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Cina, Usa e il rebus coreano

Nelle scorse settimane, dopo lo storico vertice tra i due leader della penisola coreana, abbiamo analizzato le implicazioni che l’incontro tra Moon Jae-in e Kim Jong-un ha causato per le future strategie di Seul e Pyongyang. Ora, come annunciato, si prenderà in considerazione la visione delle dinamiche coreane dal punto di vista delle principali potenze planetarie: Cina e Stati Uniti.

L’accelerazione del processo di pacificazione della penisola coreana, suggelata dallo storico summit tra Kim Jong-un e Moon Jae-in del 28 aprile scorso potrà portare a un definitivo assestamento delle tensioni in una delle regioni cruciali per gli equilibri geopolitici dell’Estremo Oriente se, e solo se, tale processo continuerà a ricevere un cruciale avvallo da parte di Cina e Stati Uniti, principali interessati delle conseguenze a lungo termine ed ampio raggio degli eventi che riguardano Pyongyang e Seul. Queste hanno avviato un processo complicato ma, sino ad ora, hanno dimostrato buona volontà nel dialogo, portando avanti atti di elevata importanza simbolica come la decisione di Pyongyang di restaurare la contiguità con Seul sotto il profilo del fuso orario.

La giornata del 12 maggio, in questo contesto, è destinata a entrare nella storia, in quanto segnata dall’annunciato vertice tra Kim Jong-un e Donald J. Trump a Singapore. Dopo essersi a lungo scambiati una lunga sequela di insulti e provocazioni verbali e mediatiche, i leader di due potenze che hanno segnato con la loro ostilità reciproca gli ultimi settant’anni di storia della Corea si incontreranno per la prima volta, dando vita a un summit che nelle ultime settimane la diplomazia Usa guidata da Mike Pompeo sta tentando di preparare nel migliore dei modi.

Sarebbe però riduttivo considerare il vertice Trump-Kim come un evento a sé stante: esso si inserisce in un quadro più ampio che vede la diplomazia avanzare a passo di carica dopo la svolta decisiva impressa da Moon Jae-in in occasione delle Olimpiadi invernali e benedetta da Xi Jinping, dominus dell’Impero del Centro.

La Corea del Nord nella visione strategica di Washington
Per addentrarci nella spiegazione del perché Washington si sia infine decisa a sedersi al tavolo con Pyongyang, è bene iniziare a fugare un equivoco riportato a più riprese dalla stampa internazionale: Kim non è stato “forzato” a sedersi al tavolo dallo sfoggio di potenza mostrato dagli Stati Uniti nello scenario pacifico negli ultimi mesi. L’idea di una Corea del Nord con le spalle al muro che si decide a trattare per garantirsi la sopravvivenza è tanto semplicistica quanto quella di un’America che percepisce la minaccia esistenziale del dispositivo atomico di Pyongyang.

In realtà, questi due elementi si compenetrano: gli Stati Uniti non vogliono andare incontro a una guerra contro una forza militare che, come ricordato da Bryan Myers sul numero di Limes di febbraio 2017, dispone di capacità difensive non indifferenti e provocherebbe danni incalcolabili ai riluttanti alleati sudcoreani; dall’altro, Kim si è dimostrato un agente razionale che ha voluto trattare nel massimo momento di forza, ma ha ben chiaro i rischi insiti in un confronto diretto con gli Stati Uniti.

Pesa, nella decisione statunitense, la volontà di evitare che la Cina risulti kingmaker nella penisola coreana, la necessità di tenere compatto un fronte pro-Washington che conosce i primi scricchiolii tra Corea del Sud e Giappone e la volontà dell’amministrazione Trump di risolvere un dossier spinoso mentre si profila la riapertura della pericolosa questione iraniana. Sono motivazioni tattiche, piuttosto che strategiche, a muovere Trump: la necessità di mantenere lo status quo nell’Indo-Pacifico e di completare l’assetto securitario anti-cinese, suggelato dal passaggio dal Pakistan all’India come alleato di riferimento, è infatti messa a repentaglio dalle tensioni attorno al 38° parallelo. Non è dunque una visione d’insieme a muovere Washington in questa fase difficile per le sue prospettive strategiche: diverso è il caso della Cina, che ha ben in mente gli obiettivi da capitalizzare nella vicina penisola

Kim va da Xi: così Pechino sarà il garante della pace in Corea
Tanto importanti quanto il futuro bilaterale Kim-Trump sono stati i due vertici tra il dittatore nordcoreano e il Presidente cinese Xi Jinping, tenutisi a Pechino tra aprile e maggio. Storico alleato “riluttante” della Corea del Nord, la Cina ha recentemente calcato notevolmente la mano con Pyongyang, mettendola sotto pressione per il suo avventurismo nucleare e partecipando alle sanzioni internazionali contro il Regno Eremita.

In ogni caso, Pechino ha mantenuto aperto il dialogo con il vicino, sia perché interessata ad evitare un collasso della Corea del Nord che si rifletterebbe in una catastrofe umanitaria ai confini sia in virtù di un preciso disegno strategico e geopolitico. Obiettivo della Cina è infatti un congelamento della crisi che consenta a Pechino di attrarre nuovamente Pyongyang come suo satellite più controllabile rispetto al passato, di approfondire le importanti relazioni economico-politiche con la Corea del Sud, di recente suggelate da un memorandum congiunto tra Xi Jinping e Moon Jae-in e, soprattutto, di evitare l’incubo strategico di una Corea riunificata sotto l’egida della potenza statunitense, che porti le truppe a stelle e strisce sulle sponde meridionali del fiume Yalu.

Sagace divide et impera, quello cinese: disinnescare la bomba coreana per mantenere a un livello di guardia le tensioni strategiche nel Pacifico e anestetizzare i rischi in una regione che Pechino vede di importanza secondaria per la sua grande strategia rispetto all’epicentro geopolitico del Pacifico occidentale, il Mar Cinese Meridionale.

Le due superpotenze, come abbiamo spiegato, guardano alle Coree, e queste ricambiano lo sguardo cercando sostegno per un dialogo che potrebbe cambiare una storia che risale alla Guerra Fredda e si riteneva immutabile. Storia ed ideologia si mischiano con il confronto geopolitico tra Cina e Stati Uniti: un dialogo fruttuoso potrebbe contribuire a stabilizzare le tensioni in un’area fondamentale per gli equilibri planetari odierni

Andrea Muratore

Questo articolo è stato pubblicato qui

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