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Cronaca del XXII° anniversario dell’assassinio del giudice Antonino Saetta e del figlio Stefano

Conclusione della Settimana della legalità a Canicattì in ricordo dei due giudici canicattinesi Rosario Livatino e Antonino Saetta con il figlio Stefano assassinati dalla mafia.

 

Il 25 settembre, al Teatro Sociale di Canicattì, si è conclusa la “Settimana della legalità” dedicata al duplice anniversario degli assassinii dei giudici Rosario Livatino e Antonino Saetta con suo figlio Stefano. Era partita alcuni giorni fa con la commemorazione del XX° anniversario del primo e si è conclusa sabato con quella del XXII° anniversario del secondo.

Nella prima mattina c’è stata la visita delle autorità al Cimitero di Canicattì per l’omaggio floreale sulla tomba del giudice e di suo figlio. Il convegno, sempre sul tema “Etica, Carità e Giustizia nell’azione giudiziaria”, è iniziato alle ore 11,00 ed è finito all’incirca alle 12,30. Ha aperto la commemorazione come di consueto il Sindaco di Canicattì Vincenzo Corbo con un discorso sulla rettitudine del giudice Saetta, esempio per i posteri. Poi il Presidente dell’Associazione Tecnopolis Riccardo La Vecchia ha ringraziato i relatori e il Comune di Canicattì e ha detto che l’Associazione che presiede si adopera in tutti i modi per tenere sempre vivo il ricordo dei due giudici, riferimento per le nuove generazioni.

Il Dott. Ignazio De Franciscis, Procuratore Aggiunto della Procura di Palermo, che ha lavorato nove anni nella provincia di Agrigento, ha voluto chiarire che il giudice Saetta è stato assassinato per volere di Salvatore Riina per non aver voluto aggiustare il processo in cui erano imputati importanti esponenti della mafia palermitana per l’omicidio del Capitano Basile a Morreale, mentre questi teneva in braccio la figlioletta. Infine ha ricordato la figura signorile del giudice, serio e riservato, che forse non è morto invano, per rendere questa terra di Sicilia libera dai mafiosi.

Il magistrato Antonino di Matteo nel suo intervento ha ammonito che se le istituzioni e la magistratura fanno un passo indietro si rischia la vita dei servitori dello Stato più fedeli. Saetta è morto perché ribaltò - come Presidente della Corte di Appello di Palermo, carica vergognosamente declinata da altri colleghi per amore del quieto vivere - la prima sentenza di assoluzione che si è potuta pronunciare solo grazie ad assurdi cavilli, dei tre imputati per l’omicidio del Capitano Basile, condannandoli all’ergastolo. Con questo assassinio la mafia volle dare un avvertimento agli altri magistrati e nel frattempo eliminò un pericoloso candidato per il prossimo Maxiprocesso. Gli odierni attacchi alla magistratura e i ripetuti tentativi di delegittimarla - quando ad esempio si definiscono mentalmente disturbati e toghe rosse i giudici scomodi - mettono a rischio la sua stessa indipendenza e ne minano la sua sacralità e autorevolezza. Chiunque poi si sentirà legittimato a sottrarsi alla giustizia. Se non c’è riflessione per evitare il ripetersi del passato, queste stesse commemorazioni diventano sterili, conclude Di Matteo.

Il giornalista del Giornale di Sicilia Giuseppe Martorana ha detto che il compito di un giornalista innanzitutto è di narrare i fatti appresi direttamente e non di seconda mano da internet o veline varie come invece si tende oggi, e anche di andare oltre i fatti per capire ciò che c’è dietro. Ha citato P. P. Pasolini il quale diceva di sapere su di un fatto ma di non avere prove né indizi, per cui è necessario un serio lavoro investigativo, di raccolta e coordinazione dei vari fatti per ottenere la verità da narrare. Oggi però ciò va diventando difficile con i tentativi di imbavagliare l’informazione, limitando notevolmente con ciò la libertà di espressione.

