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Cinema d’altri tempi: "L’amour fou" (1968), di Jacques Rivette

La nouvelle vague, il rivoluzionario movimento cinematografico che ha segnato per sempre la storia del Cinema mondiale, nasce in Francia più di cinquant’anni fa. Lo sparuto gruppo di cineasti che inventò il nuovo alternativo modo di intendere l’arte cinematografica e il film era composto da Erich Rohmer, Francois Truffaut, Jean Luc Godard, Claude Chabrol e Jacques Rivette. Si tratta di intellettuali le cui idee in fatto di cinema si condensavano intorno alla rivista Cahier du Cinema.

Ciascuno di essi, ancor prima di iniziare la propria attività registica, operò a lungo di penna criticando vivacemente l’esistente e teorizzando intorno ai vari aspetti e alle prospettive della settima arte. Come si sa, i cinque iniziarono a dirigere film solo in un secondo momento, ciascuno con risultati più o meno clamorosi (si pensi solo alle opere prime di Truffaut e di Godard). L’impatto della nouvelle vague su tutto il cinema che verrà è enorme e apre nuove frontiere al cinema d’autore. La circostanza si era già verificata una quindicina di anni prima, quando iniziarono a diffondersi in tutto il mondo le opere del neorealismo cinematografico italiano.

Ricerca continua del reale, riduzione dei budget, spazi aperti, luminosità, rappresentazione del sociale nelle sue nuove forme e del mutato atteggiarsi delle persone nei confronti della realtà. L’adozione di specifiche modalità tecniche, poi, una inedita maniera di utilizzare la macchina da presa e l’utilizzo di particolari strumenti conferiscono alle immagini girate molta maggiore realisticità rispetto a certi preesistenti modi di fare cinema. Tra i punti di riferimento della nouvelle vague , anche la cinematografia documentaria e la tecnica del reportage televisivo.

I caratteri della nuova onda possono essere rinvenuti e osservati nel film di Jacques Rivette uscito nel 1968, ‘L’amour fou’. Oggetto del film è lo sbriciolarsi progressivo del rapporto di coppia esistente tra Sebastien, regista di teatro alle prese con l’Andromaque di Racine, e sua moglie Claire, attrice. L’opera dura ben quattro ore e mezza e mette in luce le dinamiche e gli incroci relazionali posti in essere da Sebastien da una parte, appunto, con sua moglie, dall’altra con i componenti il cast degli attori che lavorano alla realizzazione della commedia. Una finestra su una vicenda esistenziale che potrebbe essere definita del tutto ordinaria se non fosse che Rivette la descrive con modalità estetiche particolari. La rappresentazione è assai realistica e la vicenda è lasciata scorrere dal regista francese quasi con indolenza; l’ ‘effetto verità’ viene inoltre ottenuto da Rivette in parte con l’utilizzo del 16 mm., che rappresenta ‘l’occhio’ di una troupe televisiva interessata al procedere dei lavori di preparazione della commedia.

Le rimanenti scene del lungometraggio vengono girate con pellicola standard da 35 mm.

Un film, ‘L’amour fou’, che rappresenta bene il tormento amoroso di Sebastien e di Claire (il susseguirsi delle scene del film mostra di volta in volta Sebastien che per Claire straccia letteralmente le proprie vesti, Claire concedere a se stessa una episodica ‘divagazione’ con un vecchio amico, entrambi mentre si divertono, quasi questo fosse l’unico modo per tenere vivo il loro amore, a devastare in vario modo l’appartamento che condividono) ma anche, e ciò può essere rilevato facilmente se si presta attenzione ai numerosi significativi particolari forniti dal film (il lungo abbraccio tra i due sul balcone, ad esempio), il tipo di esistenza condotta quotidianamente da questi personaggi in un periodo di rivolgimenti sociali e di costume di vastissima portata.

Si può peraltro dire, con Franco Pecori, che ‘L’Amour fou’ è un’opera costituita da un ‘accumulo di possibilità’. Suggerisce infatti il critico: “Il metodo di Rivette è dare le coordinate, impostare il lavoro e tirarsi da parte, vedere cosa succede: per il cinema, un accumulo di possibilità. E’ un farsi da parte tutto calcolato e tutt’altro che amorfo. E’ un cercare il piacere del riposo proprio nella maggior tensione del lavoro: il riposo come tensione, lo stare nascosto come lavoro, il piacere come il piacere della catalisi […] . L’Amour fou è la follia di un amore che disereda la menzogna di genere per dar luogo ad un film che è sostanza di se stesso, prassi (cinematografica) in-concludente.” [Franco Pecori, Jacques Rivette e il piacere della catalisi, Filmcritica, n.247, agosto-settembre 1974, http://www.critamorcinema.it/online/?p=1032, in data 22/07/2015].

Il lungometraggio ebbe una scarsa distribuzione commerciale a causa della sua eccessiva durata, tuttavia per L’Amour fou, come per altre ugualmente ‘difficili’ e lunghissime opere del regista, Rivette incassò grandi riconoscimenti da parte della critica. Si è osservato che Rivette, tornato sui grandi schermi nel 2009 dopo quattro anni di assenza con Questione di punti di vista, film con Sergio Castellino presente alla 66^ mostra del Cinema di Cannes, “E’ stato forse il più <cinephile> tra i suoi coetanei, e questo <atto di amore> lo si ritrova in tutto il suo cinema, caratterizzato da una marcata propensione autoriflessiva, come se l’interrogativo di fondo fosse costantemente rivolto alle ragioni e alle possibilità del proprio linguaggio, e più in generale del linguaggio della rappresentazione.” [Giorgio Tinazzi, La <nouvelle vague>, in (a cura di Paolo Bertetto) Introduzione alla storia del Cinema , Torino 2004].

 

Presa di posizione assai condivisibile, quella di Tinazzi, che individua tratti distintivi del cinema rivettiano molto presenti in ‘L’Amour fou’

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