• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Società > Coronavirus | Gli irresponsabili e le responsabilità

Coronavirus | Gli irresponsabili e le responsabilità

Perché il Governo “fa quello che può di fronte a una cosa nuova alla quale nessuno era preparato” e il mio vicino che entra al parco o che va a correre “è un irresponsabile che non ha capito un cazzo?”. Perché così poco astio verso Confindustria (o il Medef in Francia) e così tanto verso le vecchiette che vanno al supermercato “per le solite quattro cose”?

Perché tanta mitezza verso il potere/i poteri e tanto fastidio e durezza verso i nostri pari?

«L’espace public acte une réalité»: lo spazio pubblico agisce sulla realtà, la crea, la mette in essere. L’affermazione viene da un’intervista pubblicata su Arret sur Image a Nicolas Fieulaine, ricercatore in psicologia sociale applicata a Lione.

Fieulaine racconta come lo spazio pubblico dovrebbe adattarsi in funzione della politica e, in questo caso, in funzione delle ingiunzioni relative alle restrizioni della quarantena, in modo da poter accompagnare e suggerire i comportamenti dei cittadini.

Questa intervista esce in un momento nel quale in Francia — ma ancora una volta, tutto il mondo è Paese — si parla tanto degli “irresponsabili”, in un momento in cui i comportamenti devianti vengono additati e mediatizzati (gli articoli con le scuse più assurde di chi viene fermato dalla polizia, le foto sui social di gente che, oddio, cazzeggia, oppure il prefetto di Parigi che dice — mentendo, politicamente e scientificamente — che chi è in terapia intensiva è colui o colei che non ha rispettato la quarantena…) o, ancora, Macron che ci spiega che «troppi prendono la cosa alla leggera (…) che non hanno capito il messaggio».

Quando parliamo — così tanto, con tanto trasporto — degli “irresponsabili” dando loro la colpa dell’aumento dei contagi e delle morti non dimentichiamo lo Stato e le sue responsabilità? Il lavoro dello Stato non è quello di accompagnare le politiche di Salute pubblica che decide di applicare?

Il tipo di discorso pubblico in atto (“state in casa”) e questo tipo di trattamento mediatico/politico, dice Fieulaine «conta sulla buona volontà di tutti, come se fossimo tutti uguali di fronte al confinement. Ma così non è. Inoltre si sentono tanti discorsi che infantilizzano la popolazione, dimenticando le difficoltà fisiche e/o cognitive che pesano su alcuni. Dire che basterebbe un po’ di buona volontà e un po’ più di educazione per mettere in atto comportamenti virtuosi è un approccio paternalistico».

A questo, aggiunge Fieulaine, si somma l’idea di colpa individuale che, dice lui, viene da un approccio medico (“cosa ha fatto per arrivare a questo risultato?”), e la “norma di internalità” tipica delle ideologie liberali, che tende a spiegare il reale basandosi sulle scelte individuali piuttosto che sulle strutture collettive e sociali/sociologiche, e che è alla base di una certa cultura della meritocrazia.

«Abbiamo abitudini sociali così forti che è difficile cambiarle in fretta. I poteri pubblici non hanno saputo anticipare. (…) L’idea è quella di accompagnare le persone, dando suggerimenti e consigli. Es: Dobbiamo sederci sulle panchine o no, a quale distanza?».

Di fronte a un’abitudine consolidata da parte della popolazione all’uso dello spazio pubblico, le politiche pubbliche dovrebbero facilitare il distanziamento sociale e spiegarlo, invece di puntare sulle ingiunzioni.Per esempio (seguo sempre il ragionamento di Fieulaine): un’ottima idea i segni a terra al supermercato. Ma perché non metterli anche nei trasporti e non spiegare e ricordare, per esempio, che se tocchi la porta della metro devi poi lavarti le mani? Perché ridurre i trasporti quando paradossalmente si ottiene l’effetto contrario? Perché non prolungare i tempi in cui un treno resta sul binario? Sennò è normale che la ggggente (meglio usare il termine “le persone”, IMHO) si fionda dentro al treno, che sta fermo al binario solo 9 secondi. Io ho l’ansia di perdere la metro dal 2006, per esempio.

