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(D)Istruzione pubblica

L’Orientale di Napoli è l’unica università partenopea occupata, e forse è una di quelle che con la legge 133, la cosiddetta “Gelmini” rischia maggiormente.

Rischia perché è una delle università di cui tutti i politici di centrodestra parlano, ovvero quella dove alcuni corsi sono seguiti da poche persone. Ma Dario si domanda se questo sia giusto. Se sia giusto che un’università come questa, rinomata in tutto il mondo, e conosciuta in tutta Italia per l’enorme lavoro che fa sulle culture (e quindi le lingue) meno conosciute e/o praticate (si studia lo swahili, l’indi, il cinese, il coreano, il somalo, e tantissime altre lingue) debba essere ridimensionata solo perché questo tipo di insegnamento male si sposa con una visione aziendalistica dell’università.

Dario fa parte del collettivo studentesco che ha occupato l’Orientale, ma è, soprattutto, uno delle centinaia di ragazzi che già da qualche mese si dà da fare per contrastare la legge 133, con opere di volantinaggio, incontri ecc.

Lo incontriamo a Palazzo Giussi, sede centrale dell’Orientale, proprio oggi, il giorno dopo la grande smentita berlusconiana. Ma di politica si parla poco (di politica partitica s’intende), Dario ci tiene solo a sottolineare, come già altri in Italia, che questa storia ha poco a che fare con destra o sinistra e che loro non hanno nessuna intenzione di farsi tirare per la giacchetta, essere strumentalizzati.

Quello che chiedono è il blocco della riforma e non la modifica. E non si transige.

Questo discorso che “il sapere deve fruttare” e la conseguente apertura ai privati a lui non lo convince proprio, ma è proprio questa una delle grandi delusioni che lui e i ragazzi del Collettivo hanno avuto.

Alcuni rettori e alcuni professori, quando a settembre si parlava della riforma, gli avevano dato il pieno appoggio, ma quando si è arrivati a dover prendere una decisione sono venuti meno. <<Abbiamo chiesto ai professori di prendere una decisione e passare da una solidarietà a parole a una pratica, abbiamo dovuto prendere atto che non erano con noi. Erano contro il blocco della didattica, sebbene questa servisse, secondo noi, per dare maggiore possibilità ai ragazzi di informarsi partecipando, senza l’incombenza dei corsi; sembra – continua Dario – che il loro problema fosse solo quello economico, ovvero dei tagli e che il resto non gli appartenesse >>. Anche Cataldi, prorettore dell’Università, dopo un appoggio iniziale, si è tirato indietro dicendosi contro questo tipo di protesta, e lì è cominciata, in pratica, l’occupazione.

Fortunatamente non tutti i professori si sono tirati indietro e grazie anche a loro oggi si è potuto cominciare con le lezioni all’aperto.

A Piazza San Domenico, una delle piazze storiche degli studenti, nel centro di Napoli, il professor Mantici (Storia e Istituzioni della Cina) ha voluto dare il la, e lo ha fatto con una lezione trasversale che, partendo dal concetto di cultura, si è allargata al rapporto tra Università e la società, che in questo momento sta vivendo una crisi che, oltre che economica, è culturale, fino ad arrivare a parlare di libertà critica e influenza dei media. Le lezioni all’aperto infatti <<sono un dibattito tra docente e ragazzi, nati da un argomento deciso assieme>>.

I ragazzi ci tengono a sottolineare come l’occupazione non voglia dire chiusura, ma al contrario, sia uno stimolo per tutti, per incontrarsi e discutere, un’occupazione aperta a tutti e che ha accolto anche i “fratelli minori” delle superiori.

Quando chiediamo a Dario se veramente l’occupazione non leda i diritti di chi vuole seguire, il tanto invocato diritto allo studio, lui ci guarda e sorridendo cerca di spiegare come il reale blocco del diritto allo studio non sia l’occupazione, ma questa legge << che taglia i fondi, aumenta le tasse, chiude gli atenei indebitati>> (e l’Orientale è l’Ateneo più indebitato d’Italia)...

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