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Da Haiti, lo scaricabarile

Oltre 5 miliardi di dollari di cui 70 milioni spesi per gli interventi sanitari e la prevenzione delle epidemie post-terremoto. Haiti è diventata la Repubblica delle ONG, con oltre 10.000 organizzazioni d’assistenza operanti. Ma scoppia il colera e la colpa è dei nepalesi.

Ad Haiti, come ovunque nel mondo, (leggere il libro di Linda Polman, "L’industria della solidarietà. Aiuti umanitari nelle zone di guerra", fra gli altri), il gran carrozzone della cooperazione internazionale s’è mobilitato in massa, raccogliendo immensi fondi che l’hanno salvato dal calo delle donazioni dovute alla crisi globale. Purtroppo, ancora uina volta, ha però speso male quanto gli è stato donato. Le cronache di questi giorni e le testimonianze da Haiti rappresentano una situazione in cui tutto appare fuori controllo. Gli stessi governanti locali, di fatto esautorati dalla burocrazia della cooperazione dopo decenni di finanziamenti sprecati, non riescono a controllare niente e, per di più, sono concentrati nelle prossime elezioni del 28 novembre.

Già i racconti dei primi giorni dell’intervento facevano rabbrividire: viveri bloccati all’aeroporto, risse per ottenerli, concentrazione d’interventi nella capitale, abbandono delle aree rurali, tende finte e tutto il resto nella più completa confusione. Casi limite molti, ma ecco comparire la Regione Sicilia che spende 12, 5 milioni di euro per comprare succo d’arancia per i terremotati di Haiti poi dirottati al Banco Alimentare prima che marcisse.

Oggi, mi scrivono da Haiti, poco è cambiato. Gli unici che si sono strutturati (con i soliti jeepponi, case e ville, salari da favola) sono la massa dei cooperanti (ONG e UN) e qualche scroccone locale. Chi mi scrive e cerca di lavorare nell’isola parla di un 10% di attività sensate e concrete, gestite da persone seriamente impegnate. Si parla di ospedali e scuole costruite ma vuote per essere rivendute ai donatori, campi profughi nel caos, compravendita di bambini, mafie locali. La gente locale è esasperata, utilizzata per raccogliere fondi superiori alle necessità, li vede sprecati. Poi, addirittura, scoppia un epidemia di colera (oltre 1000 morti, 15.000 contagi), malattia comparsa sull’isola solo con un caso nel 1960. La rabbia si catalizza sulle Nazioni Unite e sui caschi blu, addirittura obbligati e a sparare sulla folla per difendersi. Cose da pazzi, intanto i disordini stanno continuando a Cap Haitien, di fatto isolata dal resto del paese. Ma già nei mesi precedenti, mi raccontano, la tensione era alta nella capitale e nei campi profughi, l’insicurezza dilagava. Proprio dai campi profughi, gestiti e creati dalle organizzazioni internazionali e dal grande slum di Citè Soleil sembra partita l’epidemia. Presto estesa a nord, a Cap Haitien, Port de Paix, Gonaives, Gros Morne; un caso è stato rilevato nella vicina Repubblica Domenicana.

La stampa internazionale parla da mesi dell’improvvisazione che regna nell’isola e della scarsa efficienza degli aiuti, lo raccontano i cooperanti più seri ma il segnale che l’incapacità è al culmine arriva quando qualcuno dei Grandi Scrocconi delle NU inizia a criticare l’intervento. Ed ecco Edmond Mulet, il capo del the United Nations Mission in Haiti, che dichiara “We created this Republic of NGOs, almost 10,000 NGOs, some of them are extremely responsible and doing good work, but many, many other ones are there, and nobody knows what they do, and nobody knows where the money comes from or is going to.” “And we have created these parallel structures, in education, in health services, in all sorts of responsibilities that the Haitians should be assuming themselves”. Come sempre in queste circostanze è iniziato lo scaricabarile e le NU accusano le ONG di confusione, di dispersione delle risorse, di mancanza di professionalità; le ONG accusano le NU di aver saltato le autorità locali, di sprecare soldi in funzionari, di accentrare le operazioni rendendo tutto meno efficace. Per il colera sono finiti in fondo alla catena dello scaricabarile i 1000 militari nepalesi impegnati nel MINUSTAH.

Centinaia di studi, racconti, rapporti ripetono sempre le stesse parole: Il flusso di denaro mal gestito porta a: duplicazione d’interventi, mancanza di soccorsi nelle aree remote, concentrazione dei fondi e delle attività nella capitale, aumento della corruzione, mafia della cooperazione e degli appalti, deperimento dell’agricoltura e delle esportazioni. According to a study by the Center for Economic and Policy Research, Haitian farmers provided 47 percent of the country’s rice in 1988. By the 2008, the figure had dropped to 15 percent. In un rapporto recente su NPR’s Planet Money, reporters described how bags of American rice are still being sold in Haitian markets . The massive influx of free foreign food undercut local agriculture, reducing prices and hurting farmers’ incomes, scrive Oxfam International in un rapporto di ottobre, aggiungendo there was still too little emphasis on developing the island’s agriculturally based economy.

Nella Repubblica delle ONG (oltre 10.000 organizzazioni presenti più tutta la banda delle NU) sono girati oltre USD 5 miliardi con la previsione di un raddoppio nei prossimi anni. Secondo le stime internazionali (e le richieste delle stesso governo haitiano per nulla considerato in tutta l’operazione) ne sarebbero bastati la metà. Un altro Rappresentante del Segretario Generale dei Diritti Umani (di chi?), Walter Kaelin, racconta dell’emergenza stupri nei campi profughi, del ratto dei bambini venduti, dell’insicurezza diffusa, con 15.000 soldati dell MINUSTAH (caschi blu delle NU) impegnati sul campo per controllare circa 1,3 milioni di persone ancora nei campi.

I donatori si riuniscono negli alberghi della capitale, spettacolo triste ovunque, e rappresentano oltre 50 paesi, un parlamento. Autoincensamento, promesse, progetti grandiosi (di solito irrealizzabili o inutili) e qualche pazzo che parla di Haiti’s “second independence o “Haitian Renaissance. Intanto fuori dagli hotel dei donatori, nei campi profughi e nelle campagne dimenticate, ti scoppia una bella epidemia di colera dopo che gli stessi hanno speso oltre USD 70 milioni solo per sanità e acqua. Ma la colpa è dei nepalesi. Per fortuna hanno fatto i controlli e in una dichiarazione della MINUSTAH clearly denied the source of Cholera to the Nepalese military camp) that the tests were analyzed by an independent laboratory and that it follows previous tests conducted on Friday, 22 October, and Tuesday, 26 October, which also proved negative. Almeno loro, forse, si salvano dal disastro.

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