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Covid 19: la crisi dei casinò

La crisi dovuta al Covid19 continua, in tutta Europa e in tutto il mondo: oltre 55 milioni di casi in tutto il mondo, più di un milione di morti. Per bloccare i contagi, a fronte di una grave carenza di posti letto in terapia intensiva in quasi tutto il mondo, i lockdown sono una delle poche misure che paiono efficaci.

 

I settori ritenuti non essenziali sono i primi a dover chiudere i battenti. Tra questi il settore del gioco: casinò, poker e scommesse hanno dovuto chiudere, così come gli esercizi commerciali che avevano installato apparecchi da gioco, come l'angolo delle slot nelle tabaccherie. 

Queste nuove regole hanno fatto scendere considerevolmente l'introito del settore: una ricerca del Cnr riferisce che dopo le chiusure primaverili il 35,4 per cento delle persone intervistate ammette di aver ridotto il gioco, mentre per oltre il 22 per cento l'attività è stata interrotta. 

Il primo rifugio per chi non ha smesso di giocare è stato quello di spostarsi sull'online: i casinò on line, così come le scommesse o le slot online hanno visto aumentare i loro clienti. La stessa ricerca sopracitata del Cnr dice che l'11 per cento degli intervistati si è rivolta all'online. 

Alcune ricerche oggi ipotizzano che il settore dell'online rappresenti ormai il 40 per cento degli introiti dell'intero settore per un'industria che comunque per il 2020 in generale vedrà gli introiti abbassarsi: una ricerca ipotizza un calo complessivo del 13,6 per cento. 

In Italia i maggiori operatori del settore hanno comunicato performance comunque incoraggiati: un aumento dell'8,51 per cento per Sisal e dell' 7,81 per cento per Snai, per esempio. 

Un comunicato dell’ACADI (Associazione concessionari di Giochi Pubblici) pubblicato ad inizio ottobre 2020 ha comunque toni preoccupanti e preoccupati: “La crisi del Covid-19 ha causato per il settore del gioco pubblico una perdita che ammonta, secondi i dati diffusi dal MEF, a 4.469 milioni di euro nei primi otto mesi dell’anno (-43,3% rispetto al precedente). Un aggravio per le finanze pubbliche dovuto in buona parte dalla serrata reiterata di tutte le attività connesse ai giochi (era ammesso solamente il gioco online) partita il 21 marzo e terminata il 4 maggio scorso. (...) La decisione della scorsa primavera di non inserire il gioco pubblico nella lista delle attività che hanno gradualmente riaperto ha di fatto comportato una penalizzazione del sistema concessorio del gioco legale, causando un danno alle imprese sul territorio e finanze pubbliche e di liquidità al settore. Una misura controversa che nasce dall’equivoco di considerare le attività dei giochi assimilabili a quelle dei luoghi ad alto afflusso pubblico, come le discoteche”.

Acadi, insieme a Fiegl – Confesercenti e Sgi - Confindustria (rappresentanti di circa 70mila aziende del settore) avevano per questo chiesto al governo italiano di poter tenere aperto con le restrizioni imposte (orari, protocolli) ad altri settori: "Crediamo che le limitazione orarie alle sale gioco, sale bingo e sale scommesse, in linea con quanto previsto per altri esercizi di vendita al dettaglio, siano misure sufficienti per contrastare la seconda ondata di contagi. Facciamo dunque appello alle Istituzioni affinché anche il nostro comparto sia tutelato come altri settori dell' economia". 

Non va troppo male invece negli Stati Uniti. I dati diffusi dal Commercial Gaming Revenue Tracker dell’American Gaming Association (AGA) dicono che per il terzo trimestre del 2020 le entrate del settore del gioco si sono attestate all’81 per cento dei livelli precedenti alla crisi dovuta al Covid19, con un aumento considerevole rispetto ai primi due semestri. 

 


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