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Contro chi nega l’Olocausto non serve una legge, ma cultura

Ma siamo proprio sicuri che introdurre il reato di negazionismo anche in Italia sia una buona idea? A sollevare il tema è stato il presidente della Comunità Ebraica Riccardo Pacifici che, si legge su Repubblica oggi, ha proposto a deputati e senatori di pervenire a un testo condiviso entro la prossima giornata della Memoria, il 27 gennaio. Certo, resta da capire di che tipo di reato si tratterebbe, e parlare di una legge che ancora non esiste è scorretto.

Tuttavia qualche cosa si può già dire. Prima di tutto, non mi piace l’idea di una legge che limiti la libertà di espressione, anche quando quella libertà sia un insulto alla ragione e alle sofferenze di milioni di persone. Nella mia scala dei valori, una società dove anche la più immonda delle sciocchezze si può dire liberamente è preferibile a una dove non si può dire. Per una semplice ragione: non può essere lo Stato a decidere cosa sia una sciocchezza e cosa non lo sia: dobbiamo essere noi stessi a farlo, ciascuno di noi. Senza quella fatica siamo servi, non uomini liberi.

In secondo luogo, come nota l’articolo di Repubblica leggi simili esistono in «Austria, Francia, Germania e Belgio». Bene, siamo sicuri siano servite a qualcosa? Hanno forse limitato il diffondersi di idee di estrema destra? Hanno in qualche modo incentivato la tolleranza e l’accettazione del diverso? Hanno, da ultimo, promosso la diffusione di una corretta memoria storica? A una prima impressione (ma senza dati alla mano) a me non sembra. Anche perché un’altra idea che detesto è pensare che con un divieto si possa promuovere alcunché. E’ la vecchia idea proibizionista: promuovo scelte di vita corrette vietando la droga, l’alcool, la prostituzione. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

E ancora, una questione pratica. In Italia una legge di stampo simile esiste: l’apologia del fascismo. Una norma che aveva un senso nell’ambito del contesto storico della sua creazione, ma che oggi è guardata dai giuristi più con ironia che con rispetto. Quante volte è stata applicata? Siamo sicuri una eventuale legge contro il negazionismo dell’Olocausto verrebbe mai applicata? Vogliamo aggiungere un altro ennesimo capitolo al libro borgesiano delle normative esistenti di nome ma non di fatto? Io ne farei volentieri a meno. E poi: siamo sicuri che il contesto storico attuale la richieda?

Da ultimo, introducendo un simile divieto si fornisce un’arma preziosissima ai negazionisti: la persecuzione, il martirio. Non c’è negazionista che non si ritenga già ora vittima della censura, che non sbraiti contro «l’Inquisizione del Terzo Millennio», che non tiri in ballo gli stessi principi di correttezza che, per primo, viola. C’è da immaginarsi il piagnisteo, se dovesse essere approvata una legge. Finirebbero quasi per commuovere il passante dell’informazione distratto (cioè il grosso della cittadinanza), e costringerlo a dire: “forse hanno davvero ragione loro”. Dopotutto, nella storia chi ha subito la censura aveva, in molti casi, ragione. E noi non vogliamo mettere un negazionista in compagnia di Galilei, vero?

Perché non hanno ragione loro. Ma affinché questo sia chiaro, devono poter essere liberi di sbagliare, e farlo a voce alta. Certo, non nelle scuole pubbliche: lì deve entrare ciò che ottiene il consenso della comunità scientifica, non ogni capriccio, più o meno delirante che sia. Ma da liberi cittadini devono poter sbagliare. Perché invece di gridare allo scandalo, non si invita un negazionista a Porta a Porta, ad esempio, e lo si mette di fronte a uno storico dell’Olocausto? Uno vero, intendo. Perché non si sottopone allo scrutinio pubblico l’inconsistenza delle loro argomentazioni, l’ipocrisia e l’odio dietro cui molti di loro si mascherano? Anche la scienza e la storia devono essere oggetto di un pubblico dibattito. Anche il racconto dei loro limiti, del modo in cui si distinguono dalla fandonia e dalla stregoneria.

Senza una assunzione di responsabilità individuale rispetto alla memoria, nulla cambia. Una legge non farà mai lo sforzo al posto nostro, non ci insegnerà mai ciò che non possiamo già da soli apprendere con le nostre sole forze. Peggio: quella legge rischierebbe di dispensarci dal terribile compito di onorare con una corretta memoria il dolore del nostro passato, e allo stesso tempo far passare il messaggio, sbagliatissimo, che la verità scientifica, anche quella più corroborata, sia una verità e basta. Che sia, come dicono i negazionisti, un “dogma“, qualcosa di indiscutibile non perché se ne è discusso talmente tanto da essere tutti d’accordo, ma perché non se ne è discusso affatto e non se ne può più discutere.

Basta commemorazioni simboliche, lavacri con cui pulirci la coscienza. Basta gesti a impatto mediatico. Se proprio vogliamo rispondere a chi nega l’evidenza, diffondiamo l’evidenza. Mandiamo le oltre cinque ore della Shoah di Claude Lanzmann a reti unificate. Dedichiamo mezz’ora al giorno a Elie Wiesel, a Primo Levi, a Daniel J. Goldhagen, a Hannah Arendt, ai tantissimi testi che parlano della “soluzione finale”. Organizziamo letture collettive nelle piazze italiane. Qualunque cosa, purché provenga da noi, da ciascuno di noi. Senza pensare che una legge possa fare cultura al posto nostro.

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