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Contro la marea nera in Sardegna uno tsunami di nuova ecologia


A Porto Torres, zona industriale di Fiumesanto, nel nord della Sardegna, l'11 di gennaio si è verificato l'incidente che ha provocato lo sversamento in mare di grandi quantità di olio combustibile, causando un vero e proprio disastro ambientale.

Inizialmente si era parlato di una nave cisterna che aveva sversato a ridosso della costa, mentre solo successivamente è stato verificato che l'incidente ha riguardato una delle tubature che portano il carburante dalla banchina ai depositi della termocentrale. Dalla condotta, interrata nel cemento, è fuoriuscito l'olio che prima ha invaso la banchina e poi è finito in mare. In un primo momento si era parlato di "una modesta quantità", la Capitaneria quantificava la perdita in 10 metri cubi, che oggi, dopo l'attività giudiziaria di indagine finora svolta, varia dai 17 a più di 46 metri cubi, con l'ultima cifra più vicina al dato reso noto dal ministro dell'Ambiente.

In sostanza varie decine di migliaia di litri di oli pesanti riversati in mare, sulle sue coste e, soprattutto sui fondali. Le lamentele e i proclami dei sindaci si sono diffusi man mano che la melma nera è comparsa su rocce e arenili: alcuni hanno paventato “danni contenuti e l'aiuto della Regione”, altri “danni contenuti ma, diosanto, non si tocchi l'occupazione a Fiumesanto”.

Nel mentre la notizia non è apparsa nei giornali locali per alcuni giorni, probabilmente per non compromettere lo sviluppo delle indagini, che ha permesso al sostituto procuratore Paolo Piras di formulare l'ipotesi di disastro ambientale e di verificare alcune responsabilità.

Infatti l'iscrizione di un dipendente E.On nel registro degli indagati, ha presupposto una responsabilità oggettiva della società proprietaria della centrale elettrica di Fiumesanto. Questo, però, non esclude che nella ricostruzione della vicenda il magistrato arrivi a valutare la responsabilità di altre persone, anche al di fuori del colosso energetico tedesco.

Questi fatti, fino a pochi giorni fa, sono stati “oscurati” dai media locali e nazionali che, secondo la logica “sardo è bello”, hanno preferito tacere la notizia. Probabilmente è stata una decisione presa a livello istituzionale per non creare allarmismo, per non “rovinare” l'immagine dell'isola e della sua natura “incontaminata”, forse per non creare troppe pressioni dell'opinione pubblica durante il corso delle indagini. Come ha dichiarato un tecnico dell'E.On : «Le amministrazioni fanno bene a tenere alto il livello di guardia, ma bisogna stare attenti a non farsi male da soli. Il troppo allarmismo, parlare subito di disastri, può essere controproducente».

Controproducente. Infatti, gli interessi che riguardano quelle zone, e in particolare la spiaggia della Pelosa di Stintino, scavalcano il Tirreno e quelle del Mar di Sardegna. Intanto su internet è partito un “tam tam” figlio di sentimenti antitaliani e campanilistici, di confuse accuse all'Eni e di contestazione alla Regione e al presidente Cappellacci. Ma non un coro unanime: in tanti hanno affermato con forza che è necessario riscoprire e tutelare la Terra di quest'isola, perché è fragile la sua bellezza, bene dell'umanità.

Certamente la Regione è stata immobile davanti a questo disastro al contrario delle popolazioni locali che si sono rimboccate le maniche per ripulire quello che a vista d'occhio poteva essere ripulito dalla melma nera. Infatti il dramma si è consumato nei fondali di quel Santuario dei Cetacei, del quale in tanti ignorano l'esistenza. Quello spazio d'acqua che unisce le coste provenzali, liguri e toscane a quelle sarde, talmente ricco di vita pelagica, che dal 1999 è un parco marino per l'avvistamento frequente di cetacei, in particolare di stenelle e balenottere.

"Quest'ultima emergenza - denuncia Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace - dimostra ancora una volta che il Santuario dei cetacei è un parco di carta: nessuna misura specifica di controllo ambientale, nessuna norma speciale di sicurezza per attività pericolose, nessun limite allo sviluppo industriale per proteggere questo prezioso ecosistema marino".

Infatti il Mediterraneo è il mare più inquinato al mondo da idrocarburi. Il 30% del traffico commerciale di idrocarburi del pianeta transita nelle nostre acque e innumerevoli sono gli impianti industriali costieri che utilizzano tali risorse. La maggior parte dell'inquinamento arriva proprio dalle operazioni di travaso e trasporto di idrocarburi. Purtroppo il problema non è solo ciò che vediamo sulle coste. La presenza di idrocarburi in mare è particolarmente pericolosa per il loro accumulo a diversi livelli della catena alimentare.

Recenti analisi svolte da Greenpeace su sogliole campionate nell'area del Santuario hanno rivelato un forte accumulo di idrocarburi policiclici aromatici nei pesci, in alcuni casi oltre i limiti di legge, con chiari rischi per la salute umana. A riguardo, il quotidiano L'Unione Sarda si è fatto pragmatico sollevando l'allarme: “Nessuno compra più pesce”. L'assessorato provinciale all'Ambiente e il Dipartimento di prevenzione dell'Asl di Sassari - e più specificamente il Servizio di igiene pubblica e dal Servizio di igiene degli alimenti di origine animale - e dall'Istituto zooprofilatico sperimentale della Sardegna, renderanno presto pubbliche le loro analisi al fine di tutelare pesca e ristorazione, economie locali di vitale importanza.

In questo mare magnum di informazione è facile perdere la bussola e gli elementi utili per una possibile riflessione politica che deve coinvolgere i/le cittadini/e e le istituzioni competenti, per elaborare un nuovo e convinto piano industriale condiviso, che preveda un'integrazione con l'ambiente e la sua tutela, affinché le piccole economie locali possano riscoprire le risorse e i saperi, soprattutto per creare nuova occupazione giovanile, senza dover “sacrificare” ulteriormente territorio e popolazioni in nome di una industrializzazione e occupazione che, in questi tempi di globalizzazione, presenta una forte componente aleatoria nella poca chiarezza delle strategie di chi intende razionalizzare costi/benefici.

Oggi molti giovani si sentono abbandonati, i numeri della disoccupazione, in particolare quella giovanile, continuano a crescere e una parte di questi/e ragazzi/e, cresciuti a pane e televisione, fanno di tutto per apparire, diventare ballerini e cantanti, divette e showgirls. Mentre altri battono le strade criminali, quelle dei soldi facili, fatti alla faccia di chi lavora onestamente. In tanti si sentono esclusivi: “in Sardegna potremmo vivere col solo turismo, senza far niente” e via discorrendo. Come il mal di testa che ne consegue. Infatti la forza di certe convinzioni assume le forme del fanatismo, un fanatismo consumistico, un mix tra l'emulazione dello stile dei vip e la vita dentro l'ipermercato.

In realtà nel “Isola del tempo perso” c'è anche la poesia. Di quelli che puliscono le spiagge, di istituzioni che tutelano il territorio come le compagnie barracellari, di quelli che con cuore e passione si impegnano ogni giorno nel proprio lavoro, e di coloro che si sono allontanati, alla continua e personale ricerca dell'essere umano nelle varie parti del mondo, guidati da una recondita energia che emana la terra di Shardana.

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