Confisca dei beni oltre che dei mafiosi anche dei corrotti. Come alle origini della Legge 109/96
La legge Rognoni - La Torre però non aveva previsto procedure di gestione e di riutilizzo dei beni confiscati.
A queste esigenze risponde soprattutto la legge n. 109/96, che in più vieta la vendita dei beni confiscati, eliminando così il rischio che i beni stessi vengano riacquistati dalle mafie, tramite prestanome, e con denaro frutto di traffici illeciti. La legge 109/96 inoltre prevede che i beni confiscati vengano destinati ad uso sociale in tempi brevissimi (circa un anno) ed anche questo è molto importante, per evitare che ci sia un confronto negativo fra un bene utilizzato illegalmente dalle mafie e quel bene confiscato non utilizzato per lungo tempo. Al contrario, l’uso sociale dei beni confiscati può scardinare il consenso sociale che le mafie hanno sul territorio.
La legge 109/96 è stata il primo impegno dell’associazione LIBERA, nata nel 1994 per coordinare e supportare le molteplici associazioni antimafia nate a seguito della costernazione dovuta alle
La sparizione dei “corrotti” è dovuta al fatto che la legge, per lo scioglimento anticipato delle Camere, doveva essere approvata all’unanimità nelle commissioni, altrimenti avrebbe dovuto ricominciare tutto l’iter sotto la successiva legislatura. Questa unanimità fu raggiunta solo con la rinuncia alla confisca dei beni dei "corrotti".
Nel 2009 il governo Berlusconi, tradendo completamente le finalità della legge 109/96 ha approvato un emendamento alla legge finanziaria con il quale i beni confiscati possono essere messi all’asta, se non vengono assegnati entro sei mesi (troppo pochi per la burocrazia che deve essere affrontata, necessaria a garantire l’utilizzazione sociale dei beni confiscati).
Oggi quell’impegno rischia di essere tradito. Un emendamento introdotto in Senato alla legge finanziaria, infatti, prevede la vendita dei beni confiscati che non si riescono a destinare entro tre o sei mesi. E’ facile immaginare, grazie alle note capacità delle organizzazioni mafiose di mascherare la loro presenza, chi si farà avanti per comprare le loro ville, case e terreni appartenuti ai boss e che rappresentavano altrettanti simboli del loro potere, costruito con la violenza, il sangue, i soprusi, fino all’intervento dello Stato.
La vendita di quei beni significherà una cosa soltanto: che lo Stato si arrende di fronte alle difficoltà del loro pieno ed effettivo riutilizzo sociale, come prevede la legge. E il ritorno di quei beni nelle disponibilità dei clan a cui erano stati sottratti, grazie al lavoro delle Forze dell’Ordine e della Magistratura, avrà un effetto dirompente sulla stessa credibilità delle Istituzioni.
Per queste ragioni chiediamo al governo e al Parlamento di ripensarci e di ritirare l’emendamento sulla vendita dei beni confiscati. Si rafforzi, piuttosto, l’azione di chi indaga per individuare le ricchezze dei clan. Si introducano norme che facilitano il riutilizzo sociale dei beni e venga data concreta attuazione alla norma che stabilisce la confisca dei beni ai corrotti. E vengano destinate innanzi tutto ai familiari delle vittime di mafia ed ai testimoni di giustizia i soldi e le risorse finanziarie sottratte alle mafie.
Ma non vendiamo quei beni confiscati che rappresentano il segno del riscatto di un’Italia civile, onesta e coraggiosa. Perché quei beni sono davvero tutti "cosa nostra">>.
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