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Cavolfiori colorati nella terra dei veleni, sequestro 3 mesi dopo la denuncia del prete anti-roghi

Una vasta area di circa 20mila metri quadrati, destinata alla coltivazione di cavolfiori, era contaminata dalla presenza di metalli e policlorobifenili, inquinanti particolarmente tossici. Riscontrata la presenza di "elevatissimi" valori di cadmio, piombo, antimonio, rame, zinco, "sostanze cancerogene". Superati fino al 700 per cento i limiti di legge e di compatibilità con la natura.

Scattata lo scorso novembre nelle campagne di Caivano, vicino Napoli, la foto che vedete è tornata d'attualità in queste ore. Non raffigura un'opera d'arte, non è un effetto ottico del sole e purtroppo non è nemmeno il frutto di un abile fotoritocco.

La foto è vera, l'ha scattata Mauro Pagnano, giovane fotografo napoletano che da anni documenta l'attività di chi, in queste terre, si batte in difesa della propria terra: nel bel mezzo di un campo di cavolfiori il terreno ha un avvallamento e le foglie cambiano colore, non più verdi ma gialle.

Chi abita da quelle parti racconta che quel terreno è molto chiacchierato, oggetto negli anni di sversamenti di rifiuti tossici.

I comitati denunciano, Don Maurizio Patriciello, parroco al Parco Verde di Caivano e punto di riferimento per migliaia di cittadini esasperati per i picchi di tumori, scrive un bellissimo articolo per Avvenire, il giornale che la scorsa estate con una campagna martellante contro i roghi tossici ha risvegliato le coscienze dei cittadini e delle istituzioni.

"Eppure - scrive ora sconsolato sul suo profilo Facebook - in questi mesi non è venuto un solo amministratore, un solo rappresentante sanitario a chiedere qualcosa o a dare qualche spiegazione".

Quakche giorno fa, un'agenzia ci informava che la Forestale ha sequestrato il terreno dopo aver riscontrato la presenza di metalli e policlorobifenili, inquinanti particolarmente tossici, con "elevatissimi" valori di cadmio, piombo, antimonio, rame, zinco. Superati fino al 700 per cento i limiti di legge e di compatibilità con la natura del sito destinata alla coltivazione di prodotti.

Parliamo di sostanze che fanno venire i tumori.

Lo stile freddo di un comunicato non riesce a scalfire lo strazio che si prova nel leggere queste parole, sempre le stesse. Sono passati 15 anni dalla relazione della Commissione parlamentare che per prima indagò sui traffici di rifiuti tossici. Già allora si parlava di altissima presenza di metalli pesanti (cadmio, piombo, nichel, mercurio) nelle colture della Campania Felix: pesche, mele, pomodori, zucchine, verdure.

Da 15 anni si parla di bonifiche: annunciate, progettate, appaltate, finanziate, ma mai nessuna che venga effettivamente fatta.

E le sostanze tossiche restano lì, mentre i reati vanno in prescrizione (senza una legge seria: da anni si chiede che l'inquinamento su vasta scala venga equiparato alla strage) salvando dalla galera i proprietari delle industrie che mandavano (e mandano) i barili tossici, gli intermediari e i padroni dei terreni, spesso complici o comunque silenti davanti allo scempio.

Ed è facile capire come, dai prodotti della terra, questi metalli pesanti, i cui effetti cancerogeni sono scientificamente provati, entrino nell'organismo umano provocando danni a medio e lungo termine: ecco spiegati gli alti tassi di patologie tumorali che si registrato in queste terre e che, secondo gli esperti, aumenteranno esponenzialmente nei prossimi decenni.

Un'ecatombe paragonabile alla peste del Seicento:

"La catastrofe ambientale che è in atto e che sta sconvolgendo la città di Napoli e cospicue parti del territorio campano costituisce ormai un fenomeno di portata storica, paragonabile soltanto ai fenomeni di diffusione della peste seicentesca".

Non è una provocazione di un ambientalista visionario, ma la lucida analisi della Commissione Parlamentare di inchiesta che ha consegnato la sua relazione nei giorni scorsi.

"La realtà è terribile - scriveva già a novembre Don Patriciello descrivendo quel contrasto cromatico nel campo di cavolfiori - ci guardiamo attorno arrabbiati e inorriditi per la nostra terra scempiata. Ha gridato. Ha lanciato un segnale di allarme ai figli che non ha mai tradito. In questi terreni, lasciati incoltivati, nel tempo è stato sversato e bruciato di tutto. I veleni occultati nel terreno, passano nelle verdure e poi nel corpo umano provocando malattie. Ed ecco che la nostra terra, fedele e muta, ci avverte parlando il suo linguaggio. Cambia l’abito per attirare l’attenzione degli uomini. Il colore dei cavoli avvelenati e velenosi che spicca sul verde circostante si vede anche da lontano. Solo agli stolti è concesso di passare oltre senza chiedersi che ne sarà del futuro delle nuove generazioni".

Intanto si registrano adesioni trasversali, da parte dei candidati alle imminenti elezioni, alla proposta di numerosi attivisti locali, in primis Alessandro Gatto del Wwf e Peppe Pagano di Nuova Cucina Organizzata (quello del "Pacco alla Camorra", per intenderci): una certificazione sanitaria dei prodotti campani a tutela del consumatore e del produttore.

In pratica, si chiede al prossimo Parlamento di approvare subito una legge per la mappatura dei terreni della Campania, individuando con precisione quelli contaminati da rifiuti tossici vietando la coltivazione di prodotti alimentari e sostituendola (con opportuni incentivi) con la cosiddetta agricoltura "no food": piante, fiori, canapa, insomma prodotti che non vengono mangiati e che anzi, attraverso la fitoestrazione, ripuliscono il terreno contaminato.

Per i terreni non inquinati, intanto, lo Stato potrà farsi garante della qualità sanitaria dei prodotti, attraverso un marchio di garanzia che ne consenta la vendita in modo sicuro per il consumatore finale e redditizio per il venditore.

Lo chiedono gli agricoltori, lo chiedono gli imprenditori, ma soprattutto lo chiedono decine di migliaia di cittadini italiani il cui destino rischia di essere segnato.

 

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