Ora c’è il grande mostro, l’uscita dal lockdown, il déconfinement. La fase due. E già si sentono i discorsi del «Tutto si baserà sulla responsabilità individuale» (ho letto un pezzo che titolava così e che non ritrovo, se lo vedi me lo mandi?) e sull’importanza di comportamenti «rigorosissimi dei cittadini» (perché non dice “di tutti noi” Borelli?) La responsabilità è nostra, la colpa è nostra. Il discorso pubblico e mediatico produce queste conseguenze: colpa individuale, responsabilità individuale, isolamento e sospetto verso chi abbiamo di fianco ma che non conosciamo.

Questo nulla a toglie ai comportamenti pericolosi che esistono. Ma il dibattito pubblico si concentra, mi pare, prevalentemente da un lato. E produce dei risultati che si ritrovano nel nostro vissuto. 

(Come dice Zerocalcare con grande tenerezza: «Ma non è meglio se chiedi se va tutto bene prima di rompere il cazzo?».)

Su un altro tono, ma con una chiara visione della responsabilità pubblica, un’intervista pubblicata da Le Monde. Va benissimo il confinement, che è necessario, ma deve accompagnarsi con politiche pubbliche chiare, oneste e con misure pratiche (test e mascherine per tutti).

William Dab è medico ed epidemiologo ed è stato Direttore generale della Salute dal 2003 al 2005 (Governo Raffarin III). Su Le Monde parla di contagi e prevenzioni: la curva di contagi in Francia non scende, dice, perché il confinement non è efficace, soprattutto perché la gente a va a lavorare (basta poco, due parole, per non far venire l’ansia, eh?, ndr), perché non tutti portano le maschere (perché non ci sono, ndr) e perché ancora si sa poco del contagio.

«L’unica misura preventiva efficace è il contenimento generalizzato con raccomandazioni igieniche chiare. Si fa pesare lo sforzo della prevenzione sulla popolazione: questo atteggiamento non solo non può funzionare ma si porta dietro un costo umano spaventoso con strascichi di disuguaglianze sociali che si aggravano. Ci rendiamo conto di cosa significhi per una famiglia con, per esempio, due figli in una casa di 50 metri quadrati con entrambi i genitori in telelavoro e i bambini che devono fare lezione a distanza? Se lo sforzo di prevenzione è condiviso, può ancora tenere per un po’, se non si fa nient’altro le persone si ribelleranno. Il sostegno della popolazione è una condizione per interrompere l’epidemia ma non basta la macrogrestione, ci vuole la micro*. Temo si entri in un periodo in cui il confinement avrà più svantaggi (economici, psicologici, familiari, medici) che benefici».

«In secondo luogo, non è chiaro per le persone quando arriveranno le mascherine e i test (il Governo francese ha mentito sull’uso e gli stock di maschere, ndr). Se non lo sappiamo ancora, dobbiamo dirlo. Senza questi strumenti non è possibile nessun déconfinement. E poi: quando gli operatori sanitari avranno le protezioni adeguate? Altra domanda senza risposta».

«Tutte le sere alle 20.00 applaudiamo alle finestre il personale sanitario. Mi domando se non sia il caso anche di fischiare ogni giorno a mezzogiorno contro le carenze della prevenzione fino a quando non diventerà effettiva».

https://twitter.com/Fric_Hopital

*la microgestione: parla di test, isolamenti in hotel di chi è contagiato con sintomi lievi (invece di rispedirlo a casa), inchieste telefoniche per indagare i comportamenti etc…

 

Questo pezzo fa parte di un diario che tengo qui

LEGGI ANCHE: I gesti barriera di fronte alla Coronapolice

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità