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Dati Istat: la ripresa italiana vista dal lato della domanda di lavoro

Il 10 agosto, l'Istat ha pubblicato le stime preliminari dei posti di lavoro vacanti nel secondo trimestre di quest’anno nelle imprese di industria e servizi. In pratica, il mercato del lavoro visto non dal lato dell’offerta ma da quello della domanda, cioè delle imprese.

 Una serie storica ancora molto giovane, visto che è stata avviata nel 2010, ma utile per valutare il dinamismo del mercato. Nell’ultimo trimestre i dati sono confortanti.

Lasciando la parola a Istat, il tasso di posti vacanti è il rapporto percentuale fra numero di posti vacanti e somma di posti vacanti e posizioni lavorative occupate. E ancora:

«I posti vacanti misurano le ricerche di personale che alla data di riferimento (l’ultimo giorno del trimestre) sono già iniziate e non ancora concluse. Sono, infatti, quei posti di lavoro retribuiti che siano nuovi o già esistenti, purché liberi o in procinto di diventarlo, per i quali il datore di lavoro cerchi attivamente un candidato adatto al di fuori dell’impresa interessata e sia disposto a fare sforzi supplementari per trovarlo»

La stima dei posti vacanti è un indicatore anticipatore. Nel secondo trimestre, questa stima ha proseguito nel movimento di ripresa, che è visibile dalla metà dello scorso anno. L’indicatore riferito ai servizi cresce dell’1% ed eguaglia il livello del secondo trimestre 2011, prima del crack del nostro Paese. L’industria resta stabile allo 0,7%.

Come commentare questo dato? Intanto, cercando di comprenderlo, nelle sue molteplici dimensioni. Questo indicatore segnala quando le imprese si rivolgono all’esterno per fare fronte ad un fabbisogno di personale. Le motivazioni possono essere quantitative o qualitative. Nel primo caso, l’azienda intende soddisfare la maggior domanda per i propri beni, e ritiene di non poterlo fare con l’organico attuale. Dietro una simile decisione c’è anche la valutazione che tale maggior domanda è destinata a durare. Quindi, le aziende mostrano ottimismo. Data questa premessa, le aziende assumono anche perché sanno che avranno minori costi di risoluzione del rapporto di lavoro, dopo la sostanziale eliminazione dell’articolo 18 e gli indennizzi crescenti previsti per la risoluzione del nuovo tempo indeterminato. Ovviamente, le aziende potrebbero anche assumere con un semplice tempo determinato, ed infatti ciò accade in misura prevalente, come mostrato dalle statistiche.

Ma occorre anche tenere presente l’aspetto qualitativo della ricerca di nuovi dipendenti, che è quello più interessante. In azienda potrebbero servire nuove competenze e professionalità, ad esempio a seguito di ammodernamento dei processi produttivi. In queste settimane si parla molto della spinta agli investimenti fornita dal programma “Industria 4.0”, col cosiddetto iperammortamento che si affianca al superammortamento già essere. Tutto ciò solleva il problema dello skills mismatch, cioè la ricerca di profili professionali di difficile reperibilità, che tendono a presentarsi ad ogni discontinuità tecnologica. Sono temi che toccano il rapporto tra scuola ed impresa e la formazione permanente nel corso della vita lavorativa.

Questo indicatore Istat nulla dice sulla dimensione qualitativa e quantitativa di questo aumento delle posizioni vacanti: peraltro, nell’industria l’indicatore è stabile da tempo su livelli piuttosto esangui. Ma è un fatto che, volendolo considerare sul piano puramente congiunturale, esso conferma la ripresa in atto. Ciò non significa che è in corso un boom occupazionale, sia chiaro: quello lo vedono solo quanti si ostinano a non fare due più due, o a sbagliare la somma. Ma neppure si può fingere che la ripresa non sia in atto, sarebbe manifestazione di ottusità propagandistica di segno uguale e contrario a quella di che pensa che siamo diventati una specie di tigre asiatica trapiantata nel Sud Europa.

Le riprese congiunturali esistono, anche se noi italiani non abbiamo più molta familiarità col fenomeno. Se questa ripresa servirà a toglierci dai guai, ce lo dirà l’unico indicatore che serve alla bisogna: il rapporto debito-Pil.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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