L’Avvocato Roberto Saetta, figlio del giudice Antonino e fratello di Stefano, ha fatto un bellissimo e forbito discorso su come deve essere la figura, la personalità e la professionalità del magistrato per svolgere bene e con umanità il suo delicato compito: coraggioso e non amante del quieto vivere, per non scendere mai a compromessi e per non subire condizionamenti di alcun tipo; riservato e con frequentazioni sempre limpide, altrimenti è meglio che smetta di fare il magistrato; e inoltre che deve giudicare sempre con umanità ma senza fare carità, virtù idonea in ambito religioso ma non in quello giuridico. 

Don Luigi Ciotti con la sua consueta verve si è rivolto ai giovani raccomandandogli di andare a visitare la tomba del giudice e del figlio per soffermarsi sulla iscrizione della lapide che recita: “Ad Antonino Saetta… Pagò con la vita l’aver compito con fermezza e coraggio il suo dovere di giudice. Qui insieme essi riposano perennemente vivi nella memoria della gente onesta”. Tutti abbiamo la responsabilità della memoria, dice Don Luigi, da non perdere mai di vista e da trasmettere, e dell’impegno personale, e non soltanto quella di celebrare. In questo senso, questi morti sono davvero cosa nostra! La vera povertà di oggi è l’incapacità e la sfiducia nel cambiamento. Si deve cominciare dalla cultura, dalla conoscenza, dalla scuola dunque; ma per avere conoscenza e per far crescere le coscienze è necessaria una libera informazione, non certo i bavagli. Per realizzare una vera democrazia inoltre è necessaria la giustizia sociale, l’accesso al lavoro per tutti e una magistratura indipendente. Ed è necessario il coraggio, parola che deriva dal latino coraticum, cuore, per il cambiamento, ed etica e corresponsabilità degli uni verso gli altri. A proposito di coraggio Don Ciotti ha ricordato una frase di Gandhi: “Agire senza paura in ciò che si ritiene giusto”. In 45 anni di Gruppo Abele, dice Don Ciotti, i miei riferimenti sono sempre stati il Vangelo e la Costituzione. A queste parole nella sala è scoppiato un grande scroscio di applausi.

Il convegno si è concluso con la consegna dei riconoscimenti “Legalità e Giustizia R. Livatino e A. Saetta”. Il Sindaco di Canicattì Vincenzo Corbo ha consegnato il Premio a Don Luigi Ciotti. Poi è stato consegnato al Generale di Divisione della Guardia di Finanza per l’impegno nel contrasto alla criminalità organizzata. A Rosaria Alaimo della “Cooperativa lavoro e non solo”, cooperativa che gestisce tramite volontari i beni confiscati alla mafia. A Daniele Marrarone dell’“Associazione Addio Pizzo”. Al Dott. Angelo Meli e al giornalista Giuseppe Martorana, quello di “Legalità e Giornalismo”. All’Avvocato Roberto Saetta e al magistrato Antonino di Matteo quello di “Legalità e Giustizia”. Lo stesso Premio l’Assessore Comunale Ferrante Bannera lo ha consegnato a Giuseppe Cartella e a Maria Luisa Corbo per l’opera musicale “Il mio piccolo Giudice” andata in scena al Cine Teatro Odeon di Canicattì il 21 scorso e che ha in programma un vasto giro per l’Italia e anche all’estero. Il Questore di Caltanissetta Dott. Guido Marino ha consegnato infine il Premio “Legalità e Giornalismo” a Lorenzo Baldo per il quotidiano Antimafia Duemila diretto da Giorgio Bongiovanni, con la seguente motivazione: “Per lo strategico ruolo svolto nel panorama dell’informazione nazionale a beneficio della lotta alla mafia e per l’affermazione dei valori di Libertà, Legalità e Giustizia”.

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