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Cuba-Usa-Vaticano. Attento, Raúl!

Tutti i commentatori considerano un successo importante la visita in Vaticano del presidente Raúl Castro. A Cuba, poi, si segnala che il colloquio è durato ben tre minuti in più di quello concesso a Barack Obama (55 minuti contro 52…). Inutile dire che questo aspetto è del tutto secondario.

La valutazione prevalente insiste sulla certezza che il papa continuerà nella sua “opera di mediazione”, e che questa vada senz’altro a favore di Cuba. A Bergoglio si attribuisce d’altra parte il merito prevalente dell’annuncio fatto a dicembre sulla ripresa delle relazioni diplomatiche tra i due paesi interrotte unilateralmente dagli Stati Uniti più di cinquanta anni prima col pretesto che la rivoluzione cubana sarebbe stata organizzata dall’URSS, pretesto più che falso: non c’erano neppure relazioni diplomatiche con l’URSS nel primo anno e mezzo dopo la vittoria della rivoluzione, e il piccolo partito filosovietico PSP aveva anzi inizialmente criticato i Castro come avventuristi, che mettevano in forse le sue buone relazioni con Batista (a cui il PSP aveva fornito durante la guerra perfino due ministri).

L’annuncio fatto da Obama è stato invece soprattutto il riflesso di un fatto concretissimo: l’embargo non è riuscito a piegare Cuba, e anzi ha permesso al regime di consolidarsi e di giustificare anche parecchi dei suoi errori con lo stato d’assedio permanente. Inoltre molti settori economici statunitensi vogliono effettivamente riprendere quelle relazioni con Cuba, che si erano consolidate da almeno un secolo prima della fine del colonialismo spagnolo: come il governo cubano ha spesso ricordato, il bloqueo ha penalizzato Cuba, ma ha avuto un costo anche per diversi imprenditori statunitensi. E la motivazione ideologica (prima il rapporto con l’URSS, poi dopo il suo crollo un presunto e inverosimile appoggio a organizzazioni terroristiche) non reggeva più.

Il Vaticano, dopo le due visite papali di Giovanni Paolo II nel 1998 e di Benedetto XVI nel 2012, aveva dato l’impressione di schierarsi contro l’embargo con belle dichiarazioni a buon mercato. In realtà, se avesse voluto intervenire concretamente, sarebbe bastato noleggiare alcune navi sotto la sua bandiera e caricarle di aiuti: formalmente è uno Stato sovrano, e un tentativo di intercettare con la forza una spedizione inequivocabilmente umanitaria sarebbe stato pagato a caro prezzo politico dagli Stati Uniti. Invece, dopo le due visite, il Vaticano aveva inviato solo modesti aiuti mirati da far gestire alla gerarchia cattolica locale, che indubbiamente in questo modo si è relativamente rafforzata, pur essendo lontanissima dal rappresentare la maggioranza dei cubani, come sostengono molti giornalisti superficiali o ignoranti. Tra le sue rivendicazioni infatti c’è oltre al ripristino delle scuole confessionali, anche l’aumento del clero, ma in realtà le vocazioni continuano a scarseggiare, esattamente come avveniva prima della rivoluzione. Comunque questo papa è bravissimo nel suscitare speranze, ma astuto nel fermarsi prima di ogni concretizzazione delle attese. Lo è in politica, ma anche sul piano del rinnovamento interno su vari piani, lasciato intravedere in dichiarazioni ambigue e informali, e poi regolarmente bloccato. Si veda ad esempio quanto scrive il noto vaticanista Sandro Magister: http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351045

L’avallo dato da Raúl Castro alla politica di papa Francesco (a parte la scarsa serietà delle battute sulle messe che avrebbe seguito, e sul suo possibile ritorno al cattolicesimo, ovviamente non riportate nell’isola) può essere molto pericoloso. La politica di lunga durata del Vaticano e a maggior ragione degli Stati Uniti non può essere cambiata sostanzialmente quando cambia un papa o un presidente. C’è un poderoso apparato relativamente poco visibile che garantisce la continuità. Il papa o il presidente servono da comunicatori, lo avevamo sottolineato sia al momento della loro elezione, che vide in Italia e nel mondo veri e propri deliri della ex sinistra anche “radicale”, sia in diverse occasioni che hanno fatto emergere con chiarezza quanto fosse infondato il credito assegnato ad Obama col Premio Nobel per la pace. Il papa analogamente ha curato efficacemente la sua immagine e quella dell’istituzione che rappresenta, evitando però sempre di prendere posizioni nette ed inequivocabili, ad esempio sulla crisi mediorientale, e anche su questioni relativamente più circoscritte come il genocidio degli armeni. Non è solo per la sua formazione gesuitica, è per l’assimilazione piena del linguaggio politico-diplomatico, che è la negazione assoluta di quello che era alle origini il messaggio cristiano. Così durante la “Grande Guerra” Benedetto XV, senza essere gesuita, si acquistò fama imperitura per la denuncia della guerra come “inutile strage”, senza tuttavia minimamente fare quello che era effettivamente in suo potere: sconfessare e dichiarare fuori della Chiesa prima di tutto i cappellani militari assoldati in ogni esercito per benedire armi ed esortare i soldati alla rassegnazione, oltre che cantare Te Deum per ogni strage di “nemici”, magari appartenenti allo stesso credo… Lo stesso avrebbe dovuto e potuto fare nei confronti di tutti i politici sedicenti cattolici fautori della “giusta guerra”.

Il problema è che dopo questo incontro e queste dichiarazioni (anche se solo in parte riportate a Cuba, ma ai tempi dei social media nessuna censura regge più di qualche ora) la gerarchia cattolica potrà assumere un ruolo ben maggiore di quello che si era ritagliato dopo le prime due visite papali. E sarà un ruolo esplicitamente collegato alla “nuova” politica degli Stati Uniti, che punta a riportare, senza conflitti acuti, l’isola alla “normalità” e sotto il controllo permanente degli Stati Uniti, che potranno far leva finalmente su un interlocutore locale per cancellare la “diversità cubana” e imporre la loro concezione della “democrazia”.

Per Obama, un ottimo affare. D’altra parte, in quasi sei mesi, il ristabilimento delle relazioni diplomatiche e ancora in alto mare, mentre senza contropartite è cominciata una discreta penetrazione nell’isola di numerosi cubani-statunitensi, che ormai possono beneficiare di voli diretti da Miami e New York e anche di un traghetto da Miami. Vedremo, ma non c’è da stare molto tranquilli. E come protettore Francesco non è più efficace di Putin, presso il quale Castro era andato subito prima in un altro tipo di pellegrinaggio, trovandosi in non nutrita e non sempre eletta compagnia…

(a.m.11/5/15)

Foto: Wikimedia

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