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Ciò che manca davvero!

La pandemia da coronavirus ha costretto milioni di persone, me compreso, a lavorare da casa. Il lavoro da remoto non sembra aver causato preoccupanti cali di produttività e di redditività. A molta gente, però, manca il contatto umano con i colleghi. A qualcuno addirittura manca il (ripugnante) caffè alla macchinetta in compagnia di qualche vicino/a di scrivania! A me tutto questo non manca affatto! Sto benissimo a casa mia e lavoro meglio!

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Ho investito, in passato, per dotare la mia abitazione di una bella postazione lavorativa. Ho una stanza tutta per me, uno schermo grande, la fibra ottica, il puntatore (mouse) ergonomico, la tastiera, due fantastici altoparlanti, una poltrona molto comoda e una vetrata termoisolante che mi separa dal freddo corridoio. Perché devo rimpiangere una postazione aziendale in uno spazio aperto simile ad un pollaio? Infatti, non la rimpiango!

Mi mancano i viaggi. È la mancanza che mi fa soffrire di più. Quasi insopportabile. Non avrei mai immaginato che quello fatto a Lisbona, tra la fine di novembre e l'inizio di dicembre del 2019, sarebbe stato l'ultimo! Ne ho certamente fatti di più lunghi e più interessanti, ma l'ultimo lascia il ricordo più vivo.

Come sempre, la partenza ha un fascino insuperabile. Quando arrivi all'uscita da cui dovrai imbarcarti, dopo i controlli di sicurezza, inizia, durante l'attesa, una metamorfosi della tua persona. Acquisisci la consapevolezza che ti stai lasciando alle spalle la miserabile ripetitività dell'ingranaggio sociale di cui sei prigioniero. La curiosità verso la/e Città da visitare inizia a sedurti e a farti sfogliare la guida stampata durante la preparazione del viaggio. Inizi a vedere come è fatta questa Città, a capire la sua storia, le persone e le circostanze che l'hanno resa importante. La lettura di quella guida ti fa decollare prima ancora di salire sull'aereo, perché ti trasforma in un Sans Souci e in un Posillipo, cioè in una persona senza preoccupazioni (sans souci) e senza dolori (posillipo).

Il primo momento molto interessante di quel viaggio fu l’impatto con l'Arco da Rua Augusta. L'Arco collega la Praca (piazza) do Comercio con la Rua Augusta. Bello! Ma più bello è il motivo per cui è stato eretto: non vuole celebrare una vittoria militare, come gli archi fatti erigere dagli imperatori romani o da Napoleone, ma una vittoria contro la Natura. Quell'Arco, infatti, è dedicato alla ricostruzione di Lisbona dopo il catastrofico terremoto che la distrusse nel 1755. Applausi ai portoghesi! Hanno voluto celebrare così la vittoria che ha riportato in vita la loro Capitale! Finalmente un arco non celebrativo dell'istinto omicida della specie umana, ma della sua capacità di rinascere e ricostruire!

Il secondo bel momento di quel viaggio è stata la sosta al Monumento alle Scoperte (Padrao dos Descobrimentos). Il monumento fu eretto in epoca salazarista. Ha la stessa retorica imponenza di tanta nostra monumentalità fascista. Ma non è né brutto, né inappropriato. Vuole celebrare le scoperte dei bravissimi navigatori portoghesi tra il 1.400 e il 1.600 d.C. È giusto omaggiare quei grandi navigatori e il Padrao li omaggia doverosamente. Ma non è questo il motivo per cui mi è rimasto impresso quel monumento. Girandoci attorno e salendoci sopra, ebbi modo di riflettere sul fatto che fu proprio la bravura e la superiorità dei navigatori portoghesi a far scoprire l'America. Lo so, lo so, è stato un italiano, Cristoforo Colombo, a scoprirla! Ma convinse il re e la regina di Spagna a finanziare il suo bislacco tentativo di raggiungere le Indie dall'Atlantico, perché volevano colmare il forte divario con la marineria portoghese. Si affidarono a questo cacciaballe genovese come una società calcistica, per vincere qualcosa, si affida ad un allenatore stregone, quando non ha i soldi per pagare i fuoriclasse. La scommessa si rivelò vincente, ma, se non fossero stati ossessionati dalla superiorità dei portoghesi, gli spagnoli non l’avrebbero fatta. Il collegamento tra navigatori portoghesi, corona spagnola, Cristoforo Colombo e Scoperta dell'America l'ho fatto, per la prima volta, a Lisbona e credo che non lo dimenticherò più.

Il terzo momento indimenticabile del mio ultimo viaggio pre-covid ha a che fare con le pasteis de nata (paste alla crema) portoghesi. Semplicemente buonissime e fantastiche! L'approccio a questo dolce portoghese è stato molto italiano, per non dire molto da meridionale. La prima mattina, con Michele, mio compagno di viaggio e vicino di casa, facciamo una colazione buona, ma non entusiasmante, sulla Rua Augusta. Il secondo giorno, Michele, prima di entrare in un bar a fare colazione, mi segnala una pasticceria dove sfornavano delle pasteis de nata. Le compriamo e le mangiamo, caldissime, per strada e fuori dal bar. La terza mattina, perfezioniamo il processo: compriamo prima le pasteis, ce le facciamo confezionare e le portiamo nel bar, dove le consumiamo; io con un immancabile latte macchiato e lui con un tè. Non può mancare un cenno a ciò che accadde il quarto giorno a Milano: entrato in un bar sotto l'ufficio, mi parte incontrollato il desiderio di fare colazione con le pasteis de nata; ovviamente non ce n'erano alla portata e un'espressione di tristezza dovette stamparsi sulla mia faccia, visto che il barista italiano mi chiese: "C'è qualche problema?". Io, mentendo come un criminale incallito, negai che ce ne fossero. Mai, in passato, avevo avuto il desiderio di assaporare anche in Italia qualcosa gustata all'estero!

L'Arco da Rua Augusta, il Padrao dos Descobrimentos e le pasteis de nata sono i ricordi più forti (ma non gli unici) dell'ultimo viaggio fatto prima che questo schifoso virus cinese ci mettesse tutti agli arresti domiciliari. Sono queste le cose che mancano veramente, non gli imbevibili caffè consumati alle macchinette, in quelle strutture carcerarie impropriamente denominate sedi aziendali!

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