hanno in portafoglio. Tali impatti negativi finiscono per costringere la capacità delle banche di concedere credito, e si traducono in un circolo vizioso: aumento del rischio paese genera erosione del capitale delle banche che hanno in proprietà il debito di quel paese, e le costringe ad aumentare il capitale nel momento peggiore (quello di massimo costo) oppure a stringere i requisiti per concedere credito.

Il paese maggiormente beneficiato da questa norma è l’Italia, che da sempre si oppone a qualsiasi ipotesi di riduzione della quantità di titoli di stato in pancia alle proprie banche, che operano come acquirente marginale nei tempi grami. Come saprete, il progetto di unione bancaria europea è stato sin qui bloccato dal veto tedesco (e non solo), visto che l’Italia ha a sua volta messo il veto su ogni ipotesi di porre oneri di capitale sul possesso di titoli di stato domestici oltre un dato limite.

So quello che state pensando: ma ancora con queste menate dei tempi che furono? Ora siamo in un’altra era, basta austerità e diktat stranieri sulle nostre sovrane banche! Per ora è come dite. Ma non sarà così per sempre. Ora la priorità è “armonizzare” i sostegni della Bce ai governi nazionali. L’istituto di Francoforte compra sul mercato secondario tutti i titoli di stato prodotti dall’extra deficit pandemico, e “rassicura” i mercati, contenendo gli spread. Le banche nazionali fanno la loro parte, comprando quel debito a cuor più leggero, soprattutto in Italia, dove la banca di sistema (al secolo, Intesa Sanpaolo) possiede circa 100 miliardi di titoli di stato nazionali.

Curioso l’utilizzo del linguaggio adottato a Bruxelles per giustificare il “sollievo di capitale” accordato alle banche: si chiama “filtro prudenziale”. Espressione che, prima della pandemia, si sarebbe usata per limitare la concentrazione di titoli di stato domestici in portafoglio alle banche; ora invece serve per evitare (temporaneamente) i danni causati dalla situazione esattamente opposta.

Ma la pandemia ha costretto a rivedere precipitosamente le coordinate di sistema. Allo stesso modo in cui le banche, in giro per il mondo e non solo in Europa, in queste settimane hanno visto un considerevole allentamento dei vincoli introdotti in conseguenza della crisi finanziaria del 2008. E quindi, sì all’aumento di leva finanziaria da parte degli istituti, autorizzati a erodere i cuscinetti di capitale, messo in cascina durante i tempi migliori, per assorbire il forte aumento previsto nelle sofferenze.

E già torna a stagliarsi all’orizzonte l’ipotesi di bad bank pubblica europea, su cui gli italiani sospiravano di cupidigia anni addietro, prima di inventarsi le GACS per trarsi d’impaccio. Le sofferenze esploderanno ovunque, si dice. Vero, ma chi vi dice che i governi europei accetteranno di mutualizzare prestiti erogati ad imprese zombie di altri paesi? Zombie e buoi dei paesi tuoi, alla fine. E pure i bailout, che son tornati a fiorire.

Il punto è: che accadrà, quando queste agevolazioni saranno rimosse? Ma soprattutto: il mercato accetterà che vengano rimosse, o piuttosto si precipiterà a rilasciare la molla troppo a lungo compressa, mettendo in guai seri banche e sovrani troppo strettamente legati? Domanda retorica. E in quel momento, che accadrà? Si confermeranno le misure “transitorie” per evitare guai, un po’ come accade da due lustri con le misure di easing quantitativo delle banche centrali? Ah, saperlo.

Bene, ma se le cose stanno in questi termini, non dovremmo rallegrarci per il grande stellone italiano che torna a splendere durante una devastazione? Alla fine, è un po’ la nemesi del modello Alitalia, no? Vettori profittevoli vengono messi in ginocchio dalla pandemia, e tornano a gareggiare ad armi pari con la nostra prestigiosa compagnia di bandiera. Una gara al ribasso e al dissesto.

Di notte tutti i dissesti sono grigi, direbbe qualche sovranista di casa nostra. Forse, a colpi di virus e di qualche guerra, non solo commerciale, arriveremo al momento della condivisione di debito in Europa, no? Ognuno si compiace del level playing field che si merita, d’altronde. Ma fossi in voi non scommetterei su questo percorso, altrimenti arriverete all’elogio del level playing field per antonomasia. Quello che il principe Antonio De Curtis in arte Totò chiamava ‘a livella.

Foto di Deniz Anttila da Pixabay 